Enti locali: la programmazione e progettazione del nuovo Codice appalti – Parte I
I risvolti organizzativi e contabili delle nuove norme sulla programmazione e progettazione del nuovo codice dei contratti nell’ambito degli enti locali – Parte I
Le innovazioni introdotte dal nuovo codice dei contratti in materia di programmazione e di progettazione di lavori pubblici hanno un impatto significativo anche sull’organizzazione delle attività e la contabilizzazione delle relative spese nei bilanci degli enti locali che è opportuno indagare nelle more della necessaria riscrittura, a cui sta lavorando Arconet, dei principi contabili introdotti con il decreto ministeriale 1 marzo 2019, in vigenza del codice del 2016.
Va, in primo luogo, chiarito che il codice, attuando il criterio di delega di cui all’art. 1, comma 2, lett. g), della legge n. 78/2022, ha semplificato i livelli di progettazione, passando (in realtà non si tratta di una scelta innovativa, in quanto alle origini della codificazione sui lavori pubblici il DM 29.5.1895, n.350 prevedeva due soli livelli di progettazione, quello di massima e quello definitivo) da una impostazione tripartita ad un processo di progettazione unitario, senza soluzione di continuità, articolato su due livelli (art. 4, all. I.7), in cui – eliminato il progetto definitivo – si rafforza il primo livello, costituito dal Progetto di fattibilità tecnica ed economica (PFTE), il quale “contiene tutti gli elementi necessari per il rilascio delle autorizzazioni ed approvazioni” e “per l’avvio della procedura espropriativa” (art. 41, comma 6 lett. e) ed f) del d.lgs 36/2023), demandando al progetto esecutivo la mera ingegnerizzazione delle lavorazioni (il contenuto dei due livelli di progettazione e dei relativi elaborati è disciplinato nell’allegato I.7, il quale all’art. 22, comma 7 prevede che nel caso di appalto integrato il progetto esecutivo “non può prevedere significative modifiche alla qualità e alle quantità delle lavorazioni previste nel PFTE”, così sottolineando che il ruolo decisionale nell’ambito delle scelte progettuali deve restare i capo al committente pubblico).
In merito programmazione, il nuovo codice ne ha previsto l’obbligatorietà soltanto per gli interventi il cui importo sia superiore alla soglia prevista per gli affidamenti diretti ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. a) e b); pertanto, le opere di importo inferiore ad € 150.000 non debbono essere previste nel piano triennale dei lavori pubblici, pur essendo necessaria la previsione negli strumenti di programmazione operativa, coi quali si assegnano ai dirigenti le risorse correlate all’attuazione di obiettivi gestionali (il riferimento va al PEG, nell’ambito del quale il budget viene assegnato ai dirigenti in correlazione ad obiettivi generali, e alla sotto-sezione 2.2 del PIAO nella quale confluiscono gli obiettivi operativi di performance, finalizzativi all’attuazione degli obiettivi strategici inseriti nel DUP per generare impatti di Valore Pubblico delle politiche pubbliche locali).
L’innovazione più dirompente risulta, tuttavia, quella relativa al rapporto tra programmazione e progettazione che si desume dall’attenta lettura dell’art. 37, comma 2, secondo periodo, in base al quale la programmazione, in coerenza con l’articolazione del ciclo di vita del contratto pubblico definita dall’art. 21 del nuovo codice e dall’art. 3, comma 1, lett. p) dell’all. I.1., assume un ruolo autonomo ponendosi come un prius logico, prima ancora che giuridico, nel ciclo di realizzazione dell’opera o intervento pubblico.
Si ricorderà, infatti, che in vigenza dell’art. 21 del precedente codice il legislatore prevedeva che per tutti i lavori di importo pari o superiore ad un milione di euro l’inserimento nell’elenco annuale dei lavori pubblici era subordinato all’avvenuta approvazione del PFTE, con la conseguenza che la disponibilità di un progetto di livello minimo già approvato condizionava la scrittura dei documenti di programmazione, quantomeno per le opere di importo almeno pari ad un milione di euro, in una sorta di piramide rovesciata in cui l’acquisizione di un progetto sia pure di livello minimo era funzionale alla scrittura del documento di programmazione dell’opera.
Il nuovo codice dispone, invece, che per l’inserimento di un’opera nel piano triennale delle opere pubbliche è necessario disporre del documento di fattibilità delle alternative progettuali (DOCFAP), mentre per l’inserimento nell’elenco annuale è sufficiente l’approvazione del documento di indirizzo alla progettazione (DIP). Si tratta di una disposizione assai innovativa, peraltro riferita esclusivamente ai lavori di importo pari o superiore alla soglia euro-unitaria, la quale restituisce agli strumenti di programmazione, che vanno redatti secondo le norme della programmazione economico-finanziaria e secondo i principi contabili di cui all’allegato 4/1 al d.lgs 118/2011 e smi, la funzione fondamentale di tutti gli atti di competenza degli organi di governo, chiamati a definire gli obiettivi concreti da attuare in coerenza coi bisogni rilevati.
L’obiettivo del legislatore è, chiaramente, quello di garantire la corretta allocazione delle risorse, superando la logica della programmazione rovesciata secondo la quale prima si acquisisce il progetto di primo livello e poi se ne programma l’attuazione nell’ambito delle previsioni del primo anno del piano triennale dei lavori pubblici.
In coerenza con tale nuova impostazione, il codice ha disciplinato analiticamente i documenti pre-progettuali necessari alla corretta implementazione della Sezione operativa (SeO) del DUP, in cui confluisce la programmazione triennale e annuale dei lavori pubblici. L’art. 41 fa riferimento al “quadro delle necessità”, definito “quadro esigenziale” nell’all. I.7, e al “documento di indirizzo della progettazione”, i quali costituiscono atti obbligatori ed indefettibili per l’avvio del ciclo di vita di un’opera pubblica, oltre che al documento di fattibilità delle alternative progettuali che risulta obbligatorio soltanto per gli interventi di importo sopra-soglia, essendone facoltativa l’adozione per gli interventi di importo compreso tra euro 150.000 e la soglia euro-unitaria (art. 2, comma 6, all. I.7).
Il legislatore, quindi, non fornisce alcuna indicazione circa la documentazione necessaria all’inserimento negli atti di programmazione delle opere di importo inferiore alla soglia euro-unitaria e fino ad € 150.000, posto che al di sotto di tale importo non c’è alcun obbligo di programmazione. Pare, tuttavia, evidente che per l’inserimento nell’elenco triennale non può prescindersi – posto che la redazione del DOCFAP è facoltativa – dall’approvazione di un quadro esigenziale che indica “i fabbisogni, le esigenze qualitative e quantitative del committente, della collettività o della specifica utenza alla quale l’intervento è destinato, che dovranno essere soddisfatti attraverso la realizzazione dell’intervento stesso” (art. 1, comma 1, lett. b) all. I.7); per l’inserimento nell’elenco annuale, invece, nonostante il silenzio del legislatore, anche per i lavori sotto-soglia non pare possa prescindersi dal DIP approvato, tenuto conto che l’inclusione di un’opera nell’elenco annuale è subordinata al rispetto di alcune condizioni, puntualmente indicate dall’art. 3, comma 8, dell’allegato I.5, tra le quali si segnala la necessaria previsione in bilancio della copertura finanziaria e la previsione di avvio della procedura di affidamento nel corso della prima annualità: si tratta di condizioni che possono essere assicurate soltanto dall’avvenuta approvazione del DIP redatto dal responsabile unico del progetto il quale, in base all’art. 3 dell’all. I.7, deve indicare, tra l’altro, la copertura finanziaria dell’opera e anche i livelli di progettazione da sviluppare e i tempi di svolgimento.
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