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Sì al compenso dei dipendenti pubblici se componenti esterni di commissioni di concorso
 
La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, col parere 440/2019 fornisce una lettura dell’articolo 3, commi da 12 a 14, della legge 56/2019 secondo la quale è possibile e doveroso compensare i componenti esterni delle commissioni di concorso, abbiano o meno la qualifica dirigenziale.

Chi scrive ebbe ad esporre le medesime conclusioni ed argomentazioni nel novembre 2019, con un articolo su La Gazzetta degli Enti Locali, ed Maggioli.

Se ne riporta il testo.

 

Commissari di concorso: se dipendenti pubblici sempre in servizio. I compensi solo se “esterni”
Di Luigi Oliveri
L’articolo 3, commi da 12 a 14, della legge 56/2019, si rivela norma estremamente complessa e difficile da attuare. Pur appartenendo ad una legge che pomposamente di autoqualifica “concretezza”, di concreto, considerata la poca qualità della formulazione del testo, ha purtroppo ben poco. La concretezza nel lavoro pubblico (e ovviamente non solo) si conquisterebbe prima di tutto scrivendo le leggi in modo chiaro e non arruffato.
Andiamo al problema. Esaminiamo il testo del comma 12 dell’articolo 3 citato prima: “Gli incarichi di presidente, di membro o di segretario di una commissione esaminatrice di un concorso pubblico per l’accesso a un pubblico impiego, anche laddove si tratti di concorsi banditi da un’amministrazione diversa da quella di appartenenza ferma restando in questo caso la necessita’ dell’autorizzazione di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si considerano ad ogni effetto di legge conferiti in ragione dell’ufficio ricoperto dal dipendente pubblico o comunque conferiti dall’amministrazione presso cui presta servizio o su designazione della stessa”.
 
Riscritta in maniera più comprensibile, la norma stabilisce che:
  1. un dipendente pubblico incaricato come presidente, membro o segretario di una commissione di concorso pubblico;
  2. sia che dipenda dalla medesima amministrazione che ha indetto il concorso, sia che dipenda da altra amministrazione;
  3. svolge l’incarico:
1.         sempre in ragione dell’ufficio ricoperto: è, quindi, un’attività che rientra nelle prerogative dei dipendenti pubblici, e
1.        se presso la medesima amministrazione di appartenenza, l’incarico è svolto in quanto conferito dall’amministrazione presso cui presta servizio;
 
2.        se presso alta amministrazione, l’incarico è svolto su designazione ed eventualmente designazione dell’amministrazione presso cui presta servizio.
Il principale scopo della norma è evidenziare che lo svolgimento dei ruoli acquisibili nell’ambito delle commissioni di concorso pubblico attiene alla fondamentale funzione pubblicistica di reclutamento del personale, necessario al buon andamento della pubblica amministrazione. Quindi, affermazione 1., ogni dipendente pubblico che venga incaricato di far parte di una commissione di concorso svolge attività considerate comprese nei doveri d’ufficio. Questa precisazione è utile per verificare in che rapporto stia l’assegnazione dell’incarico con la altrettanto complessa formulazione dell’articolo 53, comma 2, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale “Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati”. Trattandosi di doveri d’ufficio (potenziali, resi effettivi appunto dall’incarico), le pubbliche amministrazioni possono sempre incaricare nelle commissioni d’esame propri dipendenti.
Ora, poiché l’incarico è svolto nell’espletamento di doveri d’ufficio, scatta una precisa conseguenza, riferita al caso di assunzione di ruoli in commissioni d’esame nell’ambito del medesimo ente di appartenenza: il presidente, il componente o il segretario della commissione, poiché svolgono una funzione connessa al proprio ufficio, sono da considerare a tutti gli effetti in servizio ed adibiti correttamente ad una prestazione lavorativa, per quanto difforme da quella generalmente svolta, ma liberamente pretensibile dal datore di lavoro e comunque potenzialmente attinente sempre alle proprie mansioni.
 
Di conseguenza, contrariamente alla prassi che era molto in voga tempo addietro presso le pubbliche amministrazioni, il dipendente dell’ente che ha indetto il concorso, non deve essere considerato assente dal servizio e tenuto a timbrare per la durata dell’attività della commissione.
Il dipendente incaricato nella commissione può e deve svolgere le attività nella commissione senza timbrare, ma solo ovviamente comunicando a chi di interesse l’indisponibilità alle attività generalmente svolte, perché impegnato in commissione.
Ulteriore conseguenza di questa previsione è che il dipendente della medesima amministrazione procedente non può ottenere alcun compenso per l’attività svolta nella commissione.
Come chiarito dal Tar Veneto, Sezione II, con sentenza 700/2007, “la partecipazione alle commissioni giudicatrici per i componenti interni rientra nell’ordinario contenuto del rapporto di impiego con l’Amministrazione che ha indetto il concorso, il quale ben può comprendere anche prestazioni lavorative occasionali (che, proprio per tale loro specifica natura, non sono previste dalla contrattazione collettiva di settore). Ed è evidente come, in tale contesto, quelle prestazioni occasionali non possano che essere remunerate con la normale retribuzione se svolte durante l’orario di servizio, ovvero, al di fuori di esso, con il compenso aggiuntivo previsto per il lavoro straordinario”.
Del resto, se l’ente attribuisse compensi al proprio dipendente per l’espletamento di un’attività comunque rientrante nei propri doveri, ancorchè si tratti di attività svolta solo in occasione di concorsi, si violerebbe senza alcun dubbio il principio di onnicomprensività. Lo ha chiarito anche la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania con delibera 11 dicembre 2014, n. 247, riferita specificamente alle commissioni di gara d’appalto, ma in tutto da riconnettere anche alla questione di cui qui si tratta: “l’onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti della Pubblica Amministrazione costituisca un principio valido per la generalità dei pubblici dipendenti, salve le eccezioni specificamente previste dalla legge e dai contratti collettivi. Detto principio impedisce di attribuire compensi aggiuntivi qualora gli stessi rientrino nelle funzioni attribuite e nelle connesse responsabilità, per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici, e, in ogni caso, allorché ci si trovi in cospetto di un’attività che rientri nei compiti istituzionali della Pubblica Amministrazione cui appartiene il soggetto chiamato a svolgerla”.
 
D’altra parte, ai sensi dell’articolo 45, comma 1, del d.lgs 165/2001, “il trattamento economico fondamentale ed accessorio fatto salvo quanto previsto all’articolo 40, commi 3-ter e 3-quater, e all’articolo 47-bis, comma 1, è definito dai contratti collettivi”. Nessun Ccnl ha mai espressamente consentito compensi, anche accessori, per le funzioni svolte nelle commissioni. Dunque, le amministrazioni non hanno alcuna legittima e lecita possibilità di remunerare le funzioni dei propri dipendenti incaricati nelle commissioni d’esame.
Se quanto fin qui affermato si può considerare acclarato, i problemi nascono con il comma 13 dell’articolo 3 della legge 56 e, soprattutto, con il comma 14.
Il comma 13 rinvia ad un successivo decreto (il termine, ordinatorio, per adottarlo è ovviamente spirato già da un po’) la determinazione dei compensi per i componenti delle commissioni, precisando che “I compensi stabiliti con il decreto di cui al precedente periodo sono dovuti ai componenti delle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici per l’accesso a un pubblico impiego nominate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Si dovrebbe dedurre, quindi, che resti vigente fino al nuovo decreto il Dpcm 23 marzo 1995, attuativo dell’articolo 18 del dpr 487/1994, come restino vigenti i regolamenti locali di disciplina dei compensi ai commissari, purché esterni.
Ma, sui compensi ai commissari “esterni”, fermo restando che non vi è problema alcuno per chi non abbia lo status di dipendente pubblico, la nuova disciplina introdotta dalla legge 56/2019 è da intendere nel senso che un dipendente pubblico designato da un’amministrazione diversa da quella che gestisce il concorso non possa percepire alcun compenso?
Oggettivamente, il comma 12 dell’articolo 3 della legge 56/2019, quando afferma che gli incarichi si intendono assegnati in ragione dell’ufficio “anche laddove si tratti di concorsi banditi da un’amministrazione diversa da quella di appartenenza” crea non poca confusione. Infatti, ad una prima lettura si è portati a ritenere che, dunque, nessun dipendente pubblico possa essere remunerato se presta attività in una commissione di concorso pubblico anche se operante presso un ente diverso da quello di appartenenza. Al limite, tale ente potrà solo rimborsare i costi vivi della missione.
Ma, a complicare ulteriormente il quadro c’è il comma 14 del medesimo articolo 3. Leggiamolo: “Fermo restando il limite di cui all’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la disciplina di cui all’articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non si applica ai compensi dovuti al personale dirigenziale per l’attività di presidente o di membro della commissione esaminatrice di un concorso pubblico per l’accesso a un pubblico impiego”.
 
L’articolo 24, comma 3, del d.lgs 165/2001 stabilisce: “Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza”.
E’ esattamente la norma che disciplina in via esplicita l’onnicomprensività della retribuzione, che invece per i dipendenti privi di qualifica dirigenziale opera solo come principio elaborato dalla giurisprudenza.
Quindi, l’articolo 3, comma 14, della legge 56/2019 è una regola speciale, posta a legittimare la corresponsione di un compenso ai dirigenti pubblici incaricati – evidentemente da un’amministrazione diversa da quella di appartenenza – dei ruoli di presidente o commissario o segretario di commissioni di concorso. Infatti, tale articolo 3, comma 14, disapplica l’articolo 24, comma 3, che estende l’onnicomprensività non solo a qualsiasi incarico sia affidato al dirigente dall’amministrazione di appartenenza, ma anche da amministrazioni diverse, su designazione di quella di appartenenza.
La disapplicazione per i dirigenti dell’articolo 24, comma 3, del d.lgs 165/2001, porta allora a concludere:
  1. i dirigenti non possono essere mai remunerati, come tutti gli altri dipendenti pubblici, per incarichi nell’ambito di commissioni di concorso operanti presso l’amministrazione di appartenenza;
  2. al contrario, i dirigenti possono ricevere compensi, se incaricati da altre amministrazioni, previa autorizzazione o designazione dell’amministrazione di appartenenza;
  3. infatti, la disapplicazione dell’articolo 24, comma 3, è totale: quindi, i compensi dovuti da terzi andranno direttamente al dirigente designato e non al bilancio dell’amministrazione designante (o autorizzante) per poi confluire nelle risorse variabili del fondo contrattuale della dirigenza.
Si giunge, dunque, al paradosso che i dirigenti possono essere remunerati, mentre i dipendenti privi di qualifica dirigenziale no?
Questa conclusione appare avvalorata da una prima lettura delle norme viste prima. Ma, a ben vedere è da rigettare. Infatti, confliggerebbe, in primo luogo, con l’articolo 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro […]”. Non si vede perché una prestazione resa dal dirigente come componente di una commissione d’esame autorizzato/designato da un’amministrazione diversa da quella procedente possa essere considerata quantitativamente e qualitativamente diversa da una medesima prestazione resa da un dipendente pubblico non avente qualifica dirigenziale.
 
In ogni caso, la precisazione contenuta nel comma 14 dell’articolo 3 della legge 56/2019 pare debba essere letta esattamente all’inverso di quanto a prima vista appaia. Non nel senso di autorizzare il pagamento di compensi solo ai dirigenti, ma non ai dipendenti. All’opposto, di consentire “anche” ai dirigenti (se componenti “esterni”) di ottenere quella remunerazione che spetterebbe ai dipendenti privi di qualifica dirigenziale, se incaricati in commissioni di concorso di enti diversi da quello di appartenenza.
E’ solo per la dirigenza pubblica, infatti, che l’onnicomprensività della retribuzione si estende, ai sensi dell’articolo 24, comma 3, del d.lgs 165/2001, a qualsiasi incarico, qualsiasi sia l’ente incaricante: quello di appartenenza o altro. Invece, per i dipendenti non aventi qualifica dirigenziale, l’onnicomprensività, enunciata solo dalla giurisprudenza e non definita dalla legge, si limita al solo rapporto con l’ente di appartenenza.
Non osta a questa conclusione il già citato articolo 45, comma 1, del d.lgs 165/2001: esso, infatti, rimette ai contratti collettivi il trattamento economico, tanto fondamentale, quanto accessorio. Ma, i contratti collettivi non possono che regolare il rapporto intercorrente tra dipendente ed amministrazione di appartenenza, non certo gli incarichi che un’amministrazione diversa da quella di appartenenza conferisca ai dipendenti pubblici, fattispecie del tutto sottratta alla competenza contrattuale.
Alla luce delle considerazioni svolte fin qui, quindi, è possibile riscrivere l’articolo 3, comma 12, della legge 56/2019, in modo più chiaro e completo come segue:
  1. un dipendente pubblico incaricato come presidente, membro o segretario di una commissione di concorso pubblico;
  2. sia che dipenda dalla medesima amministrazione che ha indetto il concorso, sia che dipenda da altra amministrazione;
  3. svolge l’incarico:
1.         sempre in ragione dell’ufficio ricoperto: è, quindi, un’attività che rientra nelle prerogative dei dipendenti pubblici, e
1.        se presso la medesima amministrazione di appartenenza, l’incarico è svolto in quanto conferito dall’amministrazione presso cui presta servizio; in questo caso non può mai ottenere lecitamente alcun compenso, qualunque sia la qualifica che possiede, dirigenziale o non dirigenziale;
2.                           se presso alta amministrazione, l’incarico è svolto su autorizzazione ed eventualmente designazione dell’amministrazione presso cui presta servizio; in questo caso, per effetto della parziale disapplicazione dell’articolo 24, comma 3, del d.lgs 165/2001 ristretta alla sola fattispecie delle commissioni di concorso, i dipendenti con qualifica dirigenziale potranno essere compensati dalle amministrazioni che gestiscono i concorsi, come già avviene per i dipendenti privi di qualifica dirigenziale.
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