tratto da quotidianopa.leggiditalia.it

Non è possibile bypassare la remunerazione della P.O. conferendo solo formalmente le funzioni ad interim al dirigente

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
Un dipendente di ente pubblico non economico ha adito il giudice del lavoro al fine di vedersi riconoscere sia le mansioni superiori di fatto espletate sia la retribuzione di posizione organizzativa a fronte delle relative responsabilità assunte. Sia il tribunale di primo grado che, successivamente, la Corte di appello hanno riconosciuto fondate le ragioni del dipendente ed hanno condannato l’ente a corrispondere sia le differenze retributive per le mansioni superiori svolte di fatto, sia la retribuzione di posizione, a nulla rilevando la difesa dell’ente circa il mancato formale conferimento dell’incarico al dipendente, considerando che l’assunzione ad interim delle funzioni assegnate al dirigente fossero prive di contenuto avendo il dipendente in piena autonomia svolto le relative funzioni di fatto.
Avverso la decisione dei giudici di secondo grado è ricorso in Cassazione l’ente evidenziando come nel caso di specie l’indennità di posizione può essere riconosciuta solo ai dipendenti ai quali sia stata assegnata, formalmente ed a seguito di procedura concorsuale, una posizione organizzativa, che non coincide con lo svolgimento delle mansioni riconducibili alla categoria superiore, in quanto richiede l’espletamento di compiti di elevata responsabilità. L’indennità, quindi, in quanto correlata ad un incarico temporaneo e revocabile, non può essere apprezzata ai fini del giudizio di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost. e conseguentemente non può essere rivendicata in caso di svolgimento delle funzioni in via di mero fatto. Proprio in tale direzione è stato sottoscritto l’accordo quadro ai sensi del quale in caso di assegnazioni a mansioni superiori, al dipendente può essere riconosciuta la sola differenza sul trattamento economico fondamentale, con esclusione di ogni voce retributiva del trattamento accessorio.
I principi di diritto del giudice di legittimità e del giudice delle leggi
Precisa in via preliminare la Cassazione, in conformità ai principi di diritto del giudice di legittimità, che, ove il dipendente venga chiamato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall’ente, e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o l’illegittimità del provvedimento formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l’intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, ivi compreso quello di carattere accessorio, che è comunque diretto a commisurare l’entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa.
Il discorso delle posizioni organizzative non è dissimile da quello da sempre precisato dal giudice di legittimità, secondo cui l’assegnazione di fatto a mansioni dirigenziali, in relazione alla quale si è ritenuta spettante la retribuzione di posizione, anche in assenza di atti formali, in quanto collegata «al livello di responsabilità conseguente alla natura dell’incarico, all’impegno richiesto, al grado di rilevanza, alla collocazione istituzionale dell’ufficio» (Cass. 10.6.2014 n. 13062 che richiama in motivazione la citata Cass. S.U. n. 3814/2011), dati, questi, che non possono non rilevare ai fini del giudizio di proporzionalità di cui all’art. 36 cost., del quale l’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001 costituisce attuazione. D’altra parte, questo principio non può essere limitato al solo caso in cui le mansioni superiori vengano svolte in esecuzione di un provvedimento di assegnazione, ancorché nullo. Il principio della giusta retribuzione indicato in diverse occasioni dalla Consulta obbliga il datore di lavoro ad integrare trattamento economico del dipendente nella misura della qualità del lavoro effettivamente prestato prescinda dalla eventuale irregolarità dell’atto o dall’assegnazione formale a mansioni superiori e come il mantenere, da parte della pubblica amministrazione, l’impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determini una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto ( tra le tante Corte Cost. sent n. 57/1989n. 296/1990n. 236/1992n. 101/1995n. 115/2003n. 229/2003).
Pertanto, in merito alla mansioni superiori, precisano i giudici di Piazza Cavour, le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore devono essere circoscritte ai casi in cui l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente (cfr. Cass. n. 27887 del 2009), o, infine, qualora la prestazione sia stata resa in violazione di principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. 29.11.2016 n. 24266), ma dette ipotesi non ricorrono nel caso di specie, né l’ente ne ha evidenziato la possibilità.
La particolarità delle posizioni organizzative
In merito alla posizione organizzativa, l’attribuzione al dipendente pubblico risponde all’esigenza di tener conto in modo adeguato della differenziazione delle attività, che indubbiamente sussiste anche in un sistema fondato sui principi della flessibilità e della equivalenza, sotto il profilo professionale, delle mansioni ricomprese nel medesimo livello di inquadramento. In altri termini, nell’ambito dell’organizzazione dell’ente, determinate funzioni, pur esprimendo la medesima professionalità che caratterizza l’area di inquadramento più elevata, rivestono un ruolo strategico e di alta responsabilità, che giustifica, come per il rapporto di natura dirigenziale, la sottoposizione alla logica del risultato, l’assoggettamento a valutazione e, correlativamente, il riconoscimento di un compenso aggiuntivo. Pertanto, una volta che l’ente abbia istituito e si accerti che il dipendente abbia svolto con pienezza di poteri le mansioni connesse all’incarico, assumendone la relativa responsabilità, non è corretto valorizzare quei compiti ai soli fini della comparazione fra i livelli di inquadramento ( quello posseduto dal dipendente e quello sotteso alla posizione organizzativa), riconoscendo l’esercizio di fatto delle mansioni superiori, ma escludendo al tempo stesso il conferimento, sempre in via di fatto, della posizione organizzativa.
Nel caso di specie, quindi, con discorso logico e privo di censure, la Corte di appello ha accertato che il dipendente avesse svolto di fatto funzioni che solo formalmente erano state assegnate ad interim al dirigente, con conseguente rigetto del ricorso dell’ente.

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