Condono edilizio: no alla presentazione di più istanze
Non è possibile presentare una seconda domanda di condono per un abuso edilizio realizzato su un manufatto di per sé abusivo
Un abuso edilizio di per sé non sanabile, non lo è a maggior ragione se riguarda un intervento su un manufatto che non è conforme alle prescrizioni urbanistiche. Di conseguenza, è impossibile presentare una seconda richiesta di condono in pendenza di un’altra, che sicuramente non andrà a buon fine.
Sono questi i presupposti sulla base dei quali il Consiglio di Stato, con la sentenza del 20 settembre 2023, n. 8434 ha respinto il ricorso presentato contrro il rpovvedimento di rigetto di un’istanza di condono edilizio presentata ai sensi della legge n. 724/1994 (c.d. Secondo Condono Edilizio).
Sull’edificio era pendente già una domanda di condono ai sensi della legge n. 47/1985, relativa alla sostituzione della copertura del fabbricato, ormai fatiscente. Questa richiesta non era mai stata riscontrata dal Comune e a seguito di un sopralluogo l’Amministrazione aveva riscontrato la realizzazione di una nuova costruzione, di volume e sagoma differente da quella costruita in precedenza, in zona per altro sottoposta sia a vincolo paesaggistico che archeologico. Il cantiere è stato quindi sequestrato e, nelle more del procedimento penale, era stata avanzata una nuova istanza di condono ai sensi della legge n. 724/1994, qualificando come manutenzione straordinaria l’intervento di sostanziale rifacimento del tetto, senza peraltro specificarne l’epoca di avvenuta realizzazione.
Su questa domanda il Comune ha formulato il rigetto, contestualmente insieme a quella precedente, «in quanto trattasi di istanza non suscettibile di accoglimento ai sensi dell’art. 33 L.n. 47/85».
Dopo essere stato respinto dal TAR, il ricorso non ha trovato accoglimento nemmeno in appello. Innanzitutto il Consiglio ha specificato che nessun intervento edilizio su patrimonio immobiliare preesistente può essere legittimamente effettuato se lo stato di diritto dello stesso non ne fotografa lo stato di fatto. Non è possibile autorizzare un intervento, men che meno manutentivo su un manufatto di per sé abusivo, in quanto realizzato sine titulo.
Questo a maggior ragione ove il titolo di legittimazione sia richiesto ex post, innestando, una richiesta di sanatoria su un’altra, ancora in itinere, sicché ove la seconda domanda non fosse considerata necessariamente assorbente anche della prima, il suo eventuale accoglimento ne risulterebbe ontologicamente pregiudicato, non potendosi certo sanare il tetto di un edificio del quale la ribadita abusività implicherebbe di demolire le fondamenta.
La presentazione di un’istanza di condono di un intervento che si innesta su altro non ancora definito comporta anche inevitabilmente l’autodenuncia dell’avvenuto mutamento dello stato dei luoghi, di per sé ostativo all’accoglimento della domanda primigenia e finanche al suo mantenimento in vita. In questo caso, la presunta manutenzione straordinaria sul tetto è andata comunque ad incidere su un fabbricato allo stato abusivo.
Correttamente, pertanto, il Comune ha valutato l’intervento nel suo complesso come “nuova opera”, assoggettandolo ai regimi vincolistici vigenti all’atto della sua accertata realizzazione.
A margine, il Consiglio fa notare che in primo grado il TAR ha del tutto impropriamente invocato con riferimento ai procedimenti di condono il c.d. principio della doppia conformità, chiaramente riferito solo ai casi di accertamento di conformità o sanatoria ordinaria, estranei al perimetro dell’odierna decisione.
Mentre infatti le tre leggi sul condono edilizio (legge n. 47/1985, legge n. 724/1994 e legge n. 326/2003) hanno sostanzialmente consentito l’ottenimento della sanatoria edilizia di opere anche in contrasto con la normativa, il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) non consente la sanatoria di opere illegittime. Nel dettaglio, l’art. 36 dispone che in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, oppure in assenza di segnalazione certificata di inizio attività alternativa a permesso di costruire o in difformità da essa, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria a condizione che se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (doppia conformità).
In ogni caso, conclude palazzo Spada, di tale indebita declinazione del principio, non è traccia nel provvedimento impugnato, che si limita a ricordare la preesistenza di vincoli all’avvenuta realizzazione delle opere abusive accertate nel 1994 e già oggetto di ingiunzione a demolire, efficace perché mai impugnata: sia il vincolo di inedificabilità assoluta riveniente dalla pianificazione urbanistica, infatti, sia quello paesaggistico che, infine, quello archeologico, sono antecedenti a quella data, fatto che giustifica, con l’assenza del prescritto nulla-osta per il succitato vincolo delle competenti autorità, la mancata evasione dell’istanza di autorizzazione a sostituire la vecchia copertura fatiscente.
Al di là della qualificazione dell’abuso, ovvero dall’interpretazione della seconda domanda come reiterazione della prima, l’amministrazione ha quindi correttamente verificato la carenza dei presupposti per concludere favorevolmente entrambi i procedimenti, in quanto sono nel frattempo sopravvenuti i vincoli e la regolamentazione pianificatoria ostativa al condono.
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