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Niente silenzio assenso per gli incarichi extra fuori dalla Pubblica amministrazione

di Vincenzo Giannotti

 

L’esercizio da parte del dipendente pubblico di incarichi extraistituzionali non può prescindere dall’autorizzazione dell’amministrazioni in cui lavora, dalla verifica per il rilascio di questa autorizzazione, nonché dal decorso del silenzio assenso. Sono queste le indicazioni fornite dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, nella sentenza n. 201/2017.

Il caso 

Un’amministrazione comunale, riscontrando attività svolte da un dipendente pubblico in assenza della previa autorizzazione, ha attivato la richiesta per il recupero delle somme dallo stesso percepite indebitamente dall’ente conferente. A fronte dell’inerzia rispetto alla restituzione, la Procura contabile ha rinviato a giudizio il dipendente per danno erariale equivalente ai compensi percepiti, secondo quanto stabilito dall’articolo 53, comma 7, del Dlgs 165/2001.

La difesa del dipendente 

Secondo il dipendente, le prestazioni da segretario dell’Ipab da lui svolte sono da considerarsi legittime in quanto la prima autorizzazione era stata rilasciata dall’amministrazione fino alla scadenza del mandato del Consiglio di amministrazione, mentre a seguito di successive richieste di autorizzazione alla continuazione delle attività, a ogni scadenza dei successivi consigli, non vi erano state comunicazioni contrarie realizzandosi in tal modo il silenzio assenso a fronte dell’inutile decorso del termine di 30 giorni previsto dalla normativa (articolo 53, comma 10, del Dlgs 165/2001). Mancherebbe, secondo la difesa, la colpa grave del dipendente il quale, in perfetta buona fede, avrebbe ritenuto sussistente una valida autorizzazione seppur rilasciata in forma tacita non essendo mai intervenuto alcun provvedimento di diniego.

Le precisazioni del collegio contabile 

Il collegio contabile ha innanzitutto rilevato che la formazione del silenzio assenso, in tema di autorizzazioni, si realizza esclusivamente qualora le prestazioni siano rese nei confronti di altra pubblica amministrazione, mentre al di fuori della Pa il decorso del termine di 30 giorni comporta, al contrario, il silenzio rigetto, ossia il diniego dell’autorizzazione. 

Non essendo l’Ipab da considerarsi amministrazione pubblica nel periodo in cui le prestazioni da parte del dipendente sono state svolte, l’inutile decorso del termine dei 30 giorni ha di fatto prodotto il rigetto della domanda di autorizzazione richiesta, da cui discende l’illegittimo esercizio delle attività extraistituzionali svolte dal dipendente. In questo caso la normativa prevede il rimborso all’amministrazione di appartenenza dei compensi percepiti e, in mancanza della restituzione, la produzione del danno erariale, su cui il collegio contabile è stato chiamato a decidere. 

Il Collegio contabile si è soffermato, quindi, sui presupposti necessari per permettere all’amministrazione di rilasciare l’autorizzazione e in particolare:

a) se l’espletamento dell’incarico, già prima della legge n. 190 del 2012, possa ingenerare, anche in via solo ipotetica o potenziale, situazione di conflittualità con gli interessi facenti capo all’amministrazione e, quindi, con le funzioni (a essi strumentali) assegnate sia al singolo dipendente sia alla struttura di appartenenza;

b) la compatibilità del nuovo impegno con i carichi di lavoro del dipendente e della struttura di appartenenza (che dovrà comunque non solo essere svolto fuori dall’orario di lavoro, ma pure compatibilmente con le esigenze di servizio), nonché con le mansioni e posizioni di responsabilità attribuite al dipendente, interpellando eventualmente a tal fine il responsabile dell’ufficio di appartenenza, che dovrà esprimere il proprio parere o assenso circa la concessione dell’autorizzazione richiesta;

c) la occasionalità o saltuarietà, ovvero non prevalenza della prestazione sull’impegno derivante dall’orario di lavoro ovvero l’impegno complessivo previsto dallo specifico rapporto di lavoro, con riferimento ad un periodo determinato;

d) la materiale compatibilità dello specifico incarico con il rapporto di impiego, tenuto conto del fatto che taluni incarichi retribuiti sono caratterizzati da una particolare intensità di impegno;

e) specificità attinenti alla posizione del dipendente stesso (incarichi già autorizzati in precedenza, assenza di procedimenti disciplinari recenti o note di demerito in relazione all’insufficiente rendimento, livello culturale e professionale del dipendente);

f) corrispondenza fra il livello di professionalità posseduto dal dipendente e la natura dell’incarico esterno a lui affidato.

CONCLUSIONE

Avendo violato il dipendente, nel caso concreto i presupposti previsti dalla normativa, lo stesso va condannato per danno erariale pari all’importo dei compensi illegittimamente percepiti, tuttavia, in considerazione del suo leale comportamento verso l’amministrazione datoriale per aver presentato richiesta e, della inerzia dell’Amministrazione di appartenenza, avvalendosi del potere riduttivo, il danno può essere quantificato in 30.000 euro rispetto ai 74.763,57 euro di compensi percepiti.

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