La corretta procedura di valutazione del Segretario comunale all’esame del giudice di legittimità
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
QUI Cass. civ., Sez. Lavoro, 8 febbraio 2019, n. 3813
Un Segretario comunale andato in pensione adiva il Tribunale al fine di vedersi dichiarare la retribuzione di risultato nel limite massimo (10% del monte salari) previsto dal contratto negli ultimi quattro anni di lavoro prestato nel comune, rispetto ad una minima valutazione ricevuta in quegli anni (3% del monte salari), con condanna del comune al pagamento delle differenze retributive. Tuttavia, sia il tribunale di primo grado che successivamente la Corte di appello rigettavano la domanda del ricorrente. Nella sentenza dei giudici di secondo grado veniva riconosciuta la congruità della valutazione delle attività amministrativa e della gestione negli anni reclamati. Infatti, in aderenza al contratto dei Segretari comunali la retribuzione di risultato è ancorata all’apporto fornito dal dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione e da quantificarsi in misura compresa tra lo 0,1 e il 10% del monte stipendi del lavoratore interessato nell’anno di riferimento. La valutazione risente, in ogni caso, di un certo tasso di discrezionalità, sia pur risultando agganciata a dati obiettivi riferiti alle quattro funzioni indicate dal Comune, la cui presenza o assenza esclude che la discrezionalità si traduca in stime arbitrarie. In particolare, in merito alla valutazione sulle attività di consulenza le medesime non ha trovato conferma nelle deposizioni testimoniali, come pure non è risultato provato un qualsivoglia coordinamento dei dirigenti, infine riguardo all’operazione di esternalizzazione dei servizi, la prova testimoniale aveva evidenziato che il ricorrente fornì solo un parere, cui fece seguito l’acquisizione di altri pareri di soggetti esterni. Pertanto, per i giudici di appello, il Segretario aveva svolto la sua opera “conformemente alle attese” e “parzialmente alle attese”; tale valutazione, resa nei settori che da soli valgono il 60% delle quattro voci delle griglie da prendere in considerazione, pare congruamente rispondente alla percentuale del 3% cui è stata parametrata la retribuzione di risultato in questione, tenuto pure conto che la misura minima è pari allo 0,1%.
Non soddisfatto della decisione della sentenza, ricorre in Cassazione il Segretario al fine di evidenziare l’errore della Corte territoriale che non si era basata sulle risultanze documentali prodotte, avendo al contrario valorizzato testimonianze vaghe ed imprecise.
Le motivazioni dei giudici di legittimità
I giudici di Piazza Cavour evidenziano come la norma contrattuale (art. 42, CCNL 1998-2001 e successivi rinnovi contrattuali) in merito alla retribuzione di risultato stabilisce che “ai segretari comunali e provinciali è attribuito un compenso annuale, denominato retribuzione di risultato, correlato al conseguimento degli obiettivi assegnati e tenendo conto del complesso degli incarichi aggiuntivi conferiti, ad eccezione dell’incarico di funzione di direttore generale“. Inoltre, il medesimo articolo stabilisce che “ai fini della valutazione dei risultati conseguiti e dell’erogazione della relativa retribuzione ad essa correlata, gli enti utilizzano, con gli opportuni adattamenti, la disciplina adottata ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1999 (per la valutazione dei dirigenti ), relativo alla definizione di meccanismi e strumenti di monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati“. In merito alla valutazione dei dirigenti, cui la norma contrattuale rinvia, è previsto che “la valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti tiene particolarmente conto dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione. La valutazione ha periodicità annuale. Il procedimento per la valutazione è ispirato ai principi della diretta conoscenza dell’attività del valutato da parte dell’organo proponente o valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica della valutazione da parte dell’organo competente o valutatore di seconda istanza, della partecipazione al procedimento del valutato“.
Il Segretario nel suo ricorso non ha contesto l’elaborazione dal parte del Comune di alcune “griglie” valutative, distinte per tipologie di funzioni del segretario ovvero: 1) collaborazione ed assistenza giuridico amministrativa (peso del 30%); 2) partecipazione, con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle funzioni della Giunta e del Consiglio (peso del 20%); 3) funzione di rogito dei contratti dell’ente (peso del 20%); 4) funzione di coordinamento e sovrintendenza dei dirigenti e dei responsabili di posizione organizzativa (peso del 30%). Né viene contestata la pesatura diversa per ogni punto indicato nella griglia di valutazione. In merito ai criteri di giudizio la valutazione correlava una misura percentuale di realizzazione degli obiettivi, (“inferiore alle attese”, da 0 a 10%; “parzialmente nelle attese”, da 20% a 40%; “nelle attese”, da 50% a 90%; “superiore alle attese” 100%).
Indicate le premesse sul sistema di valutazione e dei pesi ponderali, il Segretario comunale contesta nel suo ricorso il giudizio attribuiti dall’ente e non l’iter utilizzato dall’ente, che avrebbe dovuto ispirarsi al criterio di correttezza e buona fede ed in particolare, adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte. In altri termini, il Segretario non si duole di una violazione di legge o di contratto collettivo, ma un diverso apprezzamento di merito delle risultanze di causa. Pertanto, il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello abbia ancorato il proprio giudizio sull’esito della prova testimoniale, che non aveva dato riscontro adeguato alle allegazioni di parte ricorrente. In tale ambito il ricorso per Cassazione è inammissibile non avendo il potere il giudice di legittimità di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato alla refusione delle spese di giudizio oltre che al raddoppio del contributo unificato.
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