17/01/2020 – Quali opere possono dirsi assumere le caratteristiche della pertinenza urbanistica?

Quali opere possono dirsi assumere le caratteristiche della pertinenza urbanistica?
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Adito per l’annullamento ovvero la riforma della sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 22 febbraio 2013 n. 1014 il Consiglio di Stato si sofferma in tema di abusivismo edilizio concentrandosi in particolare sulla natura giuridica della cd. pertinenza urbanistica, rilevante (nel caso concreto) al fine di considerare la costruzione come liberamente realizzabile.
Si è detto: «il riconoscimento – o meno – della natura pertinenziale dell’opera rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è necessario per realizzarla» (Cons. Stato, sez. II, 3 settembre 2019, n. 6068).
Nel colco di un consolidato orientamento di giurisprudenza il Consiglio di Stato precisa come il vincolo pertinenziale – che lega un manufatto accessorio ad un manufatto principale – debba essere inteso in senso oggettivo ragion per cui il primo non è suscettibile di alcuna diversa utilizzazione economica.
Gli elementi costitutivi della pertinenza urbanistica possono dunque essere individuati:
– nell’esiguità quantitativa del manufatto (che cioè deve essere tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio);
– nell’esistenza di un collegamento funzionale tra il manufatto e l’edificio principale (non potendo, di conseguenza, il primo di essere utilizzato separatamente ed autonomamente rispetto al secondo: Cons. Stato, sez. II, 5 giugno 2019, n. 3807).
Ed allora, dal punto di vista urbanistico, non possono ritenersi beni pertinenziali quegli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio a un bene principale, non siano tuttavia coessenziali -ma ulteriori- rispetto ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo autonomo, e separato, e in quanto occupanti aree e volumi diversi dal bene principale.
Tale natura, dunque, è riconoscibile, secondo consolidata giurisprudenza, soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a quella principale (piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici etc.) e non anche a quelle opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, presentino una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa.
Intervenuta sul tema la giurisprudenza civile ha precisato: «per la costituzione del vincolo pertinenziale è necessario non soltanto l’elemento oggettivo, consistente nella materiale destinazione del bene accessorio ad una relazione di complementarietà con quello principale, ma anche l’elemento soggettivo, consistente nella effettiva volontà del titolare del diritto di proprietà, o di altro diritto reale di godimento, sui beni collegati, giacchè soltanto chi abbia la piena disponibilità giuridica di entrambi i beni può utilmente attuare la destinazione della “res” al servizio o all’ornamento del bene principale, occorrendo altrimenti un rapporto obbligatorio costituito tra i rispettivi proprietari (Cass. Sez. 2, 20/01/2015, n. 869Cass. Sez. 2, 10 giugno 2011, n. 12855Cass. Sez. 2, 28 aprile 2006, n. 9911Cass. Sez. 2, 2 marzo 2006, n. 4599Cass. Sez. 2, 29 aprile 2003, n. 6656Cass. Sez. 2, 30 luglio 1990, n. 7655)» (Cass. civ., sez. VI – 2, Ord., 17 ottobre 2017, n. 24432).
Orbene, la nozione generale di pertinenza sul piano urbanistico-edilizio assume delle peculiarità, rispetto alla nozione civilistica ricavabile dall’art. 817 c.c., data la specificità della materia e la differente finalità pubblica posta a base della relativa normativa.
Il concetto di pertinenza urbanistica è, cioè, meno ampio di quello ex art. 817 c.c., tale da non poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato come principale (Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2010, n. 3127).
La pertinenza urbanistica è, dunque, configurabile – come anticipato – quando vi sia un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione del bene accessorio, di modesta consistenza, esclusivamente ad un uso pertinenziale durevole, sempreché l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico (Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 406Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 13T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 6 febbraio 2018, n. 761; da ultimo T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 21 settembre 2019, n. 4530).
La pertinenza urbanistico-edilizia quindi:
– deve avere una propria identità fisica ed una propria conformazione strutturale;
– deve essere preordinata ad un’esigenza effettiva dell’edificio principale, al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva;
– non deve possedere un autonomo valore di mercato, nel senso che il suo volume non deve consentire una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.
Va da sé, inoltre, che – in linea di principio – se l’opera pretesamente pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno: e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per la sua realizzazione (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 28 settembre 2018, n. 5090) e, conseguentemente, la medesima circostanza non può non assumere valenza pure per le piscine, ancorché prefabbricate.
Si è detto ancora in giurisprudenza:
– «il muro di cinta o di contenimento è struttura che – differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale ha caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà – non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato» (Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 2019, n. 5911);
– «ai fini dell’individuazione del rapporto di proporzione dimensionale tra costruzione principale e pertinenza assume rilievo anche l’art. 3, comma 1, lett. e.6, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – già vigente all’epoca dei fatti di causa – laddove dispone che sono da considerare “interventi di nuova costruzione” , abbisognevoli pertanto del rilascio del permesso di costruire ovvero di altro titolo edilizio ad esso equiparato gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% di quello dell’edificio principale. Da ciò dunque si ricava la norma di principio in forza della quale la pertinenza urbanistico-edilizia non può avere un volume superiore del 20% rispetto all’edificio principale» (Cons. Stato, sez. II, 22 luglio 2019, n. 5130);
– «Nell’ordinamento statale, (…), vi è il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un “manufatto edilizio”: salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera, come una tettoia, che ne alteri la sagoma” (Cons. Stato, Sez. VI , 13 marzo 2017 , n. 1155). In breve, “una tettoia in legno posta a confine… e imbullonata al muro perimetrale della … abitazione, di ampie dimensioni e stabilmente ancorata al muro perimetrale dell’immobile, non può essere considerata di natura pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della sagoma e del prospetto dell’edificio comportante il previo rilascio di titolo abilitativo espresso” (Cons. Stato, Sez. IV , 29 aprile 2011 , n. 2549)» (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 7 gennaio 2019, n. 190).

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