19/04/2016 – Al servizio della Nazione o al servizio del cittadino?

Al servizio della Nazione o al servizio del cittadino?

Può sembrare un quesito superfluo oggi, in tempi di demagogia dilagante, cui siamo, noi per primi, totalmente assuefatti. 

Gli slogan li conoscete meglio di me: “amministrazione trasparente”; “amministrazione aperta”; “forme diffuse di controllo”; “diritto ad una buona amministrazione”….

Queste formule sono scritte, senza timore di scadere nella retorica più clamorosa, nell’art. 1 del D.lgs. n. 33/2013…. Forse l’esempio più fulgido della demagogia al potere…

Due sono le riflessioni che induce questo campionario di affermazioni enfatiche e vuote.

La prima è che così la classe politica (complice sempre quel devastante “principio di separazione” che si rivela essere vieppiù come uno scudo strumentale che i politici alzano a propria difesa e scusante) scarica sull’amministrazione tutte le colpe, le inefficienze, e le responsabilità del sistema.

Il D.lgs. 33 e questo suo enfatico articolo 1, diventa l’apparato che dà forma normativa alla demagogica campagna anti burocrazia.

Cosa accade in concreto? Che in termini di pura immagine la politica sembra consegnare la PA alla piena disponibilità del cittadino. In realtà, attraverso mille strumenti, il politico resta il vero ed unico padrone dell’amministrazione.

E tale controllo si estrinseca attraverso le diverse forme di spoil system; distribuendo e sottraendo risorse ai vari plessi amministrativi; complicando le regole e rendendo oscuri i procedimenti; fissando obiettivi, attraverso norme, comandi e direttive.

E’ una furberia scenografica e cosmetica.

E’ facile dire al cittadino: “adesso puoi esercitare un controllo diffuso sulla tua amministrazione”…. In realtà, cosa avrà di fronte a sé il cittadino medio? Pensiamo solo ai mille sofismi della contabilità armonizzata… E’ un po’ come mettere un bambino davanti ad una trasparente vetrina in cui sono esposti innumerevoli e seducenti giocattoli senza poi dargli reale facoltà di accesso. O peggio: è come se si mettesse un bambino davanti all’immagine di un giocattolo bellissimo e sofisticatissimo però, in concreto, disarticolato nelle sue numerose componenti elementari ed il cui assemblaggio richiedesse competenze ingegneristiche.

E’ altrettanto facile suggestionare il cittadino, facendogli balenare l’idea che possa esercitare un diretto “controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, quando, in realtà, il cittadino ignora i mille vincoli (spesso cervellotici) che segnano l’agire amministrativo.

Quale quivis de populo sa che esiste l’assurdo vincolo del 25% in materia di turnover e che se trova il suo ufficio di riferimento “sguarnito” e ne subisce i conseguenti ritardi non è colpa dell’amministrazione che non ha sostituito il vecchio funzionario cessato dal servizio ma di quel vincolo normativo? Quale cittadino sa che non si potrebbe spendere per certi servizi, cui pure è interessato, più di una certa aliquota calcolata su un certo anno scelto a caso? Quale cittadino sa che tanti diritti, pur affermati sulla carta, vengono concretamente ridimensionati o negati per assenza di risorse?

Ma la seconda considerazione appare anche più pregnante.

L’amministrazione, è scritto sempre nella norma- manifesto contenuta nell’art. 1 del D.lgs. 33/2013, è “al servizio del cittadino”.

E qui siamo di fronte ad una vera e propria svolta ideologica.

Siamo talmente assuefatti a tale modo di ragionare che di tale formula temo ci sfugga l’aspetto pericolosamente demagogico.

A tutta prima, sembra che si tratti di una mera specificazione; una innocente variante linguistica della ben più precisa e razionale formula usata nell’art. 98 della Costituzione.

Lì, infatti, è correttamente scritto che i funzionari pubblici (“i pubblici impiegati”) “sono al servizio esclusivo della Nazione” e non del cittadino.

Basta fermarsi a riflettere per cogliere quale salto nella demagogia si sia effettuato.

La Nazione non è il “singolo cittadino”. La Nazione rinvia, in qualche misura, all’idea dell’interesse generale, che sopravanza l’interesse dei singoli.

La PA, secondo la Costituzione, deve curare quell’interesse, difendendolo, se del caso, dai voraci interessi egoistici di gruppi e singoli.

E quell’interesse generale, lo sappiamo bene tutti anche senza aver studiato approfonditamente la sociologia, spesso non coincide con l’interesse individuale e non è neppure la mera sommatoria degli interessi individuali.

L’interesse generale è semplicemente qualcosa di diverso dall’interesse individuale, con il quale spesso entra, invece, in rotta di collisione, dovendo prevalere.

Sembrano elucubrazioni astratte ma sono uno dei tanti banchi di prova della nostra attività: dall’accesso, alla erogazione dei servizi pubblici, alla realizzazione/localizzazione di opere pubbliche….

L’interesse generale nell’articolo 1 del D.lgs. 33/2013 è il grande assente. Restano solo gli interessi individuali, rispetto ai quali l’amministrazione deve essere totalmente arrendevole.

Così un’amministrazione, preventivamente disarmata, viene consegnata agli interessi particolari ed individuali. E quali tra questi avranno reale possibilità di affermarsi?

Quelli del quisque de populo o non invece gli interessi dei più forti e di quelli che, per risorse e mezzi, possono intimidire una PA ormai totalmente indifesa?

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