tratto da Italia Oggi - 15 Luglio 2020
C’è differenza tra i rifiuti delle case e degli alberghi 
di BENITO FUOCO E NICOLA FUOCO
Italia Oggi – 15 Luglio 2020
 
I rifiuti delle strutture ricettive non sono equiparabili a quelli delle abitazioni private; di più: in tema di delibera comunale di determinazione della tariffa non è configurabile alcun obbligo motivazionale. Sono le conclusioni che si leggono nella Sentenza n. 14272/2020 emessa dalla sezione tributaria della Cassazione depositata in Cancelleria l’ 8 luglio scorso.
Il ricorso trattato dalla Corte di cassazione riguarda una differenziazione della tariffa sui rifiuti in funzione della potenzialità di ciascun tipo di attività. Nel caso specifico, riformando la decisione del collegio provinciale ed accogliendo il ricorso introduttivo, la Commissione tributaria regionale della Puglia (sede staccata di Foggia) aveva disapplicato le deliberazioni comunali sulla Tarsu; la sentenza, era stata emessa in ragione dell’ equiparabilità dei mini alloggi e delle poche stanze di albergo nell’ ambito di un villaggio turistico alle normali case di abitazione sul piano della capacità di produrre rifiuti, come era stato fatto con il regolamento comunale in tema di Tari. Il ricorso presentato contro questa decisione dal comune di Vieste (Fg) è stato accolto dalla Cassazione che, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso introduttivo della società contribuente.
La Corte ha chiarito che, in tema di Tarsu, la norma lascia ai comuni un ampia discrezionalità regolamentare e, in linea di massima, gli alberghi possono anche essere nello stesso gruppo delle abitazioni private. Questo, tuttavia, precisa il collegio di Piazza Cavour, non significa che la classificazione debba necessariamente essere omogenea per abitazioni ed alberghi ritenendo legittima una eventuale differenza, anche se molto superiore. La Corte ha quindi precisato che «per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili».
Sicché, in definitiva, il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sé, contrario al principio «chi inquina paga» recepito dall’ art. 11 della direttiva 1975/442 essendo commisurato ad una serie di presupposti variabili. Per quanto concerne l’ obbligo motivazionale della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all’ articolo 65 del dlgs. n.507/1993, i giudici hanno, quindi, ribadito che non è configurabile alcun obbligo di motivazione poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili.
Per quanto, infine, concerne il potere di disapplicare l’ atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, la Corte ha detto che la disapplicazione del giudice tributario ad un regolamento comunale può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’ atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) e non alla contestazione della validità dei criteri seguiti dal comune nell’ adottare la delibera. Nell’ ambito degli atti regolamentari dei comuni, infatti, esiste uno spazio di discrezionalità insindacabile in sede giudiziaria.

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