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Comunicazione di inizio lavori asseverata: natura giuridica e ambito delle verifiche istruttorie

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

La vicenda

Un privato ha presentato ricorso al T.A.R. per ottenere l’annullamento di un provvedimento inibitorio adottato dal Comune nei confronti di una pratica di Comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), ai sensi dell’art. 6-bisD.P.R. n. 380 del 2001. La comunicazione aveva ad oggetto la realizzazione di lavori di manutenzione straordinaria di un immobile.

Il Comune ha argomentato la sospensiva per la ritenuta abusività dell’immobile, ubicato nell’area retrostante di un palazzo storico ed edificato asseritamente dopo che sul palazzo è stato apposto il vincolo conservativo.

La ricorrente ha sostenuto invece che l’immobile di proprietà è stato edificato fuori dal centro abitato e prima del 1967, in un’epoca in cui il Comune era privo di uno strumento urbanistico.

Altro elemento richiesto riguarda l’accertamento della piena regolarità del manufatto e delle facoltà esercitabili sullo stesso.

Il giudizio davanti al T.A.R.

Con la sentenza n. 2052 del 29 novembre 2018, il Collegio ha accolto il ricorso, sostenendo che il provvedimento di rigetto adottato sia nullo in quanto espressione di un potere non tipizzato nell’art. 6-bisD.P.R. n. 380 del 2001.

L’istituto della C.I.L.A.: normativa e interpretazione del Consiglio di Stato

La comunicazione asseverata di inizio lavori è stata introdotta nell’ordinamento dal decreto Scia2 (D.Lgs. n. 222 del 2016), con lo scopo di fare un passo avanti nel processo di semplificazione dell’attività edilizia, attraverso un istituto ispirato alla liberalizzazione dell’attività. Com’è noto, il decreto Scia2 semplifica e liberalizza le attività edilizie inquadrando gli interventi soggetti a Scia in un elenco tassativo, mentre la Cila assume carattere residuale, si applica cioè in tutti gli altri casi diversi dal Permesso di costruire, dalla Scia e dall’edilizia libera.

La prima giurisprudenza che si è espressa sull’istituto, ha rilevato come si tratti di attività di natura privatistica, come tale non suscettibile di autonoma impugnativa davanti al giudice amministrativo (così T.A.R. Catania, I, sentenza 16 luglio 2018, n. 1497). Vale la pena di segnalare che anche la Scia è da tempo assoggettata al medesimo regime processuale. Sancisce l’art. 19, comma 6-ter, L. n. 241 del 1990, che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione sostitutiva di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati hanno la possibilità di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, possono attivare esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del CPA. Questa previsione è stata inserita nel corpus della legge generale sul procedimento dopo che la nota sentenza Ad. Plen. n. 15 del 2011, risolvendo un contrasto giurisprudenziale sul punto, chiarì una volta per tutte la natura di atto privato della Dia (oggi Scia). La modifica normativa ha dunque precisato i rimedi esperibili dal terzo, che nella perdurante incertezza sulla natura dell’istituto, comprendevano anche la possibilità di impugnare la Dia davanti al giudice amministrativo, in quanto considerata provvedimento tacito.

Nel parere della Commissione speciale del Cons. di Stato 4 agosto 2018, n. 1784, la Cila è qualificata come un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la Scia. Inoltre, il parere contiene un’affermazione di rilevante portata al fine di orientare l’attività di controllo degli enti. L’attività assoggettata a Cila non solo è libera, come nei casi di Scia, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio.

Gli effetti di questa diversa impostazione circa l’inquadramento dell’istituto, si riflettono anche sul fronte dei poteri di controllo. Mentre la Scia è assistita da poteri repressivi, inibitori e conformativi, oltre che di autotutela, la Cila può giovarsi di poteri solo sanzionatori, in quanto la P.A. in materia edilizia mantiene fermo un potere di vigilanza contro gli abusi, implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bisD.P.R. n. 380 del 2001, sulla scorta del regime giuridico di cui all’art. 27D.P.R. n. 380 del 2001.

Cosa accade dunque quando una pratica di Cila viene presentata al Comune? Che tipo di attività deve essere svolta nei confronti di questo atto? La valutazione espressa dall’ente – continua la sentenza n. 2052 del T.A.R. Catanzaro – non può essere in termini di ammissibilità o non ammissibilità, anche se residua il potere di controllare la conformità dell’immobile alle prescrizioni vigenti in materia.

Esistono però posizioni giurisprudenziali diverse. Eventuali interventi dell’ente – come ha chiarito la sentenza n. 1625 del 2016 del T.A.R. Toscana – non hanno carattere provvedimentale ma meramente informativo, non rispondendo ad un potere legislativamente tipizzato. Definire il diniego di Cila in termini di atto meramente informativo, comporterebbe la declaratoria di inammissibilità del ricorso per assenza di lesività dell’atto impugnato. Ma il T.A.R. Catanzaro è di diverso avviso. Il diniego della Cila, per quanto sia da considere nullo, ha comunque la capacità di incidere nella dinamica del rapporto giuridico amministrativo tra privato e P.A.. Pertanto, la declaratoria di nullità impedisce che il descritto rapporto giuridico amministrativo possa mantenere una zona grigia di ambiguità tra privato e amministrazione, diversamente da quanto accadrebbe se l’atto di diniego fosse qualificato come meramente informativo.

Per quanto invece riguarda la domanda di accertamento circa la piena regolarità del manufatto e le facoltà esercitabili sullo stesso, il Tribunale l’ha rigettata perché una pronuncia in tal senso, su verifiche di esclusiva pertinenza dell’Amministrazione, comporterebbe uno sconfinamento nella sfera riservata alla P.A. in un ambito dove non è ammessa la giurisdizione nel merito.

Alcune considerazioni a margine

Per altro verso, possiamo aggiungere che la norma del Testo Unico che disciplina la Cila si limita ad indicare l’obbligo di comunicazione ma non attribuisce all’ente i poteri previsti dall’art. 19 per la Scia. Per la Cila manca una definizione delle procedure da attivare in caso di difformità, proprio perché non siamo di fronte ad un titolo abilitativo e non sono previsti poteri di carattere inibitorio, conformativo, o di autotutela. Spesso, nella prassi degli uffici, proprio come è accaduto nel caso oggetto della sentenza n. 2052 del 2018 del T.A.R. Catanzaro, una disciplina analoga a quella prevista per i controlli sulla Scia è utilizzata anche in caso di Cila, per supplire alla “mancanza” di indicazioni procedurali specifiche. Quindi avremo anche per la comunicazione un termine di trenta giorni per rilevare difformità e assumere provvedimenti di sospensione, di divieto di prosecuzione dei lavori, o agire in conformazione. In realtà, questa strada appare percorribile solo in caso di intervento presentato come Cila ma rientrante nella casistica della Scia o addirittura del Permesso di costruire. I poteri inibitori sono in tali casi da riconoscere in capo all’ente, in quanto l’intervento è stato erroneamente presentato come Cila ma in realtà si tratta di una Scia o addirittura di Permesso di costruire.

T.A.R. Calabria, Catanzaro, 29 novembre 2018, n. 2052

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