14/12/2015 – La Corte dei conti blinda le consulenze esterne e quelle affidate ai dipendenti interni

La Corte dei conti blinda le consulenze esterne e quelle affidate ai dipendenti interni
di Amedeo Di Filippo – Dirigente comunale

 

Due recenti pronunce della Corte dei conti -un parere della sezione Piemonte e una sentenza della sezione Veneto- giungono quasi all’unisono a ricordare le regole che presenziano le due facce di una stessa medaglia: l’affidamento di consulenze esterne e l’autorizzazione ad attività esterne da parte dei dipendenti pubblici.

La consulenze esterne

La sezione Piemonte della Corte dei conti si esprime, con la Delib. n. 162 del 9 novembre, sulla procedura comparativa attivata da un consorzio per la valorizzazione dei rifiuti finalizzata al conferimento di un incarico di collaborazione esterna altamente qualificata per l’elaborazione degli atti societari di una società in corso di costituzione.

Dal relativo esame è emersa l’assenza dei seguenti elementi:

– la valutazione dell’organo di revisione;

– l’osservanza dei limiti di spesa di cui all’art. 6, comma, 7, D.L. n. 78 del 2010 convertito dalla L. n. 122 del 2010;

– l’inserimento dell’atto di spesa nel programma degli incarichi;

– l’accertamento preventivo che la spesa fosse compatibile con gli stanziamenti di bilancio e le regole di finanza pubblica ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. a), n. 2, D.L. n. 78 del 2009 (tempestività dei pagamenti);

– la previa adozione del Piano della performance ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, comma 5, D.Lgs. n. 150 del 2009.

Il consorzio ha ribattuto punto su punto alle censure mosse dai giudici contabili, contestando di aver approvato il programma degli incarichi professionali e prevista la relativa copertura in bilancio e ritenendo inapplicabili le norme sulla performance, essendo consorzio obbligatorio, così come i limiti di spesa, in quanto trattavasi di incarico per attività procuratoria di difesa e assistenza stragiudiziale volta alla redazione di atti societari complessi in contraddittorio con i legali delle altre amministrazioni interessate.

Un incarico, dunque, non di semplice consulenza ma che ha involto la tutela degli interessi pubblici ed economici di ciascun territorio nella fase dell’unificazione delle gestioni, destinato a sostenere la scelta del consorzio nella definizione del futuro assetto della compagine societaria.

I criteri per i conferimenti

La sezione Piemonte della Corte non ci sta e con la segnalata deliberazione dichiara l’atto di affidamento di incarico “non conforme alla disciplina di legge”. Invita quindi il consorzio ad adottare gli opportuni provvedimenti per conformare la propria attività alla legge in materia di affidamento di incarichi, dando riscontro alla sezione delle iniziative conseguentemente assunte. Inoltre dispone la trasmissione della deliberazione alla Procura Regionale.

La disamina della sezione parte dalle norme di riferimento, a cominciare dall’art. 1, comma 173, L. n. 266 del 2005, secondo cui gli atti di spesa di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione.

Obbligo che si unisce a quello previsto dall’art. 1, comma 42, L. n. 311 del 2004, che stabilisce l’obbligo di trasmissione alla magistratura contabile degli atti di affidamento di incarichi di studio, ricerca e di consulenza, a prescindere dal valore monetario, con obbligo di valutazione dell’organo di revisione dell’ente.

La finalità di queste previsioni -ricordano i magistrati contabili- “è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti controllati a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche”.

Controllo collaborativo che però non trattiene le sezioni regionali di controllo dallo spedire immediatamente le deliberazioni considerate non conformi alle rispettive Procure regionali per i provvedimenti sanzionatori in ordine alle responsabilità erariali.

Al fine di compendiare oggettivamente la legittimità dell’incarico disposto dal consorzio, la Corte fa puntuale e analitico riferimento alla fonte principale in materia, che è l’art. 7, commi 6 e seguenti, D.Lgs. n. 165 del 2001, norme più e più volte frequentate dalla magistratura contabile.

Questi i criteri, ampiamente conosciuti:

a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;

b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno, in ossequio al principio generale secondo cui gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale, le collaborazioni esterne essendo del tutto eccezionali;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico;

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;

e) deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”, da cui si può prescindere solo in alcuni casi tassativamente identificati dalla norma.

Entra poi la sezione nelle singole censure mosse all’atto di affidamento dell’incarico, iniziando dal fatto che, secondo il consorzio, questo non sarebbe assoggettato alla previa valutazione dell’organo di revisione né sottoposto ai limiti di spesa dell’art. 6, comma 7, D.L. n. 78 del 2010, in quanto attività di difesa e assistenza di carattere legale.

Rileva però la sezione che trattasi di un incarico di assistere il consorzio nello studio degli adempimenti necessari e nell’iter per la costituzione di un nuovo soggetto giuridico, nella forma della società di capitali, che comporta la redazione degli schemi degli atti fondamentali quali lo statuto e i patti parasociali.

Pertanto, è la conclusione, si tratta di un incarico misto che però assume i caratteri preminenti propri dello studio e dell’assistenza involgente altresì attività consulenziale. Come tale non esula dai tradizionali incarichi di studio e consulenza, anche tenendo conto del fatto che la prestazione è resa all’interno di un’attività di tipo stragiudiziale che non ha alcuna connessione con un giudizio già avviato né con una procedura precontenziosa destinata a sfociare in un giudizio in caso di mancata sottoscrizione di un accordo conciliativo o transattivo.

Importante la precisazione che la sezione offre in questo specifico ambito: posto che sono esclusi gli incarichi destinati alla difesa in giudizio, il discrimine per gli altri sta nel fatto che al collaboratore esterno si chiede l’elaborazione di atti amministrativi e normativi oppure attività di consulenza volte a confluire in valutazioni anche propedeutiche all’individuazione di soluzioni nell’interesse dell’amministrazione conferente.

Le spese e il Piano della performance

Ugualmente necessarie sono, secondo i giudici piemontesi, la verifica di compatibilità del pagamento con gli stanziamenti di bilancio e il rispetto delle regole della finanza pubblica, con particolare riferimento all’art. 9, comma 1, lett. a), n. 2, D.L. n. 78 del 2009, che pone in capo al funzionario che impegna la spesa l’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica.

Per quanto concerne la mancata previa adozione del Piano della performance, causa la pretesa inapplicabilità dell’art. 10, D.Lgs. n. 150 del 2009, rileva la sezione come l’art. 169 del TUEL sia stato recentemente integrato dall’art. 3, comma 1, lett. g-bis), D.L. n. 174 del 2012, che vi ha aggiunto il comma 3-bis, che unifica il piano dettagliato degli obiettivi e il piano della performance all’interno del piano esecutivo di gestione (PEG).

Da questa deriva -secondo la sezione- che l’adozione del piano della performance sia diventato un “puntuale ed ineludibile obbligo nei confronti di tutti gli enti locali, che devono dotarsi di uno strumento idoneo a individuare gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi dell’amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori”.

Strumento la cui mancanza inibisce all’ente l’erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che abbiano concorso alla mancata adozione del Piano, ma anche la possibilità di procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati.

A questo unisce l’art. 10, commi 6 e 8, D.Lgs. n. 33 del 2013, che obbligano tutte le amministrazioni pubbliche a dare ampia comunicazione e diffusione del Piano della performance, presentandolo in apposite giornate ad associazioni di consumatori o utenti, ai centri di ricerca e a ogni altro osservatore qualificato, nonché pubblicandolo integralmente sul proprio sito istituzionale, prevedendo altresì, all’art. 46, un apposito apparato sanzionatorio in caso di mancato adempimento degli obblighi di pubblicazione.

L’autorizzazione agli incarichi al personale interno

Tutt’altro tenore ha la Sent. n. 170 del 12 novembre 2015 con cui la sezione giurisdizionale per il Veneto della Corte dei conti si è espressa nel giudizio di responsabilità nei confronti di un dirigente in relazione a diversi incarichi conferiti e non autorizzati.

Qui siamo nell’ambito delle consulenze affidate al personale interno, la cui disciplina è contenuta all’art. 53, D.Lgs. n. 165 del 2001, che contiene il principio secondo cui i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

In caso di inosservanza del divieto, il compenso dovuto deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

Ampio e multiforme il pacchetto di consulenze sottoposte alla lente del giudice contabile, il cui filo conduttore è la mancanza di autorizzazione rituale cui è correlata la insostenibilità -eccepita a chiare lettere dai giudici- della (pratica della) prassi di rilascio informale dei titoli autorizzatori, in quanto in caso di omessa formale determinazione dell’amministrazione si ha secondo i giudici un’ipotesi di silenzio significativo con valore di diniego provvedimentale.

Né ha valore il documento che si limita a rilasciare un atipico nulla-osta “in attesa della conclusione della pratica da parte della competente segreteria generale (alla quale sarà trasmessa la documentazione)”, come in alcuni casi di specie. Soprattutto se agli atti poi non risulta alcun provvedimento conclusivo del procedimento, seppure postumo, emesso dall’organo competente al rilascio del titolo autorizzativo.

La sentenza è particolarmente interessante anche per gli “elementi oggettivo-fattuali” che assume a parametro per verificare l’elemento soggettivo dell’illecito:

– la qualifica di dirigente del convenuto;

– la natura oggettiva dell’incarico, afferente il settore dei rifiuti, ambito in cui è senz’altro necessaria una puntuale valutazione autorizzatoria, nel cui procedimento l’amministrazione avrebbe dovuto vagliare eventuali incompatibilità, tanto più trattandosi di enti conferenti privati;

– la sua “consuetudine” all’espletamento di incarichi esterni;

– la circostanza che, in alcune ipotesi, il dirigente ha avanzato istanza di autorizzazione e che in diverse ipotesi è stato destinatario di incarichi formalmente assentiti;

– la sussistenza di obblighi di comunicazione;

– la sussistenza di limiti quantitativi e di retribuzione, la cui verifica richiedeva una puntuale decisione dell’amministrazione.

Elementi che fanno determinare la sezione Veneto a qualificare la condotta del funzionario addirittura “in termini dolosi”, in quanto non solo emerge l’evidente conoscenza della normativa, ma anche la piena coscienza e volontà dell’illecito contestato (svolgimento di incarico non autorizzato, percezione del corrispettivo e mancato riversamento nelle casse dell’ente).

Circostanza che peraltro induce i giudici a negare la sussistenza degli estremi per poter esercitare il potere di riduzione dell’addebito ex art. 1, comma 1-bis, L. n. 20 del 1994.

L’ultima annotazione è da riservare ai criteri che i giudici utilizzano per la valutazione dell’elemento costitutivo del danno, nel caso di specie quantificato in un ammontare molto alto.

A fronte della richiesta di scomputare l’importo dell’Irpef versata e le ritenute d’acconto effettuate dai soggetti conferenti gli incarichi, la sezione rileva che i tributi dichiarati e pagati in sede di dichiarazione annuale dei redditi non sono stati corrisposti in esecuzione del rapporto di servizio con l’amministrazione di appartenenza ma trattasi di obbligazione pecuniaria adempiuta a vantaggio dello Stato nell’ambito del successivo ed autonomo rapporto tributario Irpef tra la persona fisica e lo Stato stesso, come tale regolato da specifica ed autonoma disciplina e influenzato dalla capacità contributiva complessiva del dirigente.

Pertanto, è solo nei confronti dell’amministrazione finanziaria che il convenuto potrà far valere le proprie ragioni, non certo nei confronti dell’organo che accerta la responsabilità erariale.

Ragionamento che però non vale per gli importi ritenuti a monte a titolo d’acconto, dunque mai concretamente percepiti dal convenuto.

Corte dei Conti Piemonte, Sez. contr., Delib., 9 novembre 2015, n. 162

Corte dei Conti Veneto, Sez. giurisdiz., Sent., 12 novembre 2015, n. 170

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