Affidamento diretto senza gara: no al frazionamento artificioso dell’appalto
Il Consiglio di Stato ricorda che un appalto non può essere frazionato allo scopo di evitare l’applicazione delle norme del codice dei Contratti Pubblici, tranne quando sussistano ragioni oggettive
Il frazionamento di un appalto, finalizzato a procedere con degli affidamenti diretti sotto soglia e ad eludere l’obbligo di indizione di una gara, è illegittimo e implica la violazione del divieto imposto dal Codice dei Contratti Pubblici.
A spiegarlo è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4972/2023, in relazione all’affidamento di un servizio di riscossione tributi, suddiviso dalla SA in “servizi a supporto della riscossione” e in “servizi per la riscossione coattiva”. Il tutto a fronte di un ben preciso atto di indirizzo che contemplava un “soggetto unico” per l’espletamento del servizio, mentre poi erano stati stipulati due diversi contratti di appalto, entrambi sotto la soglia dei 139 mila euro.
Palazzo Spada ha ribadito che, secondo quanto previsto dalla delibera, i servizi avrebbero dovuto essere affidati ad un unico soggetto, motivo per cui va applicato l’art. 35, comma 6, del d.Lgs. n. 50/2016, il quale dispone che «un appalto non può essere frazionato allo scopo di evitare l’applicazione delle norme del presente codice tranne nel caso in cui ragioni oggettive lo giustifichino»: in altre parole, il frazionamento costituisce soluzione in ipotesi percorribile ma a condizione di rendere una adeguata motivazione giustificatrice del frazionamento stesso.
In questo caso le motivazioni della SA non erano adeguate a supportare la scelta di dividere in due segmenti di attività il servizio. Di conseguenza, secondo il Consiglio di Stato, stante la conclamata assenza, in concreto, di un certo substrato motivazionale legato alla esigenza di scindere in due segmenti il servizio di supporto alla gestione, trova allora applicazione quel dato orientamento secondo cui: “In assenza di motivazione sulle ragioni del frazionamento, l’artificiosità del medesimo può essere dimostrata in via indiziaria”.
In questa direzione depongono:
- la sequenza storica degli avvenimenti, con il passaggio da un modello “a soggetto unico” ad un modello “a due soggetti” attraverso due distinti affidamenti peraltro gestiti “in parallelo”, almeno in termini temporali;
- il tipo di attività da svolgere nell’ambito dei due servizi affidati.
L’appello è stato quindi respinto: l’inequivoco e unico indirizzo politico iniziale è stato poi di fatto platealmente disatteso, con evidente contraddittorietà dell’azione amministrativa, con l’affidamento di due diverse commesse, a trattativa privata, senza tuttavia indicare delle ragioni plausibili per il frazionamento dell’appalto.
Palazzo Spada ha anche fornito dei chiarimenti sulla legittimazione alla partecipazione dell’operatore sollevato dall’incarico, ricordando quanto disposto dall’art. 80, comma 5, lettera c-ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016), ovvero che:
“Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, qualora:
…c-ter) l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”.
La valutazione di inaffidabilità dell’operatore economico, in ragione di precedenti inadempimenti dai quali siano conseguiti provvedimenti di risoluzione, costituisce senza dubbio espressione di apprezzamento discrezionale ad opera della stazione appaltante.
Anche a un’impresa che si è vista risolvere il contratto non è precluso ripresentare la propria offerta/domanda di partecipazione alla successiva procedura indetta dall’amministrazione. Spetterà allora all’amministrazione dimostrare “con mezzi adeguati”, che non potranno ridursi unicamente al fatto storico della risoluzione, che l’impresa sia da considerare inaffidabile. L’impresa stessa potrà dal canto suo difendersi dall’eventuale causa di esclusione a prescindere dalle vicende della precedente risoluzione.
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