tratto da lasettimanagiuridica.it
CDS. Non sono sanabili i vizi in contrasto con gli strumenti urbanistici. (video sintesi)
(SF) L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (17/2020) affronta il “dubbio esegetico” che riguarda la possibilità, a seguito dell’annullamento di un permesso di costruire, di condonare (in sanatoria) e applicare una sanzione pecuniaria, anche nel caso di “vizi non emendabili” (art. 38 DPR 380/2001).
Gli stessi giudici riconoscono che sull’argomento esistono tre diversi orientamenti giurisprudenziali:
Un primo orientamento, sostenuto dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, secondo il quale la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso, ossia a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo, secondo una logica che considera l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva.
Un secondo orientamento, più risalente, formatosi sotto il vigore dell’art. 11 della legge n. 47/85 (recante un testo normativo identico), di carattere più restrittivo, secondo il quale la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali emendabili, mentre in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino, con esclusione della logica del condono.
Un terzo orientamento, intermedio, che si discosta da quello restrittivo per ritenere possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso T.U. 380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità”.
A ciò si aggiunge la Corte di Giustizia Europea che, nel caso di opere realizzate in totale assenza del titolo quando, come nel caso di specie, il proprietario subisce, senza sua colpa, una doppia e intollerabile demolizione: la prima assentita dall’amministrazione ai fini della traslazione dei volumi su diverso sedime, la seconda disposta in forza di un provvedimento che ritiene la nuova costruzione non traslabile. La scelta demolitoria del bene (in luogo della fiscalizzazione) si configurerebbe come una “sanzione”, come tale necessitante dell’accertamento dell’elemento soggettivo (inesistente a fronte di un titolo) e da un vieppiù rigoroso rispetto del principio di proporzionalità.
I giudici dell’Adunanza plenaria, affermano che la disposizione normativa fa specifico riferimento ai vizi “delle procedure”, distinguendole dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria.
La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito.
È dunque necessario individuare un punto di equilibrio nel delicato bilanciamento fra tutela dell’affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo.
Nel caso in esame, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi a seguito della nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/99, si è affermato, anche per via legislativa, che il “bene della vita” cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso di correla. E’ quindi ben possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata, l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato.
Obbligazione che interviene a ridare coerenza, ragionevolezza ed effettività al sistema delle tutele, ove la conservazione dell’immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali sopra ricordati.
Al quesito posto dall’ordinanza di rimessione deve quindi rispondersi nel senso che “i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”.
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