Tratto da Formiche.net un articolo di Massimo Balducci

Le riforme a spezzatino hanno fatto abbastanza danni. Il livello di governo va ridisegnato individuando istituti diversi a seconda delle funzioni, articolando la funzione di controllo, quella di erogazione dei servizi e quella identitaria. Il confronto con i modelli di Francia e Germania

Le chiusure più o meno parziali delle attività miranti a contenere il contagio del Covid-19 sono articolate per regioni. Da molte parti si è messo in evidenza che la dimensione regionale parrebbe non essere adeguata. Si tratta di una dimensione, spesso, troppo grande che mette insieme territori dove il contagio è molto basso (zona di Brescia e di Bergamo) e zone dove il contagio è molto alto. (Monza). Ci si chiede se per Brescia e Bergamo non sarebbero più adeguate misure più elastiche di quelle previste dalla così detta zona rossa mentre per l’area di Monza sarebbero probabilmente più adeguate misure più rigide di quelle previste attualmente. Se questa osservazione è corretta, quale dovrebbe essere dunque la dimensione di governo delle problematiche periferiche? Rammentiamo qui che, ai sensi della legge 833 del 1978 (che ha istituito il nostro sistema sanitario nazionale), la dimensione del bacino delle USL avrebbe dovuto collocarsi tra il 350.000 e i 500.000 abitanti. Questa dimensione è stata poi superata a seguito della legge 502 del 1992 in nome di ipotetiche economie di scala mai realizzate.

Se prendiamo in considerazione il caso tedesco, i provvedimenti relativi al contrasto del Covid-19 non vengono presi a livello di Bund(Stato Federale) né a livello di Laender (stati Federati). Questi provvedimenti (ad esempio la chiusura di certi mercatini) vengono presi dai Landeskreise. Vale la pena cercare di capire cosa sono questi Landeskreise. Bisogna pensare che in Germania si è tradizionalmente (a partire dal XVII secolo) separato lo strumento di controllo del governo centrale sulle autonomie locali (Prefetture Regierungspraesidien) dallo strumento di erogazione dei servizi (Landeskreise). I servizi tecnici non posso essere erogati dai piccoli comuni che li devono conferire ad un livello superiore, appunto il Landeskreis. Si tratta di entità governate da un Consiglio formato dai sindaci dei comuni afferenti. In quanto governato da sindaci dispone del potere di usare la coercizione, dal momento che, come in tutta l’Europa Continentale, anche in Germania i sindaci sono ufficiali di governo per quello che riguarda l’ordine pubblico e l’igiene. Mediamente per ogni Prefettura (Regierungspraesidium) in Germania esistono due Landeskreise.

In Francia e in Italia la situazione è diversa. L’idea che i poteri pubblici debbano erogare servizi è molto recente. In Francia e in Italia le Province si sono identificate con la Prefettura sino alla fine della seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto si è sentito il bisogno di arginare il potere dei prefetti che in Italia e in Francia erano percepiti come collaboratori del regime fascista e come collaboratori dell’occupante tedesco. Si pensi che in Francia le riunioni del Consiglio Provinciale avvengono alla presenza del Prefetto. In Italia la prima competenza che è stata trasferita dalle Prefetture alle Province è stata la competenza sugli ospedali psichiatrici che si pensava fossero stati usati come strumento, sotto traccia ma molto efficace, di controllo politico e sociale.

 

Di fatto in Germania abbiamo tre livelli di governo del territorio, ognuno dei quali svolge funzioni diverse:

  • il livello delle prefetture (organi di deconcentrazione amministrativa ) che svolgono una funzione di controllo, non degli enti locali ma del territorio;
  • il livello di erogazione dei servizi (Landeskreis)
  • il livello della identità culturale (il comune).

Da notare che in Germania non si sente il problema dei piccoli comuni (la cui dimensione media è simile a quella italiana). Per una dettagliata e non noiosa presentazione del caso francese e di quello tedesco mi permetto di rimandare a M. Balducci. E. Eisenberg, R. Herzog, “La provincia tra regione e organismi di cooperazione intercomunale; spunti di analisi comparata”, in Nuova Antologia, Novembre-Dicembre 2019.

In Italia e in Germania manca la dimensione relativa all’erogazione dei servizi. In Francia nel frattempo hanno posto rimedio al problema. In Francia (dove abbiamo ca. 34.000 comuni nei confronti degli 8.000 comuni italiani) si era assistito, come in Italia, ad una esplosione di enti partecipati per la fornitura dei servizi per i quali la maggior parte dei comuni erano troppo piccoli. A partire dal 2010, con interventi legislativi chirurgici progressivi, l’erogazione dei servizi è stata concentrata nelle “comunità urbane”, sorta di associazione di comuni governata dai sindaci dei comuni afferenti. Il potere impositivo è stato trasferito a queste comunità. È a queste comunità urbane che afferisce la gestione del sistema ospedaliero. Va qui notato che l’introduzione delle “comunità urbane” ha determinato nel giro di pochi anni il dimezzamento degli enti partecipati dai comuni. Gli orgogliosi Prefetti francesi affermano con convinzione che lo Stato francese non è collassato di fronte alla sfida del Covid-19 grazie all’azione dei sindaci e delle loro comunità urbane. Si noti, qui, che, a fronte di più di 34.000 comuni (molti dei quali piccolissimi) in Francia non si è mai pensato di ridurre il numero dei comuni e di forzarne la fusione. In un momento in cui la legittimazione dei sistemi democratici è in crisi, la partecipazione dei cittadini alla vita politica locale rappresenta oggi un forte aggancio del cittadino ai valori dello Stato di Diritto (o, come amano dire in Francia, ai valori della Repubblica).

E l’Italia? Dove ci collochiamo noi in questo processo?

Nel 1976 avevamo imboccato la strada giusta, con gli interventi di vera ingegneria istituzionale e costituzionale realizzati da Massimo Severo Giannini. A partire dal DPR 616 del 1977 con cui sono state massicciamente trasferite dallo Stato alle regioni praticamente tutte le competenze in materia di servizi. Dal momento che le regioni sono enti di programmazione, queste competenze si sono riversate sui comuni. Nello stesso periodo vengono istituite le “associazioni intercomunali” proprio nella prospettiva di gestire i servizi. Le USL, in Emilia Romagna e Toscana, in effetti, si hanno il loro antecedente proprio in associazioni intercomunali.

Anziché procedere per questa strada, affinando i meccanismi di collaborazione tra i comuni, l’erogazione dei servizi è stata progressivamente esternalizzate a società partecipate (con il meccanismo in house) formalmente controllate da gruppi di comuni che detengono la maggioranza del capitale ma sostanzialmente gestite dal socio privato, l’unico che dispone del know how tecnico necessario. La vicenda della sanità imbocca un percorso tutto suo con la legge 502 del 1992 (legge De Lorenzo) con la quale le USL vengono trasformate in aziende USL e sottoposte alla gestione diretta della Regione. Qui va rimarcato che, se in una USL relativa ad un bacino di 350.000 abitanti poteva al limite essere concepito il fatto che i presidi ospedalieri non avessero né personalità giuridica né autonomia contabile, in aziende USL che in Toscana vanno da Arezzo a Pistoia comprendendo i territori di Firenze e Prato, o che nelle Marche comprendono tutto il territorio regionale, il fatto che i presidi ospedalieri non abbiano personalità giuridica né autonomia contabile ha determinato un livello di confusione istituzionalizzata.

Quella del livello territoriale più adeguato di risposta al Covid-19 dovrebbe farci capire che l’ora delle riforme a spezzatino senza un disegno complessivo ha fatto già abbastanza danni. Il livello di governo tra il comune e la regione va ridisegnato individuando istituti diversi a seconda delle funzioni, articolando la funzione di controllo (prefettizia), quella di erogazione dei servizi tra i quali quello sanitario (intercomunale) e quella identitaria fondamentale per la democrazia (comune).

 

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