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Pubblicazioni concernenti incarichi politici e dirigenziali

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Il decreto legislativo di riforma del d.lgs 33/2014 modifica in modo massiccio l’articolo 14:

Testo vigente

Testo modificato

Art. 14  Obblighi di pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico

 

1.  Con riferimento ai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale, le pubbliche amministrazioni pubblicano con riferimento a tutti i propri componenti, i seguenti documenti ed informazioni:

a)  l’atto di nomina o di proclamazione, con l’indicazione della durata dell’incarico o del mandato elettivo;

b)  il curriculum;

c)  i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici;

d)  i dati relativi all’assunzione di altre cariche, presso enti pubblici o privati, ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti;

e)  gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l’indicazione dei compensi spettanti;

f)  le dichiarazioni di cui all’articolo 2, della legge 5 luglio 1982, n. 441, nonché le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima legge, come modificata dal presente decreto, limitatamente al soggetto, al coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano. Viene in ogni caso data evidenza al mancato consenso. Alle informazioni di cui alla presente lettera concernenti soggetti diversi dal titolare dell’organo di indirizzo politico non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 7.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.  Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati cui al comma 1 entro tre mesi dalla elezione o dalla nomina e per i tre anni successivi dalla cessazione del mandato o dell’incarico dei soggetti, salve le informazioni concernenti la situazione patrimoniale e, ove consentita, la dichiarazione del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado, che vengono pubblicate fino alla cessazione dell’incarico o del mandato. Decorso il termine di pubblicazione ai sensi del presente comma le informazioni e i dati concernenti la situazione patrimoniale non vengono trasferiti nelle sezioni di archivio.

Art. 14  Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici e di incarichi dirigenziali

 

1.  Con riferimento ai titolari di incarichi politici, anche se non di carattere elettivo, di livello statale regionale e locale, lo Stato, le regioni egli enti locali pubblicano con riferimento a tutti i propri componenti, i seguenti documenti ed informazioni:

a)  l’atto di nomina o di proclamazione, con l’indicazione della durata dell’incarico o del mandato elettivo;

b)  il curriculum;

c)  i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici;

d)  i dati relativi all’assunzione di altre cariche, presso enti pubblici o privati, ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti;

e)  gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l’indicazione dei compensi spettanti;

f)  le dichiarazioni di cui all’articolo 2, della legge 5 luglio 1982, n. 441, nonché le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima legge, come modificata dal presente decreto, limitatamente al soggetto, al coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano. Viene in ogni caso data evidenza al mancato consenso. Alle informazioni di cui alla presente lettera concernenti soggetti diversi dal titolare dell’organo di indirizzo politico non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 7.

1-bis. Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 anche per i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione.

1-ter. Ciascun dirigente comunica, all’amministrazione presso la quale presta servizio, gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazione, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. L’amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale l’ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente.

1-quater. Negli atti di conferimento di incarichi dirigenziali e nei relativi contratti sono indicati gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico. Il mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi determina responsabilità dirigenziale ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Del mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi si tiene conto ai fini del conferimento di successivi incarichi.

2.  Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati cui ai commi 1 e 1-bis entro tre mesi dalla elezione, dalla nomina o dal conferimento dell’incarico e per i tre anni successivi dalla cessazione del mandato o dell’incarico dei soggetti, salve le informazioni concernenti la situazione patrimoniale e, ove consentita, la dichiarazione del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado, che vengono pubblicate fino alla cessazione dell’incarico o del mandato. Decorsi detti termini, i relativi dati e documenti sono accessibili ai sensi dell’articolo 5.

 

L’elencazione degli adempimenti appare estremamente chiara. Sono opportune, dunque, solo alcune annotazioni relative all’articolo, che tengano anche conto delle modifiche apportate dalla novella.

Come si nota, già la rubrica chiarisce che le disposizioni dell’articolo in esame non si riferiscono più solo ai titolari di incarichi politici, estendendo la sua portata anche ai titolari di incarichi dirigenziali. Il legislatore insiste in una quanto mai inopportuna assimilazione della condizione dei secondi ai primi, in totale contraddizione con la separazione di funzioni, ruolo e legittimazione, quasi a voler sottolineare, al contrario, la necessità di una traccia comune nella disciplina di figure e ruoli, invece, molto diversi tra loro.

Sempre rispetto alla rubrica dell’articolo 14, essa riferisce, come si nota, gli obblighi di pubblicazione letteralmente ai “titolari di incarichi politici”. Tale definizione aiuta a comprendere come il legislatore, nell’utilizzarla, si riferisca, genericamente, agli “organi di governo” di matrice politica, legittimati da elezioni dirette o di secondo grado.

Ma, il lemma della rubrica non tragga in inganno: il comma 1 in maniera molto chiara estende le disposizioni dell’articolo 14 ai titolari di cariche politiche “anche se non di carattere elettivo”: una formulazione estremamente estesa, che abbraccia qualsiasi vertice amministrativo non appartenente al ruolo dirigenziale, e di profanazione politica, come, ad esempio, i direttori generali delle aziende sanitarie.

Il problema, tuttavia, nasce dalla circostanza che la novella all’articolo 14 restringe dal punto di vista soggettivo le amministrazioni obbligate ad effettuare le pubblicazioni ivi previste: mentre nel testo previgente erano tutte le amministrazioni, ora sono solo Stato, regioni ed enti locali. L’esempio, allora, dei direttori generali delle aziende sanitarie può funzionare, perché la loro nomina dipende dai presidenti delle regioni, ma le ipotesi di titolari di incarichi politici non elettive, se ristrette ai soli enti territoriali, non sono poi molte.

Gli obblighi di pubblicità “anticasta” previsti dall’articolo 14, dunque, debbono essere adempiuti da:

  1. Stato
  2. regioni
  3. enti locali

e concernono i titolari:

  1. a) di incarichi politici anche se non di carattere elettivo,
  2. b) di incarichi dirigenziali.

L’obbligo di pubblicare i dati previsti dall’articolo 14 in commento in sostanza concerne:

a) tutti i titolari di incarichi politici, insediati nelle cariche per effetto di elezioni (parlamentari, consiglieri regionali, comunali e provinciali, presidenti delle regioni, presidenti delle province, sindaci);

b) chiunque, in ogni caso, assuma incarichi nell’ambito di organi di governo anche se non a seguito di elezioni: può valere per i ministri, per gli assessori regionali, vale certamente per gli assessori dei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti;

c) per organi non elettivi, come quelli posti al vertice delle unità sanitarie locali, nonché alle cosiddette “autonomie funzionali”, camere di commercio ed università.

Sui singoli dati da pubblicare è opportuno soffermarsi con particolare attenzione sulle lettere b), c) e f).

La lettera b) chiarisce che occorra pubblicare il curriculum di chi svolge funzioni politiche. Per quanto sia dato per scontato che, ai fini dell’assunzione di cariche di governo, elettive o meno, non siano necessari specifici titoli di studio, il legislatore impone, comunque, la conoscibilità dei percorsi e dei titoli di chi quegli incarichi rivesta, anche sull’onda delle notizie di cronaca.

La lettera c) impone di pubblicare ogni genere di compensi derivanti dall’assunzione della carica nell’organo di governo, allo scopo di permettere a cittadini ed elettori di verificare quanto sia “conveniente” sul piano finanziario svolgere il mandato. L’obbligo di pubblicazione scende nel minimo dettaglio perché si richiede si estenda anche agli importi dei viaggi di servizio e delle missioni, se pagati con fondi pubblici. È evidente la funzione di deterrenza ad utilizzare le risorse per scopi in nulla attinenti all’espletamento del mandato. Anche in questo caso, il legislatore cerca di dare una risposta ai fatti di cronaca. L’operazione di trasparenza appare corretta, ma evidentemente può funzionare solo nella misura in cui gli interessati forniscano una rendicontazione completa, che sarebbe opportuno assoggettare da subito a controlli esterni. In ogni caso, l’onere operativo di pubblicazione risulterà piuttosto complesso, visto che sarà necessario scansionare e mettere in rete ogni singolo scontrino.

La lettera f) è l’elemento più delicato dell’articolo 14. essa concerne:

1. le dichiarazioni di cui all’articolo 2 della legge 441/1982 e cioè:

a)  una dichiarazione concernente i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri; le azioni di società; le quote di partecipazione a società; l’esercizio di funzioni di amministratore o di sindaco di società, con l’apposizione della formula “sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero”;

b)  copia dell’ultima dichiarazione dei redditi soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche;

c)  una dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale ovvero l’attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di materiali e di mezzi propagandistici predisposti e messi a disposizione dal partito o dalla formazione politica della cui lista hanno fatto parte, con l’apposizione della formula “sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero”. Alla dichiarazione debbono essere allegate le copie delle dichiarazioni di cui al terzo comma dell’articolo 4 della legge 18 novembre 1981, n. 659, relative agli eventuali contributi ricevuti;

2. le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima legge che debbono essere rese:

1)  entro un mese dalla scadenza del termine utile per la presentazione della dichiarazione dei redditi soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche, i soggetti indicati nell’articolo 2 sono tenuti a depositare un’attestazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale di cui al numero 1 del primo comma del medesimo articolo 2 intervenute nell’anno precedente e copia della dichiarazione dei redditi;

2)  entro tre mesi successivi alla cessazione dall’ufficio i soggetti indicati nell’articolo 2 sono tenuti a depositare una dichiarazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale di cui al numero 1 del primo comma del medesimo articolo 2 intervenute dopo l’ultima attestazione. entro un mese successivo alla scadenza del relativo termine, essi sono tenuti a depositare una copia della dichiarazione annuale relativa ai redditi delle persone fisiche.

Tali dichiarazioni riguardano:

  1. colui che assume la carica politica (ma, per effetto della novella, anche del titolare della carica dirigenziale)
  2. il coniuge non separato,
  3. i parenti entro il secondo grado.

Coniuge e parenti entro il secondo grado, tuttavia, possono assentire o meno alla pubblicazione dei dati che li riguardano. In ogni caso, l’articolo 14 del decreto sulla trasparenza impone di dare evidenza al mancato consenso alla pubblicazione delle informazioni del coniuge e dei parenti.

I dati riguardanti l’articolo 14 non debbono essere pubblicati in modalità aperta e “lavorabile”, secondo quanto previsto dall’articolo 7 del decreto trasparenza.

Lo scopo della lettera f) dell’articolo 14 è evidente: consentire ai cittadini di verificare se il patrimonio dei componenti degli organi di governo, o del coniuge o dei parenti, si incrementi in coincidenza con l’assunzione e la conduzione della carica o se, comunque, l’incremento risulti superiore a quello che sarebbe determinato dall’importo delle remunerazioni previste. Anche in questo caso, il legislatore ritiene che la pubblicità totale dei cespiti dei componenti degli organi di governo scoraggi, da parte loro, comportamenti scorretti, volti ad utilizzare la carica alla quale sono assorti per l’arricchimento e l’interesse personale, invece che per la cura dell’interesse pubblico.

La maggiore novità della novellazione dell’articolo 14 consiste nell’estensione delle disposizioni contenute nel comma 1 anche ai dirigenti.

Il legislatore rivede la strutturazione delle comunicazioni a carico dei dirigenti, che nella stesura (pre)vigente erano disciplinate solo dall’articolo 15, il quale al comma 1 prevedeva:

Fermi restando gli obblighi di comunicazione di cui all’articolo 17, comma 22, della legge 15 maggio 1997, n. 127, le pubbliche amministrazioni pubblicano e aggiornano le seguenti informazioni relative ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, nonché di collaborazione o consulenza:

a) gli estremi dell’atto di conferimento dell’incarico;

b) il curriculum vitae;

c) i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali;

d) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di lavoro, di consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali componenti variabili o legate alla valutazione del risultato”.

Il nuovo comma 1-bis dell’articolo 14, invece, assimila i titolari di incarichi dirigenziali alla posizione dei titolari degli incarichi politici, estendendo nei loro confronti tutti gli obblighi di pubblicità previsti per gli incarichi politici.

Si tratta di una scelta molto discutibile, considerando che nel caso dei titolari di incarichi dirigenziali, detta titolarità discende da un rapporto di lavoro e non dall’esercizio di una funzione elettiva, sicchè le informazioni a suo tempo richieste dall’articolo 15 del d.lgs 33/2013 apparivano già più che sufficienti ai fini della trasparenza.

Sicuramente , il merito della disposizione non pare possa costituire oggetto di particolari critiche. È del tutto opportuno e corretto far conoscere chi dirige gli uffici, poiché la dirigenza è un vero e proprio organo non elettivo; è importante che i cittadini sappiano che competenze abbiano e quali curriculum possiedano. Ciò vale, ovviamente, per tutti coloro che siano chiamati, dall’esterno, a supportare l’attività amministrativa con incarichi di collaborazione o consulenza.

Il modo col quale l’articolo 14 è costruito si presta, invece, a diversi rilievi. Come già rilevato, non appare, infatti, del tutto corretto accomunare, come fa il legislatore, incarichi e posizioni aventi origine e caratteristiche totalmente diverse tra loro.

Non si può non sottolineare che gli specifichi obblighi di pubblicazione rivolti a dirigenti finiscano nell’immaginario di chi legge la norma per essere a loro volta considerati come essi stessi elementi dei costi della politica.

Ciò non è condivisibile. Il legislatore dimentica la fondamentale distinzione tra chi assume gli incarichi dirigenziali in quanto entra a far parte dei ruoli delle amministrazioni a seguito di selezioni concorsuali; e, dall’altro lato, coloro che ricevono incarichi dirigenziali a tempo determinato o incarichi di collaborazione e consulenza, senza concorsi, per cooptazione diretta.

Sostenere o, peggio, lasciar credere, che i primi, trattati normativamente insieme con i secondi, siano un “costo della politica”, cioè che la dirigenza di vertice sia, per sua natura, connessa con la politica è più che scorretto, è falso.

Il principio di separazione ed autonomia della dirigenza rispetto alla politica, per quel che può funzionare, trova piena applicazione solo proprio con riguardo alla dirigenza di ruolo, che non deve il proprio lavoro alla cooptazione del politico di turno, derivante, ovviamente, da quel rapporto di “fiducia” ritenuto incostituzionale dalla Consulta a partire dalla sentenza 103/2007, a sua volta scaturente da un “comune sentire politico”.

Il dirigente di ruolo viene selezionato per concorso, non in base alla condivisione di un pensiero politico o all’adesione ad una parte.

Se nulla v’è da obiettare sulla necessità di dare trasparenza ai costi della dirigenza e, in particolare, alle competenze di chi svolge le funzioni di direzione, sarebbe stato certamente più opportuno dedicare particolare e specifica, o quanto meno distinta, attenzione nei riguardi dei soggetti incaricati senza alcun concorso come dirigenti o come consulenti o collaboratori.

Le consulenze e gli incarichi esterni comportano costi per circa 2 miliardi l’anno, una cifra rilevante, che si aggiunge ai non bassi costi complessivi del personale pubblico.

Per questo genere di costi, considerando soprattutto l’assenza di strumenti di selezione rigorosi come i concorsi per l’assunzione di dirigenti di ruolo, occorrerebbero strumenti di pubblicità e trasparenza ben superiori e diversi rispetto a quelli richiesti per i dirigenti di ruolo. A partire proprio dal sistema di selezione che dovrebbe essere esclusivamente quello concorsuale.

Si tratta di incarichi che commistionano politica e gestione e sono acclaratamente (seppure non solo) fonte di cattiva gestione. Più che regole di trasparenza, sarebbe necessario un serio ripensamento di questi istituti, per giungere alla decisione di sopprimerli per sempre, visto il costo ingentissimo e rilevando che la pubblica amministrazione possiede certamente al suo interno competenze non inferiori a quelle di collaboratori e consulenti. Il fatto è che il consulente viene incaricato se alla fine il parere che fornisce è conforme al pensiero di chi lo incarica. una dirigenza totalmente di ruolo e stabile non viene vista sempre di buon occhio dalla politica che vuole soluzioni “partigiane”[1]

Sta di fatto che il nuovo comma 1-bis estende la disciplina del comma 1 dell’articolo 14 anche ai dirigenti ai quali gli incarichi siano stati “conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione”, come a legittimare la prassi, invece incostituzionale ed illegittima, della cooptazione senza concorso e con totale discrezionalità[2].

Il comma 1-ter obbliga ciascun dirigente a comunicare, all’amministrazione presso la quale presta servizio gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica, anche per consentire la verifica del rispetto del “tetto” alle retribuzioni previsto dall’articolo 13, comma 1[3], del d.l. 66/2014, convertito, con modificazione, dalla legge 89/2014. In conseguenza di ciò, l’amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale l’ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente.

Il comma 1-quater è ancora dedicato alla dirigenza e prevede che sia gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali, sia i relativi contratti, contengano l’indicazione degli obiettivi di trasparenza a carico dei dirigenti. Obiettivi specificamente finalizzati a rendere i dati pubblicati a cura dei dirigenti di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico.

Dunque, gli incarichi dirigenziali dovranno insistere molto sulla specifica responsabilità dei dirigenti di assicurare informazioni chiare e tempestive al pubblico e, nella sostanza, di essere i primi attuatori delle norme sulla trasparenza.

La conseguenza del mancato raggiungimento dei suddetti obiettiviè la responsabilità dirigenziale ai sensi dell’articolo 21 del d.lgs 165/2001 e l’obbligo di tenerne conto ai fini del conferimento di successivi incarichi. Come questo, comunque, si sposi col nuovo sistema degli incarichi dirigenziali immaginato dall’articolo 11 della legge 124/2015 è molto difficile da capire, visto che tale legge sgancia gli incarichi dall’ente presso il quale si presta servizio.

Il comma 2 dell’articolo 14 entra, come sempre, nel minimo dettaglio operativo, imponendo di pubblicare i dati indicati dal comma 1 e 1-bis entro tre mesi dalla elezione o, nel caso di cariche non elettive, dalla nomina o dall’assegnazione dell’incarico dirigenziale. I dati debbono restare pubblicati per i tre anni successivi dalla cessazione del mandato o dell’incarico dei soggetti, salve le informazioni concernenti la situazione patrimoniale e, ove consentita, la dichiarazione del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado, che vengono pubblicate fino alla cessazione dell’incarico o del mandato.

Non è prevista la conservazione negli archivi informatici: decorso il termine di pubblicazione le informazioni e i dati concernenti la situazione patrimoniale non debbono essere trasferite nelle apposite sezioni d’archivio dei portali e divengono oggetto dell’accesso civico ai sensi dell’articolo 5 del d.lgs 33/2013.


 

[1] E il bello è che pensatori “liberali” ritengono addirittura che sia necessaria una dirigenza di vertice “eletta”. Si veda quanto pubblicato su LeggiOggi: La dirigenza “fiduciaria” è incostituzionale:

L’editoriale sul Corriere della Sera del 5 dicembre 2012 (I distruttori delle riforme) di Alberto Alesina e Francesco GiavAzzi è a dir poco sconcertante.

Pur di giustificare i fallimenti evidenti di un Governo da loro sostenuto a tal punto che Giavazzi è stato chiamato da Monti a fare da consulente tecnico dei tecnici, non sanno più a cosa appigliarsi.

La riforma delle province è un disastro, la riforma Fornero ha generato solo maggiore disoccupazione, il debito pubblico continua ad aumentare, il Pil a scendere, di liberalizzazioni nemmeno l’ombra, che la Fiat sia un problema gravissimo il Ministro Passera se ne accorge solo il 4 dicembre 2012, ma la colpa i due economisti l’hanno individuata: la «spectre» della «burocrazia», che ferma tutte le riforme.

Non leggi frettolose, raffazzonate, alluvionali, continuamente corrette senza riuscire ad emendarle degli errori, dunque, la causa della drammatica situazione dell’Italia. Ma la lobby misteriosa degli «alti dirigenti» (tutti sopra il metro e 85 centimetri?) che «pur di conservare il proprio potere di spesa blocca le riforme».

Il rimedio proposto dai due editorialisti è il seguente: «Che fare? La prima decisione di ogni nuovo ministro deve essere la sostituzione degli alti dirigenti del Ministero che gli è stato affidato, a partire dal capo di gabinetto. Il ricambio deve cominciare da coloro che da più tempo occupano lo stesso posto e per questo sono spesso i più conservatori, cioè meno propensi al cambia- mento. I costi sono ovvi: un nuovo dirigente ci metterà un po’ a prendere in mano le redini del Ministero. Ma è un costo che val la pena di pagare, quanto più si vuol cambiare. Certo, c’è il rischio che le nomine siano solo politiche, e cioè invece che di dirigenti preparati il ministro scelga in base alle appartenenze politiche. Questo è possibile, ma saranno gli elettori a decidere se un Governo ha cambiato qualcosa. e i cittadini giudicheranno un Governo anche dalla qualità delle persone cui hanno affidato l’amministrazione dello Stato.

È comunque un sistema migliore di quello di oggi in cui dirigenti non eletti ostacolano e influenzano l’operato di Governi eletti direttamente, o indiretta- mente come nel caso di questo Governo ‘tecnico’».

È altamente consigliato di rileggere questo passaggio più e più volte. È intriso di cancellazione di memoria di 20 e più anni di pessime riforme, di leghismo d’antan, di rifiuto totale della cultura giuridica ed amministrativa che, invece, deve guidare qualsiasi analisi. È strano. economisti e professionisti che non fanno parte dell’apparato amministrativo sono sempre pronti a pontificare criticandolo, ma auspicano continuamente che i ministri estendano i loro poteri di «nomina», indirettamente autocandidandosi ad entrare a far parte di quella compagine tanto deprecata e con la pretesa di entrare dal portone centrale, senza nemmeno degnarsi di passare per le strettoie dei concorsi e delle durissime selezioni da superare.

Esaminiamo passo per passo le «perle» degli editorialisti del Corriere, che riassumono appunto 20 anni di follia riformatrice.

In primo luogo, gli editorialisti ignorano che proprio per quanto riguarda gli uffici di staff dei ministri la legge (artt. 13 e 14 del d.lgs. 165/2001) assegna ai ministri molta, forse troppa, libertà di manovra. Il «capo di gabinetto»

è sempre liberamente sostituibile da qualsiasi ministro ed, anzi, ben difficilmente tale ruolo rimane ricoperto dal predecessore, quando si insedia un nuovo ministro. Peraltro, non è il capo di gabinetto il perno dell’attuazione delle riforme, ma semmai i segretari generali o i capi dipartimento. Ma questo conferma l’approssimativa conoscenza dell’apparato da parte di Alesina e Giavazzi. Tuttavia, le loro affermazioni, sbagliate, fanno «presa» nei confronti di una popolazione stufa e incattivita. Additare il dirigente pubblico come «untore» e boicottatore dell’invece buono e capacissimo ministro è una mossa banale, trita, ritrita, ma efficace. Il famoso «non ci lasciano lavorare» mille volte ripetuto da Berlusconi.

La seconda affermazione è di stampo filosofico: «Il ricambio deve cominciare da coloro che da più tempo occupano lo stesso posto e per questo sono spesso i più conservatori, cioè meno propensi al cambiamento».

Strano. Da un quarto di secolo legislatore, analisti, tecnici, bocconi, Bassanini, Brunetta, insistono che occorre porre in essere sistemi di valutazione per selezionare, sul piano delle azioni concrete, i dirigenti capaci rispetto agli altri.

e di leggi, decreti, regolamenti, contratti, sistemi di valutazione, consulenze, piani, programmi, metodi, software, a questo scopo ne sono stati sfornati migliaia. Per scoprire che, poi, i dirigenti a tempo determinato, quelli nominati direttamente dai ministri che tanto piacciono ad Alesina e Giavazzi, non sono mai oggetto di valutazione negativa o non sono proprio oggetto di valutazione.

Chi predica, solo a parole, l’efficienza dell’azione amministrativa dovrebbe sapere perfettamente che essa va misurata in relazione ai risultati. La propensione al cambiamento non c’entra nulla. Il dirigente vero e capace se ne infischia del cambiamento, perché non tocca a lui stabilire le linee politiche, prerogativa esclusiva dell’organo di governo. Il dirigente, una volta che l’indi- rizzo politico sia fissato, lo attua, gli piaccia o meno. e va giudicato in base alla capacità di farlo, non in relazione al tempo che sta a svolgere un incarico. Lo capirebbe chiunque.

Terza affermazione: «I costi sono ovvi: un nuovo dirigente ci metterà un po’ a prendere in mano le redini del Ministero. Ma è un costo che val la pena di pagare, quanto più si vuol cambiare». Il costo è tremendamente alto ed ingente. una girandola continua della dirigenza e del sistema operativo è il modo migliore per mettere sabbia negli ingranaggi e romperli o ritardarne l’attività, molto di più di quanto possa l’intenzionale eventuale atteggiamento dei dirigenti.

In ogni caso, Alesina e Giavazzi ignorano o fingono che non valga assolutamente nulla la giurisprudenza costituzionale affermatasi a partire dalla sentenza 103/2007, che considera incostituzionale lo spoil system in particolar modo perché lesivo del principio di continuità dell’azione amministrativa.

L’economia, l’aziendalismo, l’autoreferenzialità e il darsi di gomito col potere non dovrebbero prescindere dalle decisioni di autorità come la Consulta. ulteriore affermazione che lascia davvero di stucco è la presa d’atto del rischio che «le nomine siano solo politiche, e cioè invece che di dirigenti preparati il ministro scelga in base alle appartenenze politiche». Rischio, tuttavia, secondo gli Autori, neutralizzato dalla circostanza che siano gli elettori a decidere se un Governo ha cambiato qualcosa.

Queste considerazioni sono sconfortanti. Si scade, ancora una volta, nel «lavacro» elettorale. ogni atto, anche il più incostituzionale e odioso, come la cooptazione per ragioni politiche dei dirigenti, selezionati non in base al tanto evocato «merito», ma per l’appartenenza politica.

Affermano, come visto, gli editorialisti che «i cittadini giudicheranno un Governo anche dalla qualità delle persone cui hanno affidato l’amministrazione dello Stato». Alesina e Giavazzi dimenticano che i cittadini non giudicano per nulla i Governi sotto questi aspetti. Non hanno sufficienti informazioni e capacità valutative per questo. e l’andamento delle votazioni di questi ultimi 20 anni lo dimostra ampiamente.

Come cittadino, io pretenderei che l’alta dirigenza sia competente, selezio- nata non in relazione alle simpatie politiche ma per la preparazione mostrata con la selezione concorsuale, prima e con una seria valutazione, poi. Perché col politico posso negoziare, chiedere di innovare. Col dirigente debbo pretendere di avere l’applicazione corretta ed imparziale di ciò che la politica ha deciso prima, sulla base della negoziazione e dell’innovazione decisa. Far svolgere all’alto dirigente un ruolo politico è esiziale per i principi di democraticità, giusto procedimento, imparzialità, efficacia e concorrenza. e lo spoil system, introdotto nel 1993 è certamente uno dei mali più gravi dell’Italia. Non è un caso che 20 anni di economia bloccata e pessima qualità dell’azione di governo coincida con la deleteria presupposizione che inserendo tra i dirigenti gli «allineati» e non i competenti si governi meglio.

Semplicemente assurda, poi, è la chiosa: «È comunque un sistema migliore [quello della cooptazione, n.d.a.] di quello di oggi in cui dirigenti non eletti osta- colano e influenzano l’operato di Governi eletti direttamente, o indirettamente come nel caso di questo Governo ‘tecnico’».

Abbiamo letto bene? «Dirigenti non eletti?». Ma cosa pretendono, Alesina e Giavazzi? L’elezione dei dirigenti? Il possesso di una tessera di partito, lo schierarsi proprio nei soggetti chiamati ad amministrare concretamente, in totale dispregio dei principi di separazione tra politica e gestione, accertati dalla Consulta e dal legislatore sulla base della lettura degli articoli 97 e 98 della Costituzione?

Oltre un secolo di diritto amministrativo e di cultura gestionale verrebbero malamente gettati via se passasse un’idea come questa, per la quale l’attività amministrativa è «innovatrice» solo se schierata, bandendo il tratto saliente che dovrebbe caratterizzare la qualità della dirigenza: l’imparzialità. o vanno bene, invece, le richieste fatte da attuali ministri, ad esempio, al Vaticano, per ottenere poltrone importanti alla banca d’Italia? Perché una dirigenza «eletta» finirebbe, ovviamente, per dipendere dall’opaca (per non dire altro) rete di cortesie, favori, favoritismi che caratterizza le trame della politica delle «nomine».

Una coscienza liberale dovrebbe prendere atto che proprio il potere di «no- mina» di dirigenti e manager è una delle più deleterie cause dell’inefficienza di aziende sanitarie, società partecipate e imprese di Stato o comunque pubbliche.

È disarmante vedere che due campioni del liberalismo come Alesina e Giavazzi paventino soltanto l’assurda ipotesi dell’elezione della dirigenza”.

[2] Sul punto, si veda la fondamentale sentenza del Tar Puglia-Lecce, Sezione II 21.12.2015, n. 3661, secondo la quale i dirigenti a contratto possono essere assunti solo in esito ad una vera e propria procedura selettiva di natura tecnica che escluda una scelta totalmente discrezionale dell’organo di governo.

[3] Se ne riporta il testo:

A decorrere dal 1° maggio 2014 il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni e integrazioni, è fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente. A decorrere dalla predetta data i riferimenti al limite retributivo di cui ai predetti articoli 23-bis e 23-ter contenuti in disposizioni legislative e regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, si intendono sostituiti dal predetto importo. Sono in ogni caso fatti salvi gli eventuali limiti retributivi in vigore al 30 aprile 2014 determinati per effetto di apposite disposizioni legislative, regolamentari e statutarie, qualora inferiori al limite fissato dal presente articolo”.

 

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