tratto da questionegiustizia.it
Mai più schiavi nei campi – Un nuovo progetto di contrasto al caporalato e al lavoro sommerso in agricoltura
di Tiziana Orrù – Presidente della Sezione Lavoro, Tribunale Roma
«Mentre da anni sono chiusi i canali di ingresso legali e ormai non viene nemmeno più redatto nei tempi prescritti il decreto flussi, la cessazione dell’accoglienza e delle politiche di inserimento (sanitario, di insegnamento dell’italiano, di formazione professionale, di alloggio) creeranno tra breve un’ulteriore massa di persone poste ai margini della società, rese cioè clandestine. Ciò deve essere evitato per molte ragioni, ma per una sopra ogni altra: rendere il nostro Paese ancora più sicuro.(…) Questa situazione è ingestibile persino per i datori di lavoro, che vorrebbero poter ricorrere a un mercato del lavoro legale, in regime di concorrenza non falsata e senza il rischio delle gravi conseguenze penali derivanti anche per l’imprenditore dalla nuova disciplina dell’intermediazione ex art. 603 bis cp Essa incide sull’accesso al lavoro dei cittadini italiani, perché non si tratta di “lavori che gli italiani non vogliono fare”, ma di lavori che vengono oggi svolti in condizioni disumane e prive di dignità.»
Con queste ed altre significative parole il Procuratore Generale della Corte di Cassazione Giovanni Salvi è intervenuto nell’Assemblea generale della Corte sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2019.
L’interesse del Procuratore Generale riguardo al tema della diffusione del lavoro nero in agricoltura e del caporalato si è concretizzato, di recente, nel coordinamento del progetto Lavoro stagionale – dignità e legalità finalizzato a contrastare il caporalato nel lavoro stagionale in agricoltura avviato dalla Fondazione “Osservatorio Agromafie”, insieme a Coldiretti e Anci, che sarà presentato martedì 18 febbraio 2020 alle ore 15,00 a Roma presso Palazzo Rospigliosi alla presenza dei ministri dell’Agricoltura, del Lavoro, degli Interni, della Giustizia e degli Affari Esteri.
Il progetto allegato e che sarà di seguito brevemente illustrato ha per scopo principale quello di migliorare la disciplina e la gestione del lavoro stagionale in agricoltura, al fine di assicurare condizioni di lavoro dignitose e legali, e al tempo stesso di consentire alle imprese agricole di sostenere la concorrenza internazionale.
1. L’occupazione agricola in Italia si contraddistingue per la prevalenza di rapporti di lavoro instabili, di breve durata e caratterizzati da una accentuata stagionalità. In tale contesto i lavoratori migranti per specifiche condizioni di vulnerabilità costituiscono un potenziale bacino d’offerta di lavoro sottopagato e dequalificato.
Una cospicua parte di questo bacino di manodopera risulta ingaggiata irregolarmente, attraverso il cosiddetto sistema del “caporalato”.
Un termine dall’antico significato militare, che da tempo rappresenta anche una delle più odiose forme di sfruttamento della manodopera, un fenomeno criminale a tutti gli effetti, che trova in alcune regioni italiane un suo precipuo radicamento culturale e materiale.
Il caporalato si presenta spesso come l’unico meccanismo organizzativo in grado di colmare un vuoto strutturale fra domanda e offerta di lavoro, una forma di mediazione che opera incurante delle conseguenze sociali, fisiche e psicologiche di chi lavora, dai braccianti ai coltivatori diretti.
Il caporale oggi non si limita più a collocare la manodopera e a trasportarla sui campi, ma offre anche servizi a pagamento per soddisfare quei bisogni necessari a garantire la scarna sopravvivenza degli addetti, come l’offerta di sistemazioni logistiche che superano ogni limite di decenza.
Ma il caporalato è soprattutto un fatto sociale deviante capace di essere accettato dalle comunità locali. I caporali sono inseriti nel tessuto datoriale. Sono riconosciuti come portatori di garanzie e di efficienza in quanto capaci di reclutare efficacemente manodopera a basso costo anche avvalendosi delle più recenti tecnologie oggi agevolate dalla telefonia mobile, che offre la possibilità di gestire in tempo reale una banca dati di contatti, relazioni con aziende agricole e gruppi di braccianti.
È un fenomeno liquido e sfuggente attraverso il quale si determina anche il salario, sempre abbondantemente al di sotto dei limiti minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva di settore.
Da tempo si susseguono appelli e iniziative che invocano e incentivano una maggiore consapevolezza dello sfruttamento del lavoro agricolo e dei meccanismi di ingiustizia insiti nel processo di produzione agroalimentare.
È tempo, quindi, che tutti torniamo a comprendere il valore della produzione del cibo e che tutti ci applichiamo per sostenere chi questo valore crea e riproduce.
2. In questo contesto anche il legislatore ed alcune Istituzioni pubbliche e private hanno avviato percorsi destinati sia a migliorare l’attuale impianto legislativo sia a tentare nuove strade, anche sperimentali.
Il primo reale strumento normativo predisposto dal legislatore è senz’altro costituito dall’introduzione con l’art. 603 bis cp del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, sanzionando situazioni che precedentemente non trovavano tutela all’interno del nostro ordinamento, se non nei casi più gravi riconducibili ai reati di riduzione in schiavitù, violenza privata, estorsione e lesioni personali
La fattispecie, introdotta nel 2011, è stata successivamente modificata, con l’intento di colpire in maniera maggiormente significativa il fenomeno del caporalato, dalla legge 29 ottobre 2016 n. 199 Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo.
La modifica normativa, che ha previsto al secondo comma dell’art. 603 bis cp la responsabilità penale anche dell’utilizzatore ovvero del datore di lavoro, ha altresì individuato al terzo comma i cosiddetti indici rivelatori della fattispecie, ossia una serie di elementi in presenza dei quali si configura il reato.
Il nuovo testo normativo è senz’altro idoneo ad agevolare l’attività degli investigatori e di chi svolge compiti di vigilanza, ma sicuramente non può ritenersi sufficiente a risolvere i problemi di tutela dei lavoratori né a determinare una definitiva riduzione del fenomeno in sé.
In particolare l’evoluzione degli strumenti normativi, incentrati come sono, sulla repressione e sulla punizione della inosservanza di norme lavoristiche non pare in alcun modo capace di garantire pienezza alla tutela della dignità del lavoratore che necessita innanzitutto di azioni preventive e di sostegno.
Bisogna tutelare altresì, insieme ai lavoratori, le migliaia di imprese oneste che subiscono la concorrenza sleale di chi sfrutta i lavoratori creando iniquità nella catena del settore agroalimentare.
Ed è in quest’ultima dimensione che si collocano alcune iniziative pubbliche tra le quali si segnalano per importanza:
– l’istituzione presso l’Inps della Rete del lavoro agricolo di qualità in attuazione dell’art. 6 della legge 11 agosto 2014 n. 116 che dovrà consentire nuove forme di intermediazione legale del lavoro nei territori. L’iscrizione alla Rete poi dovrà costituire effettivamente un pre-controllo in modo che l’attività di vigilanza possa essere indirizzata prioritariamente sulle aziende che non sono iscritte;
– la Costituzione – nel luglio 2019 – in attuazione dell’art. 25 quater, comma 1, del decreto legge 23 ottobre 2018 n. 119 del Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero delle politiche agricole, del Ministero della giustizia e del Ministero dell’Interno.
Si tratta di uno strumento nuovo per metodo e per contenuti, che prevede un’azione sinergica con l’obiettivo fondamentale di creare sui territori una rete solidale tra tutti gli attori: enti, istituzioni, associazioni datoriali, sindacati, realtà del terzo settore, al fine di neutralizzare l’intermediazione illecita dei caporali.
Nella sua riunione di insediamento è stata presentata la bozza di Piano Triennale per il contrasto al fenomeno del caporalato che si basa su quattro pilastri fondamentali: la prevenzione, la vigilanza, la protezione e l’assistenza delle vittime e la loro reintegrazione socio lavorativa.
Il Piano prevede infatti interventi contemporanei su tutti i fronti, dall’intermediazione legale del lavoro, al trasporto, all’alloggio, alla rete del lavoro agricolo di qualità, ai controlli. È prevista una mappatura dei fabbisogni di lavoro agricolo con un calendario delle principali colture e delle esigenze di raccolta e di manodopera a livello nazionale al fine di evidenziare la reale necessità di manodopera stagionale soprattutto nelle fasi picco della raccolta.
È da tempo che le aziende agricole per il tramite di Coldiretti chiedono di migliorare la gestione dei flussi per assicurare la copertura dei fabbisogni di lavoro con regolari contratti di lavoro.
3. La sfida raccolta dal progetto Lavoro stagionale – dignità e legalità che si inserisce nell’iniziativa avviata dal Tavolo operativo è complessa, ma altrettanto stimolante e veicola una visione della società aperta a immaginare nuovi equilibri tra il tema dell’economia, del lavoro, della giustizia sociale, della sicurezza, della libertà e della tutela dei diritti umani.
Il progetto, coordinato dall’attuale Procuratore Generale Giovanni Salvi, è sorto nell’ambito dell’elaborazione culturale di un ristretto gruppo di persone facenti parte del comitato scientifico della Fondazione Agromafie, presieduto da Giancarlo Caselli.
I lavori del gruppo ristretto formato da rappresentanti di Coldiretti, dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) e da magistrati hanno preso le mosse dall’evidente consapevolezza che oggi i lavoratori stranieri contribuiscono in modo strutturale e determinante all’economia agricola del Paese e rappresentano un elemento indispensabile per garantire il fabbisogno di manodopera stagionale su tutto il territorio nazionale.
Tuttavia non tutti i lavoratori immigrati sono una componente regolare e bene integrata nel tessuto economico e sociale dei diversi distretti agricoli.
Al contrario in molti territori si registra la necessità di assicurare la legalità per combattere inquietanti fenomeni criminali che umiliano gli uomini e il proprio lavoro e gettano un’ombra su un settore che ha scelto con decisione la strada dell’attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale, come dimostrano le innumerevoli iniziative poste in essere dalla Fondazione Agromafie e dal suo Comitato Scientifico.
Il progetto ha quindi preso atto del fatto che la repressione dei reati e il potenziamento del quadro normativo, in assenza di una efficace politica dei flussi migratori, non sono strumenti sufficienti per contrastare il caporalato. È infatti necessario favorire i lavoratori nel loro ingresso nel mondo del lavoro grazie al regolare incontro tra domanda e offerta. Altrettanto fondamentale è far sì che ogni lavoratore possa vivere in condizioni dignitose a livello abitativo e logistico al fine di eliminare quanto più possibile la creazione di masse di immigrati irregolari in cerca di mezzi di sussistenza e di alloggi.
In questo senso la proposta, attraverso l’elaborazione di un documento programmatico, mira a:
-
rafforzare il sistema esistente utilizzando gli strumenti di programmazione e definizione delle quote di ingresso per lavoro stagionale e contribuire ad una definizione puntuale del fabbisogno di lavoro stagionale (non solo in agricoltura) attraverso una previsione specifica di fabbisogno per aree determinate, collegato ad altre richieste di lavoro stagionale, nella stessa area o in aree vicine, in maniera da assicurare una continuità del rapporto lavorativo del dipendente stagionale.
-
far emergere le situazione di marginalità (irregolarità) e lavoro nero partendo dalle principali situazioni di vulnerabilità e precarietà attualmente riscontrate e che riguardano i lavoratori in agricoltura che versano in condizioni di irregolarità amministrativa e coloro i quali da anni presenti e attivi nel nostro Paese in qualità di richiedenti asilo si ritrovano, in qualità di diniegati o in assenza di rinnovo del titolo di soggiorno per motivi umanitari, in una situazione di strutturale precarietà e potenziale ricattabilità;
-
promuovere l’attivazione di interventi a sostegno della logistica che ruota attorno alla stagionalità: trasporto, alloggio da realizzarsi sotto la regia dell’ente locale e con il supporto delle realtà del terzo settore.
-
Valutare l’effettiva fattibilità del progetto e delinearne con precisione condizioni e limiti.
Di particolare interesse sono gli strumenti proposti per il raggiungimento dei risultati auspicati.
Tenuto conto della necessità di salvaguardare la manodopera attualmente presente e mirando ad un intervento di emersione dei migranti irregolari già occupati, il progetto, denominato appunto Lavoro stagionale – dignità e legalità, ha ipotizzato la possibilità, attraverso una minima modifica normativa del Tu Immigrazione, del rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro stagionale che consenta di avviare al lavoro anche il migrante irregolare.
La selezione e la successiva assunzione dovrebbero avvenire attraverso l’intermediazione delle associazioni di categoria per il lavoro stagionale a condizione che il lavoratore accetti di ritornare al paese di origine al termine del periodo massimo di lavoro (9 mesi) ma con la possibilità di ottenere il visto di ingresso per successivi periodi di lavoro e anche per più annualità come la normativa attuale prevede.
Analoga previsione è prevista anche per i richiedenti asilo ai quali sia stata respinta la richiesta di protezione internazionale o coloro ai quali non sia stato rinnovato il permesso di soggiorno ottenuto a seguito della richiesta di protezione internazionale, che dimostrino di essere radicati nel territorio e integrati nel tessuto civile e sociale, desumibile principalmente dalla immediata disponibilità al lavoro o dall’accesso alle misure di politica attiva del lavoro concordate con i centri per l’impiego.
Infine la proposta si occupa di realizzare, con il supporto degli enti locali e con gli organismi del terzo settore, peraltro già operanti nei territori più degradati, progetti di accoglienza logistica e abitativa attuati anche con lo sviluppo di progetti di rigenerazione urbana volti alla realizzazione di interventi innovativi di social housing dove i servizi abitativi entrano a far parte delle politiche sociali, valorizzando le complementarietà con la sicurezza, la solidarietà, la coesione sociale, il lavoro, ovvero progetti che assicurino il trasporto sui luoghi di lavoro.
Per dare concretezza al progetto, il gruppo di lavoro ha quindi individuato sulla base di specifici dati di contesto, tre diverse aree geografiche situate nei comuni di Latina, Saluzzo e Foggia, nelle quali effettuare attività di ricerca mirate a verificare sul campo le specifiche modalità attuative del progetto.
Ciò vale anche a rendere chiaro il senso della proposta. Essa vuole rendere praticabile e utile l’integrazione, contribuendo così alla sicurezza dei cittadini. Essa rifugge dall’idea che vi siano lavori che “gli italiani non vogliono fare”. Al contrario, si vuole far sì che le condizioni di lavoro siano dignitose e tali da attirare i lavoratori, indipendentemente dalla cittadinanza. Si vuole far sì che gli imprenditori possano uscire dall’alternativa perniciosa tra illegalità e concorrenza.
18 febbraio 2020
Nessun tag inserito.