Altro che Salerno-Reggio Calabria: qualcuno salvi l’Italia dalla Brebemi
2,4 miliardi. È quanto lo Stato dovrà metterci se il progetto continuerà a produrre perdite, come è accaduto ancora nel 2015: non male per l’autostrada «interamente finanziata dai privati» che doveva cambiare faccia alla Lombardia
Ricordate la Brebemi? Forse vale la pena di rinfrescare un po’ la memoria. Perché l’autostrada che avrebbe dovuto cambiare faccia alla Lombardia torna a far parlare di sé,per almeno due buoni motivi. Il primo: partirà nel giro di un paio di mesi, pare, il peduncolo che la unirà con l’A4. Il secondo: pare che la perdita d’esercizio per il 2015 sarà di 69 milioni di euro, il doppio circa rispetto al 2014. Cosa che rende necessaria una ciambella di salvataggio da parte del Governo e di Regione Lombardia. Per la precisione, 320 milioni di euro da qui al 2029.
Qualche passo indietro per capire cosa sta succedendo è obbligatorio, però. Che qualcosa non funzionasse si capiva già dal nome con cui era stata battezzata: perché chiamare Brebemi un’autostrada il cui senso era per l’appunto quello di andare da Bre(scia) a Mi(lano), saltando di netto Be(rgamo), da cui invece passava l’A4? Misteri. Anzi, quisquilie. Perché non c’era tempo da perdere coi nomi, mentre la Lombardia era strozzata da unaviabilità medievale, da cui solo la nuova autostrada l’avrebbe evidentemente liberata.
Che poi, in fondo, era pure vero: la storica autostrada “Serenissima” era praticamente un ingorgo perenne, fino a che non fu deciso di aggiungere una quarta corsia. Era il 2007, se non ricordiamo male. Problema risolto? Forse. Ma diamine, la Brebemi s’aveva comunque da fare. Perché la Lombardia aveva bisogno di nuove strade per correre e in quei ruggenti primi anni duemila non ci si poteva permettere di frenare la modernizzazione.
E poi quell’autostrada era «interamente finanziata dai privati». Interamente, capito? 700 milioni di cocuzze senza oneri per i contribuenti. Miracoli del project financing e delle “vacche grasse” dei primi anni duemila. Capofila del progetto, peraltro, era proprio Autostrade per l’Italia, a sua volte concessionaria dell’A4. Si sarebbe fatta concorrenza da sola? Forse, ma cosa importa, di fronte alla prospettiva di far volare la Lombardia senza che la politica ci mettesse il becco?
Che poi, in realtà, la politica ce l’ha messo, il becco. Perché le sei corsie d’asfalto e modernità passano dai comuni. E i Comuni – senza soldi e con una discreta prospettiva di fare cassa – hanno colto la palla al balzo per mettersi di traverso. Barricate? No, perché la “Lombardia che produce” è munifica e non dice no a nessuno: finanzia piste ciclabili, viabilità accessoria, rotonde floreali e tutte le possibili “opere di compensazione” che vi vengono in mente. Tutti sono felici e contenti, ma il costo lievita meglio del pan di spagna della nonna: dai 700 milioni iniziali si passa, a torta finita, a un miliardo e seicentomila euro. Ad Autostrade per l’Italia fanno due conti, capiscono che gli costa di meno fare la quarta corsia sull’A4 e fanno un bel ciaone a tutti gli altri «privati».
A subentrare è un altro concessionario autostradale, l’Astm di Marcellino Gavio, che ottiene un allungamento della concessione fino al 2039, e una banca, Intesa San Paolo, che insieme a tutte le altre grandi banche italiane, aveva già entusiasticamente aderito al progetto. I bancari però, che non sono gli ultimi fessi, sanno fare i conti e la puzza di bruciato la conoscono bene. Così impongono ai privati e al Ministero dei Trasporti un paio di correzioni alla convezione. La prima: se il banco salta, lo Stato copre il buco con una bella fideiussione. La seconda: il tasso d’interesse passa da 3,59 a 8,90. Che va bene la modernizzazione, l’autostrada dei privati e la Lombardia che deve correre, ma a tutto c’è un limite.
Gli altri partner di progetto, accettano entusiasti, che tanto, mal che vada, paga Pantalone. La politica un po’ meno. Ma a chi alza il ditino, come il senatore Brutti, arrivano le bacchettate sulle falangi: «Vada a spiegare perché l’autostrada non si può fare ai lavoratori che ogni mattina si muovono dalle valli del Bergamasco e del Bresciano per andare a lavorare a Milano», gli risponde piccato Antonio Di Pietro, già ministro ai Lavori Pubblici, quando la commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama dà parere negativo sulla nuova convenzione.
«Se lo stato non ci aiuta, noi gli lasciamo l’autostrada e ci deve 2,4 miliardi», afferma Francesco Bettoni, che da presidente della Camera di Commercio di Brescia e di Unioncamere Lombardia era stato il vero regista dell’operazione, anche quando sembrava che il progetto sfidasse ogni logica
Così si va avanti, nonostante la crisi – con susseguente rallentamento dell’economia e dei volumi di traffico – renda un po’ meno necessaria l’opera. Tant’è, però: il 23 luglio 2014 la Brebemi viene inaugurata, alla presenza del presidente del Consiglio Matteo Renzi e del presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni: «Ci sono voluti 5 anni per costruirla e 13 per superare la burocrazia, non potrà più accadere», tuona Renzi, a cui evidentemente non passa nemmeno per l’anticamera del cervello che c’è pure qualche problemino che prescinde dalla burocrazia. «Ora il Governo sblocchi la defiscalizzazione (che vale circa 500 milioni all’anno, ndr)», gli risponde Maroni, che evidentemente ha più chiara la questione di fondo. In ogni caso, alle agenzie si consegna la notizia che finalmente il cuore industriale d’Italia ha la sua autostrada, attraversata da 60mila veicoli al giorno, si dice.
Già, ma quei veicoli sono un po’ di meno. Un po’ perché c’è la crisi, un po’ perché la Brebemi inizia a 20 chilometri da Milano e finisce a 18 chilometri da Brescia. All’inizio, i dati sul traffico parlano di 11mila veicoli al giorno. Da quando apre la Tangenziale Esterna Est Milano (Teem), che perlomeno collega la Brebemi al capoluogo, i volumi si alzano fino ad arrivare a 15-20mila. Il record venerdì 4 marzo scorso – 25mila accessi – ma solo perché uno scontro tra due camion ha provocato una coda di sette chilometri sull’A4, che continua ad avere un traffico cinque volte superiore.
In ogni caso, l’investimento fa fatica a stare in piedi: il prezzo del pedaggio, nonostante gli sconti, è molto più alto di quello della A4. E di distributori di benzina, a un anno e mezzo dall’inaugurazione, nemmeno l’ombra. Non bastasse, ci sono pure gli agricoltori sul piede di guerra per gli espropri non pagati. Risultato? Nel 2014 lo sbilancio di gestione è di circa 35 milioni di euro. Nel 2015 è pari al doppio. E intanto ogni anno ci sono 100 milioni di interessi da pagare alle banche.
Banche che, nel frattempo, cominciano a prepararsi il terreno per salutare la compagnia. Già il 23 luglio 2014, nel giorno dell’inaugurazione, il presidente del consiglio di gestione di Banca Intesa Gian Maria Gros Pietro afferma candidamente che «stiamo già pensando a un’exit». Anche gli altri privati cominciano ad accarezzare l’idea, a dire il vero: «Se lo stato non ci aiuta, noi gli lasciamo l’autostrada e ci deve 2,4 miliardi», afferma Francesco Bettoni, che da presidente della Camera di Commercio di Brescia e di Unioncamere Lombardia era stato il vero regista dell’operazione, anche quando sembrava che il progetto sfidasse ogni logica. E lo Stato risponde al richiamo: il 6 agosto scorso il ministro dei trasporti Delrio fa inserire in legge di Stabilità uno stanziamento di 260 milioni di euro, cui se ne aggiungono sessanta di Regione Lombardia.
Noccioline, se si pensa che il default dell’autostrada costerebbe al governo 2,4 miliardi. Ed è per questo che Delrio e Maroni sono tanto generosi e attenti al destino di questa lingua d’asfalto. Ad esempio: pare che Autostrade per l’Italia chiederà un ragionevole indennizzo – si parla di 500 milioni di euro – per la perdita dell’esclusiva sulla direttrice Milano-Brescia, successiva all’apertura del collegamento tra Brebemi e A4. Che fa il governo, quindi? Pensa a una legge che dica che interconnettere le autostrade è interesse generale. E che quindi, nessun indennizzo è ammissibile.
Indennizzo che però ci sarà nel momento in cui Brebemi passerà allo Stato. Che dovrà cedere ai concessionari – Intesa, Gavio e compagnia – una mancia finale di 1,2 miliardi di euro. Non male, davvero. La prossima volta che non ci toccherà scucire nemmeno un Euro magari avvertiteci, ok?
Nessun tag inserito.