tratto da luigioliveri.blogspot.it
Appalti. E’ diretto l’affidamento diretto? Forse. Sicuramente non è fiduciario
Sul sito http://www.bosettiegatti.eu leggiamo una come sempre fulminante e acuta osservazione: “«Una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa …»; bisogna scomodare Gertrude Stein? Anche i sordi dovrebbero aver capito che un affidamento diretto, è diretto, è diretto, è diretto! Ora il codice lo ripete tre volte (articolo 31, comma 8, articolo 32, comma 2, articolo 36, comma 3, lettera a)) Va bene, trasparenza, rotazione, competenza dell’affidatario ma, rullo di tamburi, resta un affidamento diretto. I masochisti che continuano a chiedere più preventivi certificano di non essere in grado di valutare o di non assumere la responsabilità di valutare la congruità del corrispettivo, ma se è così, allora come possono essere in grado di valutarne due o tre?”.
La questione è spinosa e si presta all’ironia per la semplice ragione che, ancora una volta, il Legislatore ha elaborato l’ennesima disposizione confusionaria e di difficile applicazione concreta.
Chi scrive, infatti, pochi giorni fa si era posto esattamente questo quesito: “Tornerà ad essere diretto l’affidamento diretto?”.
Tutto sta ad intendersi cosa si intenda per “affidamento diretto”. Allora, dobbiamo scomodare alcuni barbosi concetti, anche ricorrendo all’etimologia delle parole, oltre che fare necessario affidamento anche ai principi richiamati dal codice dei contratti novellato, posti come sempre a guidare il sistema di individuazione del contraente privo di formalizzazione di gara e procedura.
Perché si tratti di un “affidamento diretto” occorre innanzitutto prendere atto che non si ponga in essere qualcosa che gli somiglia, ma risulta al contempo sicuramente inconciliabile con i principi del codice: cioè, l’affidamento “fiduciario”.
Non si deve, cioè, incorrere nell’errore di ritenere la riformulazione dell’articolo 36, comma 2, lettera a), come l’attribuzione all’amministrazione della facoltà di affidare un appalto senza doverne rendere conto, rinunciando, dunque, agli obblighi minimi indispensabili di accountability che discendono direttamente dall’articolo 97, comma 2, della Costituzione, ai sensi del quale “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Non è da dimenticare che è attuazione diretta del citato articolo della Costituzione l’articolo 3, comma 1, della legge 241/1990: “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2 (atti normativi e a contenuto generale, nda). La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.
Trattandosi di norme disposte nella Costituzione e nella legge generale sul procedimento amministrativo, non occorre avere ulteriori conferme in altre leggi. Non è affatto necessario, quindi, che il codice dei contratti espliciti la necessità che l’affidamento, per quanto diretto, debba comunque sorreggersi su una spiegazione del perché si scelga quel contraente.
Il “correttivo” ci ha risparmiamo, almeno, una fatica: quella della motivazione “adeguata”. L’eliminazione dell’aggettivo “adeguata” può apparire un mero dettaglio. In realtà, è estremamente importante. La motivazione “adeguata”, infatti, se si procede con un affidamento diretto, non può che consistere nella comparazione di almeno due preventivi/offerte; altrimenti, la motivazione adeguata, non sarà mai adeguata. Perché il verbo “adeguare” deriva da una forma latina composta dalla preposizione ad, che indica moto a luogo, ed il verbo aequare che significa rendere uguali; abbinando i due elementi, il verbo adeguare significa confrontare due termini di paragone. Un comportamento è “adeguato” in relazione alla situazione: correre a perdifiato ed andare incontro a qualcuno per placcarlo non è adeguato in un elegante salone ove si svolge una cena; è adeguato in un campo da rugby.
La motivazione “adeguata”, dunque, lo era necessariamente in relazione ad almeno un’altra offerta come termine di paragone, nel senso che quella da prendere in considerazione risultasse, in via relativa, più adeguatamente corrispondente alle esigenze della pubblica amministrazione, in termini di rispetto delle necessità cui fare fronte con la prestazione contrattuale da rendere, ma con costi o qualità migliori rispetto a quelli proposti da un’altra offerta/preventivo.
Si potrà sottolineare che il correttivo non ha cancellato solo l’aggettivo “adeguata”, anzi l’avverbio “adeguatamente”, ma anche il participio “motivato” e porsi il problema: si è voluto, dunque, eliminare non solo l’adeguatezza della motivazione, ma la motivazione stessa? Sì da permettere, quindi, un affidamento diretto non motivato e, quindi, sorretto solo dalla fiducia espressa dall’amministrazione, impersonificata nel responsabile di servizio, e l’operatore economico scelto?
A questa domanda non si può che rispondere negativamente. La motivazione, anche se il riferimento nell’articolo 36, comma 2, lettera a), è stato cancellato, resta obbligatoria, perché comunque imposta dalla Costituzione e dalla legge 241/1990, come visto prima.
In un sistema giuridico, quale quello europeo e quello italiano, ove si impone il rispetto del buon andamento, dell’imparzialità, della concorrenza, dell’apertura dei mercati, della motivazione, allora, l’affidamento diretto “fiduciario” non può essere ammesso, né è sufficiente.
La “fiducia” infatti altro non è se non una professione di fede verso terzi, frutto di un sentimento personale. Il termine “fiducia” viene dal verbo latino fidère, che significa “aver fede”.
Ora, è evidente che la fiducia è esclusivamente un elemento valutativo totalmente soggettivo, come tale né obiettivo, né oggettivo. Infatti, su una medesima persona qualcuno può nutrire estrema fiducia, qualcun altro per nulla. Per oggettivare la fiducia, allora, occorrerebbero elementi ponderali sul comportamento di quella persona: ha mai compiuto atti nei confronti di chiunque come agire alle spalle in modo contrario a quanto enunciato?; paga regolarmente i suoi debiti?; agisce in modo trasparente ed avvisa prima di prendere decisioni che influiscano su altri? E così via.
E’ chiaro che un atteggiamento solo psicologico ed introspettivo come la fiducia non può considerarsi rispettoso dei principi e dei vincoli imposti all’agire amministrativo dall’articolo 97, comma 2, della Costituzione e dall’articolo 3, comma 1, della legge 241/1990. Né la fiducia, da sola, può esaurire la spiegazione del rispetto degli altri principi enunciati dall’articolo 30, comma 1, del codice dei contratti:
1. economicità,
2. efficacia,
3. tempestività,
4. correttezza
5. libera concorrenza,
6. non discriminazione,
7. trasparenza,
8. proporzionalità,
9. pubblicità
cui aggiungere il principio enunciato dall’articolo 36, comma 1, di
10. rotazione
a. degli inviti
b. e degli affidamenti.
Veniamo, quindi, al punto. La necessità di rispettare quei principi, impone di enunciare esplicitamente il perché ed il come li si rispetti, ogni volta che si attiva una procedura di “affidamento diretto”, attraverso la motivazione.
Solo che, grazie al correttivo, la motivazione non deve più mettere in relazione (per quanto resti ovviamente possibile farlo) due offerte tra loro: l’adeguatezza non è più necessariamente relativa tra due offerte rispetto alle necessità dell’amministrazione; l’adeguatezza dell’offerta è da dimostrare in termini assoluti (senza quindi confronti) rispetto direttamente alle necessità dell’amministrazione.
Torniamo, allora, ai principi visti prima:
1. economicità: per economicità non si deve intendere un’offerta più bassa di altre, ma un rapporto qualità prezzo non difforme da quello reperibile sul mercato (si possono usare come riferimento affidamenti similari, realizzati da altre PA cercando sui siti, o i prezzi del MePa);
2. efficacia: è la dimostrazione che la prestazione richiesta soddisfi il fabbisogno;
3. tempestività: non è tanto la velocità nel gestire la procedura, come suggerisce l’Anac, quanto, invece, la capacità di acquisire la prestazione nel rispetto dei tempi programmati;
4. correttezza: è la dimostrazione che non si agisce in conflitto di interessi;
5. libera concorrenza: è la dimostrazione che non si vuole alterare la competizione tra più aziende nel mercato; tale principio si unisce inscindibilmente al successivo decimo;
6. non discriminazione: è la dimostrazione che non si intende attribuire all’operatore scelto una posizione di vantaggio concorrenziale; tale principio si unisce inscindibilmente al successivo decimo;
7. trasparenza: è l’accountability, l’evidenziazione delle scelte, la loro accessibilità;
8. proporzionalità: consiste nel non aggravare il procedimento, sia per l’amministrazione, sia per l’operatore economico;
9. pubblicità: è l’evidenza pubblica ed il rispetto degli oneri di pubblicazione imposti;
10. rotazione
a. degli inviti
b. e degli affidamenti: è il principio cardine, che unito a correttezza, libera concorrenza e non discriminazione, dimostra come non sia ammissibile l’affidamento fiduciario.
Bisogna sottolinearlo: il correttivo ha inteso chiarire esattamente in cosa consista la rotazione, disaggregandola in:
a. rotazione degli inviti: cioè, le amministrazioni, quando utilizzano sistemi di individuazione del contraente non completamente aperti al mercato, non possono invitare sempre gli stessi soggetti, ma debbono appunto garantire una loro rotazione, una diversificazione dei destinatari degli inviti;
b. rotazione degli affidamenti: è l’elemento decisivo; anche laddove l’amministrazione appaltante non utilizzi procedure di confronto tra più operatori economici, ma ritenga appunto di effettuare un affidamento diretto, in ogni caso non può e non deve legarsi inscindibilmente con l’operatore economico così scelto; un successivo affidamento diretto relativo alla medesima prestazione dovrà far cadere la scelta su un altro operatore economico; a meno che non ricorrano ragioni, tutte da dimostrare con particolare profondità, poste ad evidenziare che il cambio del prestatore si riveli dannoso o controproducente.
La fiducia, come sentimento interiore e non dimostrabile, non si tiene con questo sistema. L’affidiamento per fiducia è indimostrabile, immotivabile, è, appunto, un atto di fede, che non va bene nella gestione della cosa pubblica.
L’affidamento diretto, posto in essere nel rispetto dei principi enunciati dalle norme e visti sopra, e rispettoso in particolare dell’obbligo di rendere comunque conto delle decisioni adottate, coscienti che si deve renderne conto non solo a se stessi, non solo agli organismi di valutazione, non solo agli organi di governo, ma anche e prima di tutto ai cittadini che con le loro imposte finanziano l’attività pubblica, consente proprio di “assumere la responsabilità di valutare la congruità del corrispettivo” di cui parla l’ottimo Battista Bosetti.
L’assunzione di responsabilità nel valutare la congruità di un preventivo, si pone in essere non enunciando propri poteri taumaturgici o pranoterapeutici di intuizione o fede nelle capacità degli operatori economici, ma in un’operazione tecnica e logica: dimostrare che il corrispettivo è congruo, non troppo costoso, tecnicamente idoneo, capace di conseguire il risultato e proveniente da un operatore con esperienza dimostrata da referenze, in regola con i requisiti dell’articolo 80, che non risulti avere contenziosi in atto per l’espletamento dell’attività.
Ricordandosi sempre, comunque, che il codice dei contratti, al di là dell’articolo 36 (noto come regolatore di procedure asseritamente “semplificate”, rispetto alle quali procedure “ordinarie” sotto soglia non appaiono per nulla particolarmente più complicate), consente affidamenti diretti per i casi tipizzati nell’articolo 63, che non sono pochi, né rari.
Basta, nella sostanza, non ciurlare nel manico e ricordarsi che l’assunzione di responsabilità di valutare la congruità dei corrispettivi non consiste nell’indossare il costume ed il mantello e ritenersi dotati di superpoteri di individuazione del contraente; resta la fatica del lavoro: rispettare i principi, spiegare le scelte, assicurare risultati: insomma, agire perseguendo il “buon andamento”.
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