La differenziazione della tariffa degli esercizi alberghieri da quella delle civili abitazioni, operata dai Comuni, è peraltro stata considerata legittima da questa Corte anche alla luce della conformità al principio unionale “chi inquina paga”, espresso dall’art. 15 della direttiva 2006/12/CE e dall’art. 14 della direttiva 2008/98/CE, che, nell’osservanza del principio di proporzionalità, consentono al diritto nazionale di differenziare il calcolo della tassa di smaltimento per categorie di utenti (Cass., Sez. T, n. 15041 del 16/06/2017).
Si deve inoltre precisare che, nell’adottare tale statuizione, contrariamente a quanto dedotto dalla contribuente, la Corte non ha valutato il mancato uso del fatto notorio nella valutazione delle prove, tipico accertamento in fatto, ma ha verificato la correttezza della differenziazione tariffaria operata dal Comune, ritenuta legittima, in base alla notoria maggiore produzione di rifiuti da parte degli alberghi rispetto alle civili abitazioni.
Né può ritenersi che tale differenziazione possa essere effettuata a condizione che il Comune motivi con precisione le ragioni della stessa e, in particolare, dello scostamento dalla classificazione operata dal legislatore all’art. 68, comma 2, d.lgs. cit. Come sopra evidenziato tale norma prevede che l’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie sia effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, solo “in via di massima”, dei gruppi di attività o di utilizzazione ivi riportati, senza prevedere alcun particolare obbligo di motivazione, nel caso in cui il Comune ritenga di non seguire tale indicazione.
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