Ferma restando l’equiparazione quoad effectum della declaratoria di incostituzionalità di una norma di legge al sopravvenire di una nuova norma di legge a effetto abrogativo, in presenza di retroattività “impropria”, dal momento che sono le stesse disposizioni sul funzionamento della Corte costituzionale a far salvi i cc.dd. “rapporti esauriti” rispetto all’ordinario effetto ex tunc della declaratoria di illegittimità costituzionale, tenuto conto dei criteri e parametri ai quali la Corte di giustizia riconnette la possibilità di sacrificio della posizione di vantaggio del privato, ne deriva che: a) risponde all’“interesse generale” la necessità di evitare che, una volta che una norma di legge sia stata cancellata con effetto retroattivo dall’ordinamento, perché incostituzionale, chi abbia ottenuto vantaggi economici, sulla base di quella norma, continui a goderne sine die; b) peraltro, l’ordinamento predispone due tipi di strumenti a tutela dell’affidamento di chi abbia ottenuto un titolo poi annullato perché illegittimo: b1) ferma restando l’impossibilità che il provvedimento illegittimo continui a produrre effetti de futuro, è rimesso al giudice, nell’esercizio del proprio potere conformativo, determinare e modulare gli effetti anche ripristinatori del proprio decisum con riguardo alle situazioni anteriori (articolo 34, comma 1, lettera e), c.p.a.); b2) il beneficiario del titolo annullato può far valere il proprio legittimo affidamento con l’azione risarcitoria, proprio al fine di vedere indennizzato l’affidamento incolpevolmente riposto in un provvedimento di cui sia poi emersa la illegittimità; c) infine, quanto al tema della prevedibilità, l’immediata impugnazione giudiziale del provvedimento ampliativo, unitamente alle vicende connesse (ivi compresa la precedente declaratoria di incostituzionalità di due norme di legge sostanzialmente sovrapponibili a quella poi cassata con la sentenza n. 32 del 2023), consentono di escludere che il venir meno del titolo de quo fosse realmente imprevisto o imprevedibile per la stessa appellata, il che priverebbe anche di rilevanza la questione comunitaria. Ne consegue l’insussistenza dei presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
Nel caso di applicazione di una legge poi dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, sulla cui base è stato adottato un atto ampliato, si deve escludere la configurabilità della colpa della pubblica amministrazione che abbia rilasciato il provvedimento, facendo applicazione della legge poi dichiarata incostituzionale, trattandosi di una norma pienamente vigente nel momento in cui il provvedimento è stato adottato e tenuto conto che, fino alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, non sussiste alcuna colpa in capo all’apparato amministrativo, ricorrendo palesemente un’ipotesi di “errore scusabile”.
Nel caso di applicazione di una legge poi dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, sulla cui base è stato adottato un atto ampliato, si deve escludere la configurabilità anche della colpa del legislatore poiché, sin dalla pronuncia n. 9147 del 2009, le sezioni unite hanno stabilito che debba escludersi radicalmente qualsiasi diritto soggettivo dei cittadini al corretto esercizio del potere legislativo, poiché questo si caratterizza per essere assolutamente libero nei fini e, dunque, sottratto a qualsiasi sindacato giurisdizionale, e come tale inidoneo ad integrare alcuna responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. A fronte della libertà della funzione politica legislativa (art. 68 Cost., comma 1, art. 122 Cost., comma 4), non è pertanto ravvisabile un’ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di illecito (2).
Il Consiglio di Stato ha chiarito che, sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, i) è possibile distinguere tra retroattività “propria”, che si ha quando una nuova normativa pretende di disciplinare fattispecie sorte ed anche esauritesi anteriormente alla sua entrata in vigore, e retroattività “impropria”, che si ha quando la modifica incide su situazioni giuridiche iniziate nel passato e tuttora pendenti; ii) ferma restando la maggiore tutela dell’affidamento nel caso di retroattività “propria”, in entrambi i casi la Corte ammette che l’incisione sulle situazioni di vantaggio dei privati possa essere giustificata da “uno scopo diverso di interesse generale”, con la sola differenza che nel primo caso va in ogni caso assicurata un’adeguata tutela dell’affidamento dei privati mentre nel secondo caso è anche possibile operare in assenza di uno scopo di interesse generale, ma in tal caso la lacuna può essere colmata dalla predisposizione di una normativa transitoria preordinata a conferire ai destinatari il tempo necessario per adattarsi al mutamento normativo di segno sfavorevole; iii) inoltre, la soccombenza del legittimo affidamento del privato rispetto alla retroattività è ancorata al requisito della prevedibilità, oggetto di valutazione attraverso il canone prospettico dell’“operatore economico prudente e accorto”, e dunque la lesione del principio del legittimo affidamento è invocabile solo ove l’operatore economico prudente e accorto non sia in grado di prevedere il mutamento della situazione giuridica da cui origina l’affidamento.
Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 6 settembre 2023, n. 8188.
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