Il Comune non risponde della richiesta di risarcimento danni per la caduta dalla scalinata del Duomo
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5841 del 28 febbraio 2019, ha rigettato il ricorso di un cittadino nei confronti della Diocesi e del Comune, relativo alla richiesta di risarcimento danni per la sua caduta sulla scalinata mentre accedeva al Duomo del paese; la caduta era dovuta ad uno scalino rotto. I giudici di legittimità ricostruendo un percorso giuridico molto complesso non hanno ritenuto che, nel caso in esame, vi fosse responsabilità del Comune.
Il contenzioso
Un contribuente chiamava in giudizio la Diocesi e il Comune lamentando la sussistenza di un’insidia nella rottura, non adeguatamente segnalata, di un gradino della scalinata di accesso al Duomo, a causa della quale lo stesso ricorrente era rovinata a terra.
Con atto notificato nel marzo 2010 la Diocesi proponeva appello innanzi alla Corte d’Appello per reiterare l’eccezione di carenza di legittimazione non accolta in primo grado. Con sentenza depositata nel novembre 2016 la Corte d’Appello accoglieva il gravame e riformava parzialmente la sentenza di primo grado, rigettando la domanda di risarcimento in primo grado nei confronti della Diocesi in quanto “l’attore avrebbe dovuto dare prova del fatto che la Diocesi comunque manteneva una disponibilità giuridica e materiale della scala di accesso del Duomo e solo successivamente dar prova del nesso causale tra cosa in custodia e danno”. Rigettava, inoltre, appello incidentale svolto dal ricorrente nei confronti del Comune in quanto “le scale su cui si è verificato il sinistro non ricadono nella proprietà del Comune” ; per i giudici del merito, inoltre, era da escludersi qualsiasi responsabilità ex art. 2051 c.c. in quanto non era stata fornita alcuna “prova di una disponibilità giuridica e materiale da parte dei Comune della scala di accesso al Duomo”.
Avverso la sentenza sfavorevole il contribuente è ricorso in Cassazione.
La sentenza della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione il ricorso è da rigettare. I giudici di legittimità, in riferimento alla censura relativa alla sentenza di primo grado, con la quale è stata richiamata la L. n. 222 del 1985 che disciplina la successione dei beni tra diversi enti ecclesiastici, ritengono che tale censura non è idonea a dimostrare che la Diocesi sia proprietaria o detentrice di fatto del Duomo e delle sue pertinenze, posto che tale normativa contempla la possibilità di assegnazione di detti beni agli enti parrocchiali, e il ricorrente avrebbe dovuto comunque dimostrare in concreto il rapporto di fatto, ovvero una disponibilità giuridica e materiale, tra la convenuta in giudizio e la scalinata su cui si è verificato l’occorso, ai sensi dell’art. 2051 c.c. “la responsabilità ex art. 2051 c.c, postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa”(cfr. Ordinanza 30 ottobre 2018, n. 27724; Cass. civ., Sez. III, sentenza n. 15761 del 2016).
I giudici di legittimità osservano che in parziale correzione della motivazione della sentenza, occorre precisare che l’eventuale sussistenza di un uso pubblico della scalinata della chiesa, che potrebbe sussistere come nel caso di una strada privata lasciata al pubblico accesso, non può di per sé porsi a fondamento della responsabilità dell’ente territoriale in termini di omessa custodia.
Le leggi che storicamente sono intervenute per regolare i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica non consentono di svolgere ragionamenti diversi quanto alla natura privata del sagrato e di ogni area pertinenziale di un bene appartenente a un ente ecclesiastico. L’art. 15, L. 27 maggio 1929, n. 848, stabilendo che le chiese sono giuridicamente rappresentate dall’ordinario diocesano, dal parroco, dal rettore o dal sacerdote che, sotto qualsiasi denominazione o titolo, “sia legittimamente ad esse preposto, non precisa in quali casi la rappresentanza spetti all’ordinario, al parroco, al rettore od ad altro sacerdote, onde deve ritenersi implicito, in detto articolo, il richiamo alle norme di diritto canonico. E pertanto, poiché la chiesa succursale di una parrocchia, che è destinata, come la Chiesa parrocchiale, all’esercizio delle funzioni inerenti all’ufficio di parroco, ha come rettore lo stesso parroco, versandosi non in ipotesi di cumulo di uffici incompatibili (can.156 C.i.C.) ma di Unione di uffici minus prindpalis (cari. 1419 C.i.C.), nella quale la provvista canonica dell’ufficio principale importa ipso iure il conferimento di quello accessorio”.
Le conclusioni
Per i giudici di legittimità deve affermarsi il seguente principio “la responsabilità da omessa custodia di un bene destinato all’attività di culto, anche se per consuetudine asservito a un uso pubblico, grava sul proprietario del bene e non sull’ente territoriale su cui insiste il bene, a meno che non sia dimostrata una detenzione o un potere di fatto dell’ente territoriale sulla cosa”, circostanza – quest’ultima – che la Corte di merito, nell’ambito della discrezionalità di valutazione “in fatto” che le è propria, ha ritenuto non essere provata dal solo rilievo che, dopo l’incidente occorso in danno del ricorrente, il dirigente del servizio comunale competente abbia rivolto all’ente ecclesiastico un invito a porre la scalinata di ingresso al duomo in sicurezza .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di giudizio.
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