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Il diritto del lavoratore pubblico dipendente alla monetizzazione dei giorni di congedo ordinario non goduti per causa a lui non imputabile

di Rosa Iovino – Avvocato

Il mancato godimento delle ferie, non imputabile al pubblico dipendente, non preclude di per sé l’insorgenza del diritto alla percezione del compenso sostitutivo; in quanto tale è diritto che non riceve compressione in presenza di causa esonerativa dall’effettività del servizio diversa da quelle previste dal D.L. n. 95 del 2012 convertito in L. n. 135 del 2012.

La questione esaminata: La presente decisione che, come a breve si dirà, dispone la monetizzazione del congedo ordinario non goduto dal pubblico dipendente, prende le mosse dal diniego della relativa richiesta formulata da un sovrintendente capo della Polizia di Stato cessato dal servizio per prepensionamento. Questi, dopo aver richiesto il già citato congedo ordinario, era impossibilitato ad usufruirne poiché in congedo straordinario per malattia nel medesimo periodo. Pertanto l’amministrazione aveva opposto il diniego, rigettandone la richiesta (di monetizzazione), in quanto – a suo dire – la mancata fruizione non era dipesa da motivate esigenze di servizio.

Il lavoratore era così ricorso al giudice amministrativo chiedendo l’annullamento del provvedimento di diniego, l’accertamento del diritto alla monetizzazione e la condanna dell’amministrazione al pagamento del compenso spettante a titolo di “compenso sostitutivo per ferie maturate e non godute”.

Il quadro normativo di riferimento:

I giudici amministrativi, con una ricostruzione dell’istituto sia normativa che giurisprudenziale, statuiscono che l’impossibilità derivante da causa non imputabile al lavoratore di godere del congedo ordinario determina la monetizzazione del relativo periodo.

Come noto il diritto alle ferie, come statuito anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 1947 del 23 febbraio 1998, costituisce un diritto intangibile e irrinunciabile del lavoratore; ne soddisfa esigenze psicologiche fondamentali in quanto è destinato a ritemprarne la salute dallo sforzo fisico e psichico sostenuto per lo svolgimento delle mansioni ed allo stesso momento concede al lavoratore tempo sufficiente da dedicare alla vita privata e coltivare altri affetti ed interessi.

Fonte normativa è anzitutto rinvenuta nell’art. 36, comma 3, Cost. che, statuendo che “il lavoratore ha diritto (…) a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi” (come chiarito anche dalla giurisprudenza) non comprime il diritto neanche per la sospensione del rapporto per malattia del lavoratore.

Il diritto in oggetto è stato prima ancora introdotto nel codice civile all’art. 2109 c.c. secondo cui: “Il prestatore di lavoro ha (…) anche diritto (…) ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità“. Dall’analisi della norma emergono alcuni principi. Quelli che interessano in tale sede sono due: è l’imprenditore a stabilire le modalità di fruizione delle ferie; la durata è stabilita dalla legge/contratti collettivi, usi o secondo equità.

Assodato il diritto, le relative modalità di fruizione sono rimesse dal legislatore alla contrattazione collettiva nazionale od ai regolamenti.

Con riferimento a questo ultimo punto ed alla questione oggetto di ricorso, viene anzitutto in rilievo il disposto di cui all’art. 14D.P.R. 31 luglio 1995, n. 395 che recepisce l’accordo sindacale del 20/07/1995 riguardante il personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e che, tra le altre cose, dispone che il congedo ordinario è un diritto irrinunciabile e non è monetizzabile; non è riducibile in ragione di assenza per infermità, anche se tale assenza si sia protratta per l’intero anno solare (nel qual caso il Dirigente autorizza il periodo di godimento del congedo ordinario in relazione alle esigenze di organizzazione del servizio); le infermità insorte durante la fruizione del congedo ne interrompono il godimento nei casi di ricovero ospedaliero o di infortuni e malattie superiore a tre giorni adeguatamente debitamente documentate; all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, nell’ipotesi in cui il congedo ordinario spettante a tale data non sia stato fruito per documentate esigenze di servizio, se ne procede al pagamento sostitutivo; ed ancora, ai sensi dell’art. 18, comma 1, D.P.R. n. 254 del 1999, se nel procedere al pagamento quando il congedo ordinario non sia stato fruito per decesso, cessazione dal servizio per infermità o per dispensa dal servizio del dipendente disposta dopo il collocamento in aspettativa per infermità. Infine l’art. 18, comma 1, del successivo D.P.R. n. 164 del 2002 dispone che “compatibilmente alle esigenze di servizio, in caso di motivate esigenze di carattere personale, il dipendente deve fruire del congedo residuo entro il primo semestre dell’anno successivo a quello di spettanza”.

Le ipotesi in cui sorge il diritto al compenso sostitutivo per ferie non godute non sono tassative, rivestendo carattere ricognitivo delle singole fattispecie che via via si palesano; pertanto, l’elencazione di cui ai menzionati D.P.R. n. 395 del 1995 e D.P.R. n. 254 del 1999 non è esaustiva.

Ciò detto si evidenzia che anche la giurisprudenza è proliferata con svariate pronunce che, via via, hanno interessato le diverse sfaccettature dell’istituto in oggetto, fino a definirne con chiare linee le caratteristiche.

La Suprema Corte ha così precisato come anche nel pubblico impiego il mancato godimento delle ferie, non imputabile al lavoratore, non preclude l’insorgenza del diritto alla percezione del compenso sostitutivo trattandosi di un diritto che prescinde dal sinallagma contrattuale (prestazione/retribuzione) e che non riceve compressione in presenza di altra causa esonerativa dall’effettività del servizio (quale come nel caso de quo il collocamento in aspettativa per malattia).

Essendo, però, largamente diffuso il ricorso a tale strumento ed anzi quasi abusato dai lavoratori, al fine di arginare la spesa derivante dall’uso indiscriminato invalso nel settore pubblico di non godere appositamente delle ferie maturate così da convertirle in altrettanti giorni di retribuzione, con il D.L. n. 95 del 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 135 del 2012, è stato disposto all’art. 5, comma 8, che: “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, (…) sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile”.

Tale norma elenca le ipotesi in cui non si ha luogo alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi al mancato godimento di ferie, riposi e permessi.

Nel caso che ci occupa, invece, si tratta di ipotesi anteriori alla data di entrata in vigore della legge richiamata e, comunque, di eventi che dipendono dalla volontà del lavoratore per cui la ratio della norma parrebbe pur condivisibile; in ogni caso pur dalla lettura della stessa emerge che tutte le vicende indipendenti dalla sua volontà o da quella organizzativa del datore di lavoro fanno salvo il diritto alla monetizzazione che, in caso contrario, comporterebbe una preclusione ingiustificata ed irragionevole per il lavoratore.

In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza della Corte dei Conti, Sezione di controllo per la Vall D’Aosta, che con il parere del 12 novembre 2013 ha precisato in ordine all’art. 5, comma 8, D.L. n. 95 del 2012, che vanno escluse dal divieto previsto dalla norma indicata le ipotesi in cui il rapporto lavorativo cessa in maniera anomala e non prevedibile e quelle in cui la mancata fruizione delle ferie non è imputabile alla carente capacità di programmazione e controllo dell’Amministrazione o alla volontà del dipendente. In tali casi è, difatti, ammessa la monetizzazione, seppur alle condizioni che regolano la fruizione delle ferie ed il pagamento sostitutivo di quelle non godute.

La recentissima pronuncia di Palazzo Spada: nel caso esaminato, vi è il pieno diritto del lavoratore alla monetizzazione del congedo ordinario non goduto in quanto la sopravvenuta malattia ha determinato l’impossibilità per causa a lui non imputabile, di godere dei giorni a lui spettanti, con conseguente diritto alla monetizzazione.

T.A.R. Calabria, Sez. I, 7 marzo 2017, n. 376

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