Dal sito leautonomie.asmel.eu un articolo di Matteo Barbero

L’ultima relazione semestrale presentata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (deliberazione n. 15/ SSRRCO/REF/2023) ha esposto dati preoccupanti sull’avanzamento degli interventi.

Guardando ai flussi che transitano sulle specifiche contabilità di tesoreria, prevalentemente per i nuovi progetti, e a quelli del bilancio, per gli investimenti in essere, emerge che la spesa sostenuta dalle Amministrazioni può essere stimata, a fine 2022, in oltre 23 miliardi, appena il 12 per cento delle dimensioni finanziarie complessive del Piano (191,5 miliardi). Tale dato, però, incorpora anche i crediti d’imposta del piano Transizione 4.0 relativi ai beni strumentali innovativi e alle attività di formazione, nonché all’intervento di rafforzamento dell’Ecobonus-Sismabonus, per i quali si è registrato un livello di spesa molto più elevato di quanto previsto, ma che poco hanno a che fare con la capacità di realizzare gli investimenti pubblici.

Al netto di tali misure, il livello di attuazione finanziaria scende al 6 per cento. Ad esclusione della missione 3 “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” (con un rapporto tra spesa sostenuta e totale delle risorse del 16,4 per cento), tutte le altre missioni si attestano ben al di sotto del 10 per cento; tre missioni (4, 5 e 6) non raggiungono nemmeno la soglia del 5 per cento.

Tale situazione, annota eufemisticamente la Corte, mette in evidenza l’importante sforzo finanziario richiesto nei prossimi anni per assicurare il pieno utilizzo delle risorse stanziate nel Piano.

In questo quadro (decisamente preoccupante), si inserisce il D.L. 13/2023, con il quale il nuovo governo ha tentato di imprimere un’accelerazione. Oltre ad una nuova batteria di “semplificazioni” (le virgolette sono dovute alle scetticismo di chi da decenni assiste a continui tentativi in tal senso che quasi sempre si sono rivelati vani all’atto pratico) e alla semplificazione dell’iter per l’erogazione di anticipi di cassa a favore degli attuatori, il provvedimento si concentra soprattutto sulla governance del Piano, che viene maggiormente accentrata sulla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

È dei giorni scorsi la costituzione di una nuova struttura di missione, il cui coordinamento è stato affidamento al dott. Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, magistrato contabile dal 1997 e Presidente di Sezione della Corte dei conti dal 2021. Secondo il Ministro Raffaele Fitto, “la scelta di un alto magistrato della Corte dei conti, esperto nel vasto ambito dei fondi europei, denota l’attenzione e la cura del Governo per il corretto utilizzo delle risorse Pnrr a beneficio dei cittadini, famiglie e imprese, destinatari degli interventi di sviluppo promossi dal Piano. È una scelta di responsabilità: quelle risorse – conclude il Ministro – sono il futuro dell’Italia”.

A parere di chi scrive, la scelta di rafforzare il coordinamento centrale è centrata. Uno dei maggiori freni all’attuazione del Pnrr, infatti, è rappresentato dalla sua elevata frammentazione. La relazione semestrale prima citata ha censito oltre 134mila interventi, ma in realtà si tratta di un numero decisamente inferiore a quello reale, posto che Ifel ha calcolato che solo per i comuni mancano altri 18mila Cup. Ma non basta.

La frammentazione si è sviluppata anche a livello di regole: ogni amministrazione responsabile ha dettato le proprie (attraverso manuali, check list, circolari, faq), con tempi e modalità quasi mai allineate a quelle delle altre. Il risultato è un quadro estremamente eterogeneo e difficilmente decifrabile anche per il più attento degli operatori.

L’ovvia conseguenza è che la piattaforma informativa implementata per supportare il processo di monitoraggio e rendicontazione (il famigerato Regis) è ben lontana dall’essere pienamente operativa, come confermato dalla recentissima circolare n. 19/2023 con cui la Ragioneria generale dello Stato ha cercato di porre rimedio ai tanti ritardi.

Non è difficile scorgere in questa circolare un richiamo ai Ministeri, che spesso in questi mesi hanno opposto un assordante silenzio alle tante richieste dei soggetti attuatori (salvo poi pretendere risposte immediate quando i ruoli si invertono). Il risultato che oggi Regis evidenzia un avanzamento inferiore a quello reale e ostacola il pieno avvio del circuito finanziario.

In questo senso, attribuire ad una sola unità organizzativa centrale un potete di coordinamento potrebbe aiutare a vincere alcune resistenze e ritrosie. Dalle dichiarazioni di Fitto, però, sembra emergere una diversa preoccupazione e la consuete diffidenza verso chi è chiamato a spendere i tanti soldi del Pnrr.

Ciò che frena il Pnrr non è la mancanza di controlli (ce ne sono anche troppi, piuttosto si potrebbe dubitare della loro utilità ed efficacia), ma la carenza di capacità programamtorie e manageriali da parte di chi dovrebbe gestirlo ai massimi livelli. Sarebbe importante che il Governo (che ha ereditato il Pnrr dai precedenti e che quindi ha evidentemente poche responsabilità rispetto alle tante criticità che esso sta manifestando) ne fosse consapevole e si rendesse conto che il principale rischio non è che questi soldi vengano spesi male, ma che vengano spesi solo in minima parte

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