15/01/2020 – Interesse legittimo ed effettività della tutela 

Interesse legittimo ed effettività della tutela (a proposito della sentenza 1321/19 del Consiglio di Stato)
Guido Greco –  già professore ordinario presso l’Università Statale di Milano
pubblicato il 14 gennaio 2020
1-. La recente e bella sentenza del Consiglio di Stato, n. 1321/19[1], mi dà lo spunto per riprendere il discorso sulla figura dell’interesse legittimo, in una fase in cui si registra un rinnovato interesse per le tematiche relative alle situazioni giuridiche soggettive, poste di fronte all’esercizio del potere amministrativo[2]. Detta sentenza, infatti, si muove chiaramente in una logica di protezione dell’interesse legittimo, inteso come interesse legittimo finale; e, facendosi carico della necessità di accordare una tutela effettiva “alla domanda del privato di acquisizione o conservazione di un certo bene della vita”, giunge a riconoscere, pur nell’ambito di un giudizio di annullamento, la fondatezza della pretesa del cittadino, ordinando all’amministrazione di rilasciare il provvedimento richiesto (nella specie, l’abilitazione scientifica nazionale di professore di prima fascia).
Ma, al di là dell’epilogo, di cui si è detto (e in cui il Consiglio di Stato si è avvalso del potere di esplicitare nel dispositivo della sentenza gli effetti conformativi da cui discende la regola del rapporto, ex art. 34, c.1, lett. e del c.p.a.), quel che è maggiormente apprezzabile è l’iter argomentativo della sentenza, in cui vengono passati in rassegna (in un’ottica di effettività)  i nodi principali del giudizio amministrativo di legittimità, pur di fronte ad un’attività connotata di ampi margini di discrezionalità. Tali aspetti verranno presi in considerazione più oltre, perché prima vorrei soffermarmi (ancora una volta) sulla situazione giuridica soggettiva.
Ora, chi riconosce la figura, il ruolo e l’utilità dell’interesse legittimo (indipendentemente dalla sua denominazione), credo debba rispondere almeno alle seguenti 4 domande:
-A) esiste una specificità che giustifica l’esistenza dell’interesse legittimo?
-B) è una situazione giuridica sostanziale?
-C) la conservazione o l’acquisizione del bene della vita è protetta dall’ordinamento?
-D) è una situazione giustiziabile nell’ambito di un giudizio di legittimità?
Una risposta, sia pur sintetica, credo si imponga.
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2-. Alla prima domanda ritengo che si possa rispondere positivamente. La peculiarità dell’interesse legittimo consiste nella configurazione di una situazione soggettiva attiva e di vantaggio, pur a fronte all’esercizio del potere (amministrativo).
E’ questa una figura che non è inquadrabile nelle comuni situazioni giuridiche soggettive, che, come è stato ancor di recente sottolineato[3], comprendono: la pretesa (correlata ad un obbligo), la libertà (correlata alla mancanza di pretesa), il potere (correlato alla soggezione) e l’immunità (correlata alla mancanza di potere).
Nel caso del potere amministrativo possiamo ricostruire una situazione che non è di sola soggezione, sibbene anche di soggezione e pretesa[4] (poi si preciserà a che cosa). Il che, del resto, risulta ormai normativamente acclarato, dato che il codice del processo amministrativo parla appunto di “fondatezza della pretesa” (art. 31, c.3) per riferirsi proprio ad una situazione di interesse legittimo (in tal caso, pretensivo).
L’interesse legittimo è dunque una situazione composita (del resto del tutto ammissibile in teoria generale del diritto[5]), così come è composita la posizione dell’Amministrazione che si avvale di poteri autoritativi (costituita non solo di potere, ma anche di doveri e più precisamente, in quanto indirizzati verso uno specifico destinatario, di obblighi).
Il che, se non erro, costituisce una specificità dell’ordinamento ad atto amministrativo, perché figure consimili non sono facilmente rinvenibili in altri rami del diritto (o, almeno, in quelli non processuali). Non sono rinvenibili, ad esempio, nell’ordinamento di diritto privato, ove, di fronte al potere unilaterale di incidere nella sfera giuridica altrui (si pensi ai casi di diritto potestativo), è predicabile in capo a quest’ultimo solo una situazione di soggezione[6].
E tale specificità sussiste indipendentemente dal nomen juris -e, dunque, dalla qualificazione giuridica- che si intenda utilizzare. Anche se si parli, come nell’ordinamento francese, di Droit publics subjectif des administrés[7], ovvero di subjektiv-öffentliche Rechte, come nell’ordinamento tedesco[8], l’aggettivo “pubblico” sta proprio a dimostrare che si tratta di “diritti” particolari, in quanto possono essere posti di fronte a (o contrapposti con) pubblici poteri amministrativi.
Ne deriva che, quando si equipara l’interesse legittimo oppositivo ad un diritto soggettivo “tradizionalmente inteso”[9], si trascura che un diritto di tal fatta può essere riconosciuto solo in mancanza (in astratto o in concreto) dell’altrui potere. Mentre l’interesse legittimo oppositivo presuppone l’esistenza del potere e dunque sconta una situazione che è anche di soggezione (come è dimostrato dagli effetti ablatori che l’atto, pur illegittimo, può produrre).
E, quando si equipara l’interesse legittimo pretensivo alla “aspettativa di diritto”[10], si trascura ancora una volta che, pur essendo una situazione che nella sua fase di formazione può essere assimilata ad una aspettativa giuridicamente rilevante[11], la stessa risulta pur sempre condizionata dall’esercizio del potere amministrativo, che incide sulla sua configurazione. Tant’è che la situazione soggettiva attiva scaturisce proprio dalle norme di esercizio di detto potere e non è certo indipendente da esse.
La correlazione con il potere è da intendere, dunque, almeno sotto un duplice profilo. Sia nel senso che tali situazioni sono intestate a soggetti che si presentano come destinatari o possibili destinatari di provvedimenti amministrativi (dunque a soggetti nella cui sfera giuridica il provvedimento produce -o è destinato a produrre- effetti); sia nel senso che la configurazione della situazione giuridica soggettiva dipende non solo da norme che direttamente la riguardino[12], sibbene (prevalentemente ed essenzialmente, come si preciserà) da norme che regolano l’esercizio del potere.
Sotto quest’ultimo profilo una rivalutazione merita la tesi dell’interesse indirettamente protetto. La quale, per altro verso, non era in grado di raffigurare una situazione giuridica sostanziale vera e propria, per mancanza di ogni collegamento con specifici (e concreti) beni della vita.
Il che introduce la risposta al secondo quesito posto.
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3-. Il nostro interesse legittimo è una situazione giuridica sostanziale?
La risposta dipende dalla definizione della figura (o, se si crede, dal contenuto che si ritiene di potere attribuire ad essa). Ed è certamente positiva se si assume per interesse legittimo la pretesa alla conservazione o all’acquisizione di un bene della vita assoggettato all’esercizio del potere amministrativo: in breve, la pretesa ad evitare il provvedimento restrittivo (che è idoneo a sottrarre detto bene) o ad ottenere il provvedimento ampliativo (che consente di acquisire detto bene).
E’ la tesi dell’interesse legittimo “finale”, che pare ormai accolta pacificamente dalla giurisprudenza civile[13], amministrativa[14] e persino della Corte costituzionale. Infatti è stato da ultimo riconosciuto, anche dalla Corte costituzionale e a proposito appunto dell’interesse legittimo, che “gli artt. 24, 103 e 113 Cost., in linea con le acquisizioni della giurisprudenza del Consiglio di Stato, hanno posto al centro della giurisdizione amministrativa l’interesse sostanziale al bene della vita” [15].
E’ noto peraltro che una parte della dottrina opina diversamente. E, pur non riproponendo più la tesi dell’interesse alla legittimità (che pare tuttora coltivata nel sistema francese, allorché parla di “droit subjectif à la légalité administrative[16]), insiste su una concezione “strumentale” dell’interesse legittimo e non è aliena dal proporre vere e proprie bordate critiche alla diversa tesi dell’interesse legittimo finale.
L’ultima serie di appunti critici, al riguardo, è quella avanzata da Riccardo Villata[17]. Sicché è necessario anche farsi carico di tale autorevole opinione contraria (e la sentenza da cui prendono le mosse le presenti note può essere utile al riguardo).
L’illustre Autore dichiara di aderire alle tesi, sinteticamente richiamate, di Mario Nigro (e di Giovanni Miele), aggiungendo che ciò “non significa affatto che l’interesse legittimo non garantisca un’utilità, solo che siffatta utilità è differente dal bene oggetto dell’aspirazione del titolare di tale situazione soggettiva[18]. E, pur non precisando in che cosa consisterebbe tale utilità diversa, è da presumere, dati i richiami operati,  che essa scaturisca dagli strumenti procedimentali (e processuali?), attraverso i quali il soggetto interessato può “influire sul corretto esercizio del potere, solo attraverso il quale può attingersi al bene[19], ovvero può “influire sul merito della decisione finale, esperibili lungo tutto il corso dell’esercizio del potere”, secondo la concezione di Franco Gaetano Scoca[20], anch’essa specificamente richiamata: quel che è certo è che l’interesse legittimo, pur assicurando tali utilità strumentali, non potrebbe mai assicurare il risultato dell’acquisizione o conservazione di detto bene della vita[21].
Ora, pur non intendendo disconoscere i meriti[22] e l’utilità della costruzione strumentale dell’interesse legittimo[23],  essa non pare idonea a rappresentare compiutamente la figura dell’interesse legittimo. Sia perché non è in grado di racchiudere in essa talune espressioni codificate della situazione giuridica soggettiva (mi riferisco a quanto previsto dall’art. 31, c. 3, c.p.a.), sia perché, disancorando il bene della vita dall’oggetto dell’interesse legittimo, finisce per configurare una posizione procedurale e formale e non una vera e propria posizione sostanziale.
Infatti, la configurazione strumentale dell’interesse legittimo si espone alle medesime obbiezioni logiche da tempo avanzate nei confronti della tesi dell’interesse alla legittimità[24] e sulle quali non è il caso di tornare. Se non per rilevare che l’interesse legittimo strumentale, coerentemente con la sua definizione, può esistere e ritenersi soddisfatto (o comunque esercitato), anche quando l’utilità finale è impossibile da conseguire o da conservare[25]: un interesse alla de Coubertin, dunque, quando il celebre personaggio sportivo proclamava che l’importante non è vincere (alle Olimpiadi), ma parteciparvi.
Ma tutto ciò non pare proprio configurare una situazione giuridica sostanziale, che per essere tale deve poter riguardare la protezione di un interesse ad un bene della vita[26]. Tali non sono né l’interesse alla legittimità, né l’interesse alla partecipazione procedimentale al fine di indirizzare favorevolmente l’amministrazione, che pertanto non possono definirsi sostanziali (se non nel limitato significato di interessi non processuali).
Tant’è che è stato puntualmente giudicato, anche dalla Corte di cassazione, che lo svolgimento legittimo dell’azione amministrativa “non individua il contenuto e l’oggetto della situazione giuridica di interesse legittimo.
Contenuto ed oggetto che sono espressi invece dall’interesse positivo ad ottenere il provvedimento, sicché l’oggetto della situazione di interesse pretensivo non si può identificare nella postulazione a che si provveda legittimamente dall’amministrazione, ma si deve identificare nella richiesta che si provveda dando positiva soddisfazione a quell’interesse[27].
Del resto, quando si parla di risarcibilità dell’interesse legittimo, si assume e si presuppone la lesione “un interesse materiale ad un bene della vita[28]. Quando si parla di giudizio sulla fondatezza della pretesa (sia nell’ambito di un giudizio sul silenzio, sia nell’ambito di un giudizio di adempimento), la legge assume a sua volta che tale pretesa riguardi un’utilità finale e non strumentale.
E in realtà mi parrebbe bizzarro che l’ordinamento tuteli e garantisca solo talune utilità (strumentali) che sono neutre rispetto all’interesse effettivo del cittadino e non tuteli (e garantisca, sia pure a certe condizioni) quelle utilità finali (quali la possibilità di costruire, di commerciare, di conservare un proprio bene, ecc.), che sono proprio il punto di riferimento vero di detto interesse. Basti pensare a quei “diritti” soggettivi, che nell’ordinamento tedesco possono essere fatti valere ai fini della Verpflichtungsklage[29] (che, come è noto, è l’azione diretta alla condanna dell’amministrazione all’emanazione di un provvedimento rifiutato o omesso): la configurazione di situazioni soggettive dirette a conseguire il risultato finale, pur di fronte all’esercizio di poteri amministrativi, dimostra, dunque, che non si tratta certo di costruzione dommaticamente impossibile.
In ogni caso, poiché una situazione soggettiva è la sintesi concettuale del più alto livello di protezione accordata dall’ordinamento all’interesse del singolo soggetto, essa dovrebbe sempre riguardare utilità finali (beni della vita) e non strumentali. Anche perché una siffatta situazione soggettiva contiene al suo interno come sue facoltà (e come il più contiene il meno) anche tutti gli strumenti e le c.d. utilità che l’interesse strumentale assicura.
Si tratta peraltro di dimostrare che una situazione di tal fatta sia riconosciuta e protetta dal nostro ordinamento, pur a fronte dell’esercizio del potere amministrativo. E, per evitare un discorso troppo lungo, mi limiterò qui di seguito a circoscrivere l’attenzione sui soli interessi pretensivi, che del resto sono quelli che pongono i problemi più gravi.
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4) Assumendo, dunque, che l’interesse legittimo consista nella pretesa alla conservazione o acquisizione di un bene della vita (assoggettato all’esercizio del potere amministrativo), tale situazione sostanziale è protetta dall’ordinamento essenzialmente (come già anticipato) attraverso le norme che regolano il potere amministrativo. Le quali a loro volta possono distinguersi in sostanziali e formali-procedurali, a seconda che siano significative o meno in ordine al quesito se un determinato provvedimento debba (o possa) essere emesso o meno.
Ne deriva che la situazione sostanziale, di cui si è detto, trova un riconoscimento (e una protezione) diretta dalle prime e indiretta dalle seconde[30]. Nel senso che le prime stabiliscono o contribuiscono a stabilire se un determinato bene della vita spetta o meno a chi assuma di averne titolo. Le seconde viceversa sono “neutre” al riguardo e possono essere utili solo per consentire una corretta applicazione delle norme sostanziali, con la conseguenza che la loro violazione può essere fatta valere non per conseguire il bene della vita, di volta in volta coinvolto nel singolo procedimento amministrativo, sibbene per lasciare impregiudicato detto conseguimento tutte le volte che esso è ancora possibile e non è precluso dalla applicazione delle norme sostanziali.
Il che consente di affrontare l’obbiezione che “se l’interesse legittimo è solo quello tutelato da norme sostanziali che garantiscono l’attingimento del bene della vita, l’accoglimento di un ricorso per vizi formali o procedurali non potrebbe mai aversi perché manca, rispetto ad essi, l’interesse legittimo di cui si chiede la tutela[31]. Infatti, in senso contrario basta rilevare che “per ampliare la tutela, l’interessato resta libero di far valere, non solo la pretesa ad un provvedimento (specifico) satisfattivo, ma anche la pretesa (minore) ad un provvedimento legittimo. L’accoglimento dell’interesse strumentale qui non è altro che un modo di proteggere l’interesse finale, nei casi in cui (per l’atteggiarsi concreto della singola fattispecie normativa e amministrativa) non sia possibile dedurre in giudizio la titolarità di una posizione sostantiva finale, bensì soltanto il rispetto di un sistema di regole[32].
Dunque, non vi sono preclusioni a riconoscere che ben è possibile che una (vera) situazione sostanziale possa essere tutelata anche da norme strumentali[33] (a cominciare dalle norme processuali, che sono strumentali per eccellenza). Ciò non significa peraltro che dette norme debbano contribuire a configurare la situazione soggettiva, che può esistere o non esistere indipendentemente da tali norme (e l’art. 21 octies, c. 2, della legge 241/90, ne è la miglior prova).
Le norme sostanziali consentono una protezione incondizionata (e accertabile a priori), se l’attività amministrativa (provvedimentale) è ab origine vincolata (e sempre che, ovviamente, la fattispecie concreta corrisponda alle previsioni normative). Potranno sussistere incertezze interpretative (il che è assai frequente nei rapporti “amministrativi”), ovvero contestazioni in fatto (che non coinvolgano accertamenti riservati all’amministrazione), ma ciò non preclude al Giudice di accertare l’esatta portata della norma e l’obbiettiva ricostruzione dei fatti, con ogni conseguenza in termini di spettanza del bene della vita.
Proprio per dette caratteristiche, tali fattispecie sono state sovente qualificate in passato, come è noto, come di diritto soggettivo. E in tal senso si è espressa anche parte della dottrina[34], come è parimenti noto.
Una volta chiarito -e si direbbe ora codificato- che la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi non passa attraverso l’alternativa tra attività discrezionale e attività vincolata, sibbene tra esercizio o meno di poteri autoritativi[35], tale costruzione risulta pressoché abbandonata. Il che non toglie che, di fronte ad un’attività del tutto vincolata, la situazione del cittadino che presenti i caratteri previsti dalla norma garantisca il conseguimento del risultato (sia dunque ab origine di interesse legittimo finale[36]): si tratta, pertanto, di una situazione sicuramente protetta dall’ordinamento.
Se ci troviamo di fronte ad un’attività che presenti margini di discrezionalità (ancora non esercitata) o presupponga accertamenti riservati all’amministrazione (e non ancora effettuati), il discorso è ovviamente più complesso. Soprattutto con riferimento agli interessi legittimi pretensivi, sui quali val la pena, come detto, di concentrare l’attenzione.
La fattispecie concreta deve soddisfare, anche in questo caso, tutti i parametri “rigidi” previsti dalla norma (presupposti e requisiti di fatto e di diritto), in mancanza di che non si può neppure prospettare l’esistenza di un interesse legittimo finale[37]. Ma anche in presenza di tali caratteri il conseguimento del bene della vita non è ab origine assicurato, dipendendo dall’esercizio appunto della scelta discrezionale e dai risultati degli accertamenti riservati.
Tali caratteristiche della figura (ci si riferisce sempre all’interesse pretensivo) non devono peraltro indurre ad abbandonare la costruzione dell’interesse legittimo finale, a favore di quella strumentale. Sarebbe come se il codice civile, a proposito di una condizione pendente, parlasse soltanto di diritto ad operare “atti conservativi” (art. 1356 cod. civ.), anziché di “diritto subordinato a condizione” (art. 1357 cod. civ., come tale anche disponibile): rinunciando, così, a configurare e disciplinare gli esiti (retroattivi) del verificarsi o meno della condizione (artt. 1359-1360 cod. civ.).
La quale, nel caso dell’azione amministrativa, non è certo arbitraria né meramente potestativa, ma a sua volta variamente regolata e limitata.
Medio tempore si potrà parlare di aspettativa di interesse legittimo, sempre che il risultato -prevedibile o meno- sia possibile da conseguire[38]. E la posizione del cittadino risulterà protetta non solo dalle norme procedimentali e formali (e così dagli strumenti di “collaborazione dialettica diretta ad influire sul merito della decisione finale”, secondo la tesi dell’interesse strumentale), ma anche dalle norme e dai principi che presiedono alle scelte discrezionali, che non sono certo privi di incidenza sostanziale e, cioè, della capacità di incidere sulla soluzione da accogliere (si pensi al principio di proporzionalità, al principio di imparzialità, di ragionevolezza, agli “autolimiti” posti dalla stessa amministrazione, e così via).
Nel caso, dunque, di attività non vincolata, la fondatezza della pretesa (e, dunque, la sussistenza della situazione soggettiva) dipende (è condizionata) dall’esito favorevole dell’esercizio della discrezionalità e degli accertamenti di cui si è detto. Sicché l’interesse pretensivo, se esistente, è accertabile a posteriori (normalmente all’esito del procedimento[39]). Ed è necessariamente a formazione progressiva, via via che nel corso del procedimento detta attività venga svolta (emblematiche al riguardo sono le evenienze che si registrano nelle procedure concorsuali).
Conferma si trae dal citato art. 31, c.3, c.p.a., che prevede (ai fini dell’azione sulla fondatezza della pretesa) l’ipotesi che “non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità”. Il che riguarda non certo una eventualità considerata in  astratto (dipendente dalla mera configurazione normativa del potere), sibbene un’evenienza della fattispecie concreta[40], che può realizzarsi solo nell’ambito del procedimento amministrativo (e forse anche dopo, nel corso dell’eventuale successivo giudizio), ma non certo prima ed indipendentemente dal procedimento stesso[41].
Certo è che, se l’esito di detto percorso formativo della volontà dell’amministrazione è favorevole al soggetto che ha richiesto l’atto ampliativo, il risultato dell’acquisizione del bene della vita sarà assicurato (salvo eventuale impugnazione di terzi).
Se, viceversa, l’esito degli accertamenti riservati e dell’esercizio della discrezionalità risulterà negativo per il soggetto che ha richiesto l’intervento provvedimentale, non si potrà parlare di fondatezza della pretesa, né correlativamente di sussistenza dell’interesse legittimo. Infatti, parlare di interesse legittimo anche quando venga legittimamente disconosciuta la pretesa al bene della vita, significa a mio modo di vedere operare una contraddictio in adjecto: perché si pretenderebbe di qualificare come situazione soggettiva una situazione viceversa non protetta dall’ordinamento[42].
Va da sé, peraltro, che ove detto esito negativo fosse illegittimo (o ritenuto come tale), risulterebbe ovviamente aperta la strada alla tutela giurisdizionale. Sicché si tratta di stabilire se il Giudice amministrativo sia in grado di porre la parola “fine” sulla questione, accertando, se del caso, la fondatezza della pretesa disconosciuta dall’amministrazione.
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 5-.  Si giunge così (ancora una volta) al nodo forse più critico dell’intera problematica. L’interesse legittimo, come sopra tratteggiato e protetto dall’ordinamento positivo, è anche giustiziabile? Ovvero, detta in altra maniera, il nostro sistema di giustizia amministrativa è in grado di assicurare tutela effettiva ad una situazione di tal fatta (nell’ipotesi che questa sia effettivamente esistente)?
Come già più volte constatato, occorre dar atto che non sempre il singolo giudizio amministrativo è in grado di fornire le utilità attese. Perché non sempre il singolo giudizio amministrativo riesce a stabilire la fondatezza (o l’infondatezza) della pretesa sostanziale del cittadino e, dunque, a decidere sul rapporto, definendo una volta per tutte la controversia.
Un notevole passo in avanti si è fatto in materia di affidamento degli appalti, ove -grazie anche all’intervento della normativa comunitaria (e all’art. 124 del c.p.a.)- sovente il singolo giudizio riesce a stabilire a chi “spetti” l’aggiudicazione e a chi no. Ma in molti altri casi ciò non avviene.
Basta considerare i casi di poteri amministrativi ancora da esercitare, di scelte discrezionali ancora non compiute e di accertamenti riservati all’amministrazione, che l’art. 31, c. 3, c.p.a. individua (del tutto logicamente) come ostacoli all’accertamento della fondatezza della pretesa. Sicché non sempre, come si diceva, il singolo giudizio di legittimità è in grado accertare chi ha ragione e chi ha torto in ordine ad un bene della vita assoggettato all’esercizio di potestà amministrative.
Si potrà obbiettare che detti inconvenienti sussistono solo se si concepisce l’interesse legittimo come pretesa ad un bene della vita oggetto di intervento amministrativo. Mentre se si definisse l’interesse legittimo come interesse strumentale (strutturalmente disancorato dal bene della vita) o come interesse alla legittimità, il relativo accertamento dovrebbe sempre essere raggiunto (a parte quanto si dirà a proposito dell’interesse a ricorrere).
Con la conseguenza che il giudizio amministrativo assicurerebbe sempre e comunque talune utilità per il soggetto vincitore, ma “diverse” dal bene oggetto dei suoi interessi finali.
Tuttavia non credo che si debba rinunciare ad una costruzione genuinamente sostanziale dell’interesse legittimo, per farlo combaciare con l’oggetto tipico del giudizio amministrativo di annullamento. Anche se occorre ricordare che detto giudizio si fa carico comunque dell’utilità, che costituisce l’oggetto dell’interesse legittimo finale: tant’è che l’interesse a ricorrere è parametrato proprio sulla possibilità di raggiungere l’utilità finale ed il ricorso risulterebbe inammissibile, ove sia esclusa la possibilità di conseguire tale utilità[43].
E qui è il punto chiave della questione. Il singolo giudizio amministrativo potrà non essere in grado di raggiungere compiutamente il rapporto, definendo una volta per tutte (“one shot”) la controversia. E talvolta -stiamo parlando sempre di interessi legittimi pretensivi- è necessario una sequenza di più giudizi per raggiungere il risultato.
Tale attuale assetto del giudizio amministrativo pregiudica l’effettività della tutela? Direi di no, se si tratta di necessità fisiologica, correlata alle vicende sostanziali dell’interesse legittimo, che talvolta costituisce, come si è già sottolineato, una fattispecie a formazione progressiva (soprattutto in materia di gare e di procedure concorsuali in genere).
Ad esempio, se un concorrente subisce l’esclusione dalla gara, occorrerà anzitutto impugnare detta esclusione, per poter poi aspirare all’aggiudicazione. E così se l’aggiudicazione è impossibile da conseguire, a causa dell’illegittimità dell’intera gara, la relativa impugnazione è necessaria per ripristinare le chances di successo attraverso il rifacimento della gara stessa.
Si potrà parlare in tal caso, se si crede, di tutela di un “bene intermedio”, costituito dalla “sola possibilità di vedere realizzato il risultato sperato[44]. Purché si tratti di un “traguardo di tappa”, necessario per approdare una volta per tutte ad “una risposta definitiva alla domanda del privato di acquisizione o conservazione di un certo bene della vita[45].
E la stessa situazione si verifica quando l’annullamento giurisdizionale “non può contenere l’accertamento sostanziale dei presupposti per ottenere il risultato della vita. In definitiva, quando l’eliminazione dell’atto impugnato avviene sulla base dell’accertamento di uno o più vizi che attengono a elementi discrezionali dell’esercizio del potere, la sentenza limita il potere nella sua fase di rinnovo, ma senza segnarne l’esito[46]: in breve, non è in grado di accertare la fondatezza della pretesa.
In questi casi la parola ritorna all’amministrazione e la presenza della discrezionalità -come componente sfuggente al sindacato del Giudice amministrativo- sembra riproporre la metafora della tartaruga di Achille, di cui parlava Andrea Orsi Battaglini, per raffigurare l’utilità finale, ritenuta irraggiungibile dal giudizio amministrativo[47], a causa appunto della componente discrezionale del potere.
Tuttavia anche tali giudizi di annullamento producono una “riduzione progressiva della discrezionalità amministrativa[48]. E poiché occorre “scongiurare l’indefinita parcellizzazione giudiziaria di una vicenda sostanzialmente unitaria[49], il Giudice amministrativo deve pur sempre poter accertare quando vi sia l’esaurimento di detta discrezionalità.
E’ quanto si è verificato nel caso oggetto della sentenza n. 1321/2019, ove, accertata “la consumazione della discrezionalità (dopo il susseguirsi di vari giudicati di annullamento), il Consiglio di Stato non solo ha annullato l’ennesimo atto impugnato, ma ha anche disposto l’ordine di emissione dell’atto conforme all’interesse legittimo sostanziale del cittadino.
Dunque, sia pure con una pluralità di giudizi, anche in ossequio alla presunta necessità di dare all’amministrazione una doppia chance, il Giudice amministrativo è in grado di accertare la fondatezza della pretesa sostanziale, anche nei casi più complessi, relativi agli interessi legittimi pretensivi. Il che significa che è in grado al fine di “catturare” la tartaruga di Achille, di cui si diceva, garantendo al contempo l’effettività della tutela.
Infatti, “se l’effettività della tutela giurisdizionale è la capacità del processo di far conseguire i medesimi risultati garantiti dalla sfera sostanziale, l’interesse legittimo abbisogna della predisposizione dei rimedi idonei a garantire il conseguimento dell’utilità “primaria” specificamente oggetto dell’aspettativa riconosciuta dall’ordinamento[50].
Ho riferito vari passi della sentenza n. 1321/2019, perché, come anticipato, ne condivido l’impostazione, le categorie sostanziali presupposte e i rimedi giurisdizionali apprestati.
Mi domando solo se tali risultati potrebbero essere conseguiti anche senza passare per ben tre giudicati di annullamento. E se non basterebbe l’adozione di adeguati strumenti cognitori ed istruttori per raggiungere l’accertamento della fondatezza della pretesa, senza “una defatigante alternanza tra procedimento e processo[51]: il che, a tacer d’altro, soddisferebbe non solo le esigenze del ricorrente, ma anche quelle dell’amministrazione, che potrebbe conoscere subito (e definitivamente) se un determinato bene della vita “spetta” o “non spetta”[52] al privato richiedente e, dunque, conseguire certezze nella propria azione.
Naturalmente, sempre che in giudizio sia posta una domanda di tal fatta. Come nel caso in cui un concorrente pretermesso chieda, oltre che l’annullamento dei risultati della gara, anche l’aggiudicazione e il contratto (art. 124 c.p.a.).
Il che significa, al di fuori del rito degli appalti (e sempre per gli interessi legittimi pretensivi), che sia proposta non solo una domanda di annullamento, ma anche una domanda di adempimento (art. 34, c. 1, lett. c, c.p.a.). E che siano utilizzati tutti gli strumenti istruttori a disposizione del Giudice, al fine di esaurire la (eventualmente ancora persistente) discrezionalità amministrativa e siano completati gli accertamenti riservati all’amministrazione.
E’ stato peraltro obbiettato che, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di adempimento, “la norma…si riferisce, individuandola, alla fattispecie quale deve essere al momento in cui tale azione viene proposta, non quale potrebbe risultare al termine del giudizio[53]. Il che renderebbe irrilevante anche lo sviluppo spontaneo dell’azione amministrativa nel corso del giudizio.
Ora il tema dei poteri del giudice nel corso di un’azione di tal fatta non è certo nuovo, dato che è stato oggetto di ampio dibattito nel quadro della già richiamata Verpflichtungsklage, che necessita, nel sistema di giustizia amministrativo tedesco (perché il Giudice possa condannare l’amministrazione ad emettere l’atto richiesto), che la fattispecie sia “matura” per la decisione[54]. Tenendo conto del necessario confine che deve pur sempre sussistere tra poteri del giudice e quelli dell’amministrazione e che la dottrina e la giurisprudenza tedesca interpretano in modo rigoroso[55].
Il che non significa che la fattispecie non possa divenire “matura” nel corso del giudizio. E ciò vale a maggior ragione nel caso della nostra azione di adempimento, che, com’è noto, non è autonoma, ma deve sempre accompagnarsi ad una diversa azione (essenzialmente di annullamento). Ed è parimenti noto che, persino nell’ambito di un’azione di annullamento, “la “riduzione” della discrezionalità amministrativa (anche tecnica) può essere l’effetto…sul piano “processuale” dei meccanismi giudiziari che, sollecitando l’amministrazione resistente  a compiere ogni valutazione rimanente sulla materia controversa, consentono di focalizzare l’accertamento, attraverso successive approssimazioni, sull’intera vicenda di potere (si pensi alla combinazione di ordinanze propulsive e motivi aggiunti avverso l’atto di riesercizio del potere, ma anche alle preclusioni istruttorie e alla regola di giudizio fondata sull’onere della prova), concentrando in un solo episodio giurisdizionale tutta quell’attività di cognizione che prima doveva necessariamente essere compiuta in sede di ottemperanza[56].
Ma se non sussistono preclusioni a che la questione (dell’emissione o meno del provvedimento richiesto) “maturi” nel corso del giudizio[57], non dovrebbero neppure sussistere ostacoli a che il Giudice amministrativo si avvalga dei suoi ordinari poteri istruttori.
Il discorso va inevitabilmente a sfociare su quanto da me da tempo e vanamente proposto[58]. E cioè sull’utilizzazione effettiva (e non timida o addirittura evanescente) dello strumento della richiesta di informazioni diretta all’amministrazione (art. 63, c.1, c.p.a.), oltre che, eventualmente, della verificazione (art. 63, c. 4, c.p.a.).
Se il Giudice amministrativo di legittimità, in sede di giudizio di annullamento (ma ancor meglio in sede di giudizio di adempimento, anche per evitare la censura dell’ultra petita), ponesse all’Amministrazione il semplice quesito di indicare se sussistono ragioni ostative all’emissione del provvedimento richiesto (ulteriori rispetto a quelle eventualmente già contenute nell’atto impugnato), l’intero conflitto sostanziale potrebbe essere contenuto all’interno del singolo giudizio (eventualmente opportunamente integrato con motivi aggiunti, a seguito della risposta dell’Amministrazione). Non residuerebbero più, in altri termini, ragioni che impongano, in caso di annullamento, un ulteriore esercizio di scelte discrezionali e di accertamenti riservati.
Siffatta tecnica processuale, sovente utilizzata dalla Corte di giustizia anche nei giudizi di impugnazione di decisioni di tipo provvedimentale, è trascurata dal Giudice amministrativo. Eppure potrebbe essere molto efficace per dirimere la controversia in un unico giudizio e non pare trovare controindicazioni di sorta.
Non risulterebbe conculcata la sfera di autonomia e di responsabilità dell’amministrazione (che, anzi, rispondendo, avrebbe un’ulteriore occasione per esercitare pienamente la sua discrezionalità e per compiere le altre attività a sé riservate), né risulterebbe, per la stessa ragione, violato il precetto dell’art. 34, c. 2, c.p.a. (per il quale il Giudice amministrativo non può pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati). Risulterebbe integrato e potenziato l’istituto dell’art. 10 bis della legge 241/1990, dando effettività al relativo precetto, ritenuto dalla giurisprudenza inidoneo ad esaurire i motivi di diniego[59]. Risulterebbero esauriti i margini di discrezionalità e svolti gli accertamenti riservati, la cui mancanza è, viceversa, preclusiva della sentenza di accertamento della fondatezza della pretesa.
Il che non significa porre l’istruttoria al servizio delle esigenze del ricorrente, avvantaggiandone la posizione. Basta, infatti, che la rinnovata presa di posizione dell’amministrazione  contenga un solo motivo (legittimo) di diniego, perché il ricorrente risulti ineluttabilmente soccombente.
Ma se gli ostacoli frapposti dall’amministrazione non superano il vaglio del Giudice amministrativo (che ben potrà sindacare l’eventuale pretestuosità degli argomenti dell’ultima ora), allora significa che la pretesa alla acquisizione del bene della vita risulta fondata. E il relativo conseguimento non potrà non essere garantito dall’ordinamento, se non altro in sede giurisdizionale, sussistendone tutti gli strumenti (sentenza di condanna al rilascio del provvedimento richiesto) e in conformità con il principio di effettività di cui si è detto.
 
Guido Greco
 già professore ordinario presso l’Università Statale di Milano
pubblicato il 14 gennai 2020
 

[1]    Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321 (Presidente il cons. Carbone, Relatore il cons. Simeoli).
[2]   Vale per tutti il richiamo alla monografia di F.G.Scoca, L’interesse legittimo- Storia e teoria, Torino, 2017.
     Più di recente si vedano anche B. Spampinato, Interesse legittimo e dintorni, in Dir. amm., 2019, pag. 275 e ss., e R. Villata, La (almeno per ora) fine di una lunga marcia (e i possibili effetti in tema di ricorso incidentale escludente, nonché di interesse legittimo quale figura centrale del processo amministrativo), in Riv. Proc. civ. 2018, soprattutto, pag. 360 e ss..
     Cfr. anche A. Travi (a cura di) Colloquio sull’interesse legittimo. Atti del Convegno in memoria di U. Pototschnig, Milano, 19 aprile 2013, Napoli, 2014 e, in ordine all’alternativa diritto soggettivo-interesse legittimo, N. Paolantonio, Esistenza dell’interesse legittimo? (Rileggendo Franco Ledda), in Dir. amm. 2015, pag. 1 e ss; M. Mazzamuto, A cosa serve l’interesse legittimo, in Dir. proc. amm., 2012, pag. 46 e ss.; L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, Milano, 2003, pag. 182 e ss..  
[3]    R. Guastini, “Un soggetto, un diritto, un giudice”, I fondamenti teorici di una giustizia non amministrativa, in Dir. pubbl., 2008, pag. 45 e ss., che a sua volta richiama gli scritti degli anni 1913-2919 di W.N. Hohfeld, Concetti giuridici fondamentali, trad. ital., Torino, Einaudi, 1969.
[4]    Nel senso tecnico del termine, come polo positivo di un rapporto obbligatorio: cfr. F. Santoro    Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, pag. 71.
[5]   Cfr. al riguardo ancora R. Guastini, op. loc. cit.
[6]    Salvo poter contestare l’esistenza stessa del diritto potestativo. L’interesse legittimo è viceversa conformato non solo dalle norme sull’esistenza del potere, ma anche da quelle sull’esercizio del potere, come si ribadirà nel prosieguo.
    Maggiore affinità (per quel che concerne il versante del potere) presenta l’istituto della potestà familiare, che appunto viene tradizionalmente qualificato come posizione di potere e dovere. Tuttavia sul versante del destinatario della potestà familiare difficilmente si può costruire una figura analoga quella dell’interesse legittimo, dato il ruolo fondamentale che presenta al riguardo l’intervento del Giudice tutelare.
[7]   Cfr., per tutti, Norbert Foulquier, Les droits publics subjectif des administrés, Parigi, Dalloz, 2003.
[8]   Cfr., per tutti, O. Tschira-W. Schmitt Glaeser, Verwaltungsprozessrecht, Stuttgard, 1988, pag. 88 e ss. Cfr. anche F.O. Kopp-W.R. Schenke, Verwaltungsgerichtsordnung, Kommentar, München, 2009, par. 42.  
[9]   Cfr. N. Paolantonio, op. cit., pag. 45.
[10] Cfr. ancora N. Paolantonio, op. cit., pag. 42.
[11] Cfr. infra par. 4.
[12] E’ questa l’impostazione normativa che si trova, ad esempio, nel Diritto ad una buona amministrazione, di cui all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
[13] A cominciare da Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, punto 5, che tuttavia contiene ancora margini di ambiguità (tra costruzione finale e strumentale), che non sono certo presenti in Cass., Sez. Un., 4 settembre 2015, n. 17586, su cui si tornerà nel prosieguo.
[14] Cfr., tra le tante, Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2011, n. 15, punto 6.4.1; Cons. Stato, Ad Plen. 23 marzo 2011, n. 3, punto 3.1.
     Molto significativa è anche T.A.R. Lombardia, sez. III, 8 giugno 2011, n. 1428.
[15] Corte cost. 13 dicembre 2019, n. 271, punto 11.2.   
[16] N. Foulquier, op. cit. pag. 570 e ss.
     Occorre peraltro sempre tener presente che il sistema francese si muove (almeno per il ricorso per excès de pouvoir) in una logica di giudizio oggettivo e non soggettivo, sicché la costruzione della situazione giuridica soggettiva è tutto sommato meno importante.
[17]  La (almeno per ora) fine di una lunga marcia, cit., pag. 360 e ss.
[18] Così Villata, op. cit., pag. 358, sintetizza il pensiero di Mario Nigro
[19] Cfr. Villata, op. cit., pag. 357 e 358.
     Val la pena, peraltro, di richiamare integralmente la nozione proposta da Nigro, che consiste in una “posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad una utilità oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa all’utilità” (M. Nigro, Giustizia amministrativa, VI ed., Bologna, 2002, pag. 103). Il riferimento alla “pretesa all’utilità” rendono quanto meno dubbia l’adesione ad una teoria strumentale e non finale dell’interesse legittimo (cfr. sul punto, B. Spampinato, op. cit. pag. 290). 
[20] Così Villata richiama la costruzione di F.G. Scoca, che dichiara di condividere totalmente, salvo -sembra- per il solo aspetto che riguarda l’estinzione della situazione soggettiva.
[21]  Aggiunge, in proposito Villata (op. cit. pag. 261, 262) che non è affatto vero che la tesi costruttiva da me proposta (e comunque difesa) possa trovare una “sponda” negli studi di Antonio Romano Tassone, né in quelli di Francesca Trimarchi Banfi, perché sia l’uno che l’altra hanno cura di precisare che l’interesse legittimo assicura solo la “possibilità di soddisfazione” dell’interesse finale.
     Mi rendo conto che è sempre pericoloso inquadrare il pensiero altrui in categorie non sempre ben definite e che presentano articolazioni talvolta sovrapponibili tra di loro. Tuttavia gli Autori sopra richiamati paiono porre al centro della figura sempre e comunque l’interesse finale (cfr. infra nota 32) e non utilità accessorie e procedimentali, sicché non contrastano certo con l’impostazione da me seguita, che, di fronte all’attività discrezionale (e finché questa non venga esercitata), implica appunto la “possibilità” del raggiungimento del risultato finale (aspettativa di interesse legittimo). Il che è radicalmente diverso dalle costruzioni strumentali, in cui l’interesse legittimo si ritiene esistente e soddisfatto, anche quando l’utilità finale è impossibile da raggiungere, come meglio si preciserà nel testo.
[22] Le convergenze e le divergenze con la costruzione di F.G. Scoca sono state da me sottolineate in occasione delle plurime presentazioni e commenti della assai pregevole monografia dell’illustre Autore (cfr., ad esempio, il mio “interesse strumentale e interesse finale”, Relazione al convegno di Catania del 22 settembre 2017, i cui atti sono in corso di pubblicazione).
[23]  Da ultimo riconosciute pure dalla citata sentenza n.   271 /2019 della Corte costituzionale.
[24]  Per la quale è stato da tempo obbiettato che non solo si dovrebbe considerare soddisfatto colui che subisce una limitazione della propria sfera giuridica, sol perché operata da un atto legittimo, ma anche (e correlativamente) dovrebbe considerarsi insoddisfatto (e leso) il soggetto che, pur avendo acquisito o conservato il bene della vita, abbia raggiunto tale risultato attraverso un atto illegittimo, perché inficiato da vizi formali o procedurali: il che appare contro il buon senso (oltre che espressamente confutato da Cass. Sez. Un. 4 settembre 2015, n. 17586, cit.).
[25] Cfr. F.G. Scoca, op. cit., pag. 413-414, ove l’illustre Autore precisa che “se il provvedimento favorevole legittimamente non viene adottato, l’interesse legittimo, secondo la concezione c.d. strumentale, comunque sussiste ed è stato esercitato nel procedimento (rammentando che fisiologicamente esso non garantisce il soddisfacimento dell’interesse del privato); secondo la concezione c.d. sostanziale, l’interesse legittimo, in caso di provvedimento legittimo e sfavorevole, non esiste affatto”.
[26] Cfr. M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano 1981, pag. 259.
[27] Corte Cass., Sez. Un. 4 settembre 2015, n. 17586, punto 8.1.
[28] Così Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, punto 5.
    In senso contrario sostiene Villata che, ai fini del risarcimento del danno, “il “rapporto” potere/interesse legittimo si esaurisce nella verifica della illegittimità del provvedimento amministrativo” (R. Villata, op. cit., pag. 368). Ma basta ricordare quanto già enunciato dalla sentenza n. 500 del 1999 (a proposito del “giudizio prognostico…sulla fondatezza o meno dell’istanza”) per convincersi che il sindacato del Giudice si estende all’interesse finale.
     Tant’è che ad esempio, di fronte ad una domanda risarcitoria (in cui il ricorrente chiedeva i danni cagionati dall’adozione di un provvedimento satisfattorio, ma illegittimo e per questo caducato in sede giurisdizionale), il Giudice amministrativo  non ha avuto dubbi nel respingere la relativa domanda, perché, “in assenza di accertamento in merito alla spettanza del bene della vita oggetto della concessione, non vi è lesione dell’interesse pretensivo fatto valere dalla Società”  (Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2014, n. 183).   
[29] Su di che si può vedere già il mio Accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, pag. 58 e ss. Cfr. anche M. Clarich, L’azione di adempimento nel sistema di giustizia amministrativa in Germania: linee ricostruttive e orientamenti giurisprudenziali, in Dir. proc. amm, 1985, pag. 66 e ss. e A. Carbone, L’azione di adempimento nel processo amministrativo, Torino, 2012, pag. 89 e ss.
[30] Sul diverso “peso” delle due diverse categorie di norme, significativo è quanto si legge nella sentenza n. 1321/2019, da cui partono le presenti note. Infatti, vale la precisazione che “mentre lo schema classico della giustizia amministrativa era contrassegnato dalla equivalenza di tutte le norme violate, nel contesto attuale le risultanze del processo devono invece essere commisurate alla consistenza dell’interesse materiale: ciò accade nell’azione costitutiva -dove, per effetto dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, la difformità dal diritto obbiettivo che non abbia inciso sulla adeguata sistemazione degli interessi in gioco non può comportare l’annullamento dell’atto-, sia nell’azione di condanna, dove pure non può accordarsi protezione al portatore di rimostranze meramente “formalistiche”” (sentenza cit. punto 5.2).
[31] R. Villata, op. cit. pag. 360.
[32] Sentenza n. 1321/2019 cit., punto 5.3.
    Significativo è quanto è stato scritto in proposito da F. Trimarchi Banfi, L’interesse legittimo: teoria e prassi, in Dir. proc. amm.  2013, pag. 1017, ove precisa che “Si mostra così che l’interesse legittimo non è pretesa ad un atto conforme alle regole che disciplinano l’attività amministrativa, ma piuttosto pretesa ad un atto conforme a norme protettive dell’interesse del ricorrente, o quanto meno a norme la cui osservanza giovi a quell’interesse. Aggiungo che è protettiva dell’interesse del ricorrente anche la norma che gli conferisce la possibilità di soddisfare il suo interesse: per questo, è lesiva dell’interesse del ricorrente anche la violazione di norme di procedura, purché sussista la possibilità che, se osservate, quelle regole avrebbero determinato una decisione favorevole. Ma quando la violazione del diritto oggettivo denunciata dal ricorrente non assume rilevanza in sé e per sé, possiamo dire, mi pare, che prima ancora dell’interesse a ricorrere ciò che manca è l’interesse legittimo”.
      Il che, mi pare, una chiara adesione alla concezione dell’interesse legittimo finale e non strumentale, dato che, a differenza di quest’ultimo, è l’interesse legittimo finale che può dirsi mancante, nel caso in cui non sussista possibilità di una decisione favorevole.
[33] Sempre che persista “la possibilità del raggiungimento del bene della vita” (come si legge nel passo riportato a pag. 360 del saggio di Villata e riferito ad una mia presa di posizione).
[34] Il riferimento è d’obbligo anzitutto ad A. Orsi Battaglini, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Studi in ricordo di Enzo Capaccioli, Milano, 1988, pag. 268 e ss.
[35] Il che si evince da tutto il complesso della legge 241/90 e, in particolare, dall’art. 1, c. 1 bis, dall’art. 19 e dall’art. 21 octies c. 2. Per la giurisprudenza basta richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004. 
[36] Del resto in tal quadro nessun rilievo presentano le norme procedimentali o formali (come espressamente previsto dall’art. 21 octies, c. 2, della legge 241/90), sicché non v’è spazio, né rilevanza, per un interesse legittimo strumentale, come sopra definito.
[37] Si pensi, ad esempio, ad una richiesta di permesso di costruire in un’area inedificabile. Se la circostanza non è controversa o risulti comunque accertata, il privato risulterà ab origine privo di un vero interesse legittimo pretensivo.  Tant’è che il provvedimento di rifiuto del permesso di costruire non risulterà annullabile neppure per eventuali vizi formali o procedurali (art. 21 octies, c. 2, legge 241/90), sicché non sussisterà alcuna situazione giuridicamente protetta, né giustiziabile.  
Il discorso è ovviamente diverso nel quadro di un procedimento ablatorio. In tal caso l’assenza di un presupposto o di un requisito di fatto o di diritto (si pensi in un procedimento disciplinare all’insussistenza del fatto contestato) comporterà l’impossibilità di adottare il provvedimento finale e il cittadino risulterà ab origine titolare dell’interesse legittimo oppositivo.
 
 
 
[38] Per tale ragione preferisco parlare di aspettativa (di interesse legittimo) e non di interesse legittimo strumentale. Come si è visto, infatti, l’interesse strumentale sussiste anche quando il risultato finale sia impossibile da raggiungere, mentre l’aspettativa (di interesse legittimo) sussiste finché il risultato finale sia ancora raggiungibile e cade nel momento in cui lo stesso sia raggiunto o, per converso, sia divenuto impossibile da raggiungere. 
[39] In ordine al momento da prendere in considerazione, ai fini della costruzione della situazione giuridica soggettiva, cfr. L. Ferrara, Statica e dinamica nell’interesse legittimo, in Colloquio sull’interesse legittimo, cit., pag. 105 e ss. Seguendo la metafora suggerita dall’Autore, il “fermo immagine” dovrebbe essere individuato, a mio modo di vedere, non all’inizio, ma quanto meno alla fine del procedimento, per le ragioni esposte nel testo (e sempre che non si tratti di attività ab origine vincolata).
[40] Per tali considerazioni, cfr. B. Spampinato, Interesse legittimo e dintorni, cit., pag. 277 e ss., in particolare nota 15.
[41] Ne deriva che le vicende del procedimento sono in grado di conformare la situazione soggettiva. Con l’ulteriore implicazione che pretendere che la configurazione della (ipotetica) situazione soggettiva sia sempre e comunque ragguagliata alla fattispecie astratta, che precede l’esercizio del potere amministrativo (cfr. B. Spampinato, op. cit., pag. 284 e ss.), risulta in contrasto (anche) col dato positivo (dell’art. 31, c.3, c.p.a., ma anche dei vari istituti procedurali, solo all’esito dei quali è apprezzabile la sussistenza o meno della fondatezza della pretesa e, così, la sussistenza di una vera situazione sostanziale).
    Del resto ciò risponde anche all’esperienza pratica, dato che quel che si fa valere (anche in giudizio) non è la posizione ex ante, ma quella che risulta variamente conformata dagli esiti del procedimento. A meno di non voler sostenere, ad esempio in una gara, che la posizione dell’aggiudicatario, del secondo classificato e dell’ultimo classificato siano sempre e comunque le medesime e non vi siano implicazioni giuridiche -ai fini dell’acquisizione del bene della vita- dalle risultanze della gara.  
[42]  Il rilievo riguarda non già la tesi dell’interesse strumentale, sibbene la tesi che, pur parlando di “interesse ad un bene della vita”, lo ritiene esistente anche se può rimanere in concreto insoddisfatto (cfr. B. Spampinato, op. cit., pag. 279 e ss.), rilevando altresì che ciò può accadere anche per il diritto soggettivo (pag. 280).
     Ma un diritto soggettivo può rimanere in concreto insoddisfatto solo per inadempimento (o altro atto illecito) altrui. Non già per un’attività lecita, che, in quanto tale, dimostra che il diritto soggettivo non esiste, così come non può esistere altra situazione giuridica soggettiva: infatti, se l’ordinamento consente che un determinato interesse possa essere (legittimamente) conculcato, non è possibile -per la contraddizione che non lo consente- parlare contestualmente di un interesse giuridicamente protetto (ma al più di interesse di mero fatto). 
[43] Sicché l’interesse strumentale, inteso come quello che può esistere anche allorché sia esclusa la possibilità di attingere all’utilità finale, appare per altro verso insoddisfacente: perché come tale non risulta neppure giustiziabile.
[44]   Sentenza 1321/2019, punto 5.1.
[45] Sentenza testé citata, punto 5.2.
[46] Sentenza ult. cit., punto 5.1.
[47] A. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello Stato di diritto, Milano, 2005, pag. 160.
[48] Sentenza 1321/2019, punto 6.
[49] Sentenza 1321/2019, cit., punto 6.
[50] Sentenza 1321/2019, punto 6.1.
[51] Sentenza 1321/2019, punto 5.
[52] Sul concetto di spettanza, applicato al rapporto amministrativo, mi permetto di richiamare quanto da me esposto sin dal 1980 nella monografia “L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo”, cit., pag. 137, 147, 148 e 171.
[53] Così R. Villata, op. cit., pag. 366.
 
 
[54] Cfr. sul punto M. Clarich, L’azione di adempimento nel sistema di giustizia amministrativa in Germania: linee ricostruttive e orientamenti giurisprudenziali, in Dir. proc. amm., 1985, pag. 66 e ss., pag. 83 e ss. In particolare, si tratta di stabilire “se ed entro quali limiti il giudice amministrativo abbia l’obbligo di procedere d’ufficio a chiarire i termini della questione in modo da poter predeterminare il contenuto del provvedimento che deve essere emanato” (pag. 81).
[55] Cfr. ancora M. Clarich, op. loc. cit.
[56] Sentenza 1321/2019, punto 6.2.
     Dunque è ben possibile, anche nell’ambito del giudizio di adempimento, “che anche una attività “in limine litis” connotata da discrezionalità possa, a seguito della progressiva concentrazione in giudizio delle questioni rilevanti…, risultare, all’esito dello scrutinio del Giudice, oramai “segnata” nel suo sviluppo” (Così T.A.R. Lombardia, sez. III, 8 giugno 2011, n. 1428, Pres. Giordano, est. Simeoli, punto V.7).     
[57] Cfr. A. Carbone, L’azione di adempimento, cit., pag. 240 e ss.
Di contrario avviso, come si è visto, è R. Villata, la cui interpretazione restrittiva è in linea con il pensiero dell’Autore, che ha sempre avversato l’introduzione (e persino l’ammissibilità) nel nostro ordinamento di un’azione di tal fatta (cfr. Nuove riflessioni sull’oggetto del processo amministrativo, in Studi in onore di Antonio Amorth, Milano, 1982, pag. 705 e ss.).
Rimane, in definitiva e dopo quasi quarant’anni (cfr. la mia nota, Silenzio della pubblica amministrazione e oggetto del giudizio amministrativo, in Giur. It.,1983, III, 1, 137 ss.), il dissenso di fondo sulla definizione dell’interesse legittimo e sui possibili strumenti di tutela. Ma se il confronto dialettico è il “sale” del dibattito scientifico, anche quello testé esposto potrebbe forse essere di qualche utilità.
[58] Cfr. Per un giudizio di accertamento compatibile con la mentalità del giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., 1992, pag. 481 e ss.
[59] Cfr., sia pure in senso critico, Cons. Giust. Amm. 18 giugno 2014, n. 331.
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