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Province e resti assunzionali: le inaccettabili interpretazioni dell’Anci

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Ancora una volta l’Anci si segnala per dare letture di comodo e sicuramente errate delle disposizioni normative.

Proseguendo in un atteggiamento di vero e proprio boicottaggio della già complessa e sgangherata procedura di ricollocazione dei dipendenti provinciali in sovrannumero, l’associazione dei comuni si esibisce in una nota di lettura dell’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014 che affronta io tema dei resti assunzionali, alla luce del d.l. 78/2015.

La teoria dell’Anci è che la ricollocazione dei dipendenti provinciali (oltre che l’assunzione dei vincitori dei concorsi appartenenti a graduatorie vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015) sarebbe da finanziare esclusivamente con le risorse degli anni 2015 e 2016, cioè il valore delle cessazioni degli anni 2014 e 2015, utilizzabili al 100%. I “resti”, invece, cioè le risorse del triennio antecedente alle due annualità sarebbero da utilizzare per bandire concorsi nuovi per assunzioni a tempo indeterminato.

Al di là dell’errore tecnico imperdonabile dell’interpretazione suggerita, evidentemente all’Anci e a molti sindaci sfugge un piccolo particolare che proprio piccolo non è ed anzi costituisce la base stessa della normativa finalizzata alla ricollocazione di 20.000 (si ribadisce, 20.000) persone, coinvolte nella fallimentare riforma delle province: il fine prioritario dettato dalla legge 190/2014 è, appunto, ricollocare questo personale, sicchè la norma è da considerare legge speciale che per 2 anni o finchè il processo di ricollocazione non si completi, crea un regime particolare e diverso, che congela ogni altra assunzione, per favorire le mobilità dei dipendenti provinciali.

Questa semplicissima interpretazione teleologica è stata per mesi e mesi trascurata da Anci, comuni, loro consulenti e parte degli interpreti più sensibili ad ottenere stellette o medaglie che non alla corretta lettura delle norme, finchè la Sezione Autonomie della Corte dei conti ha risvegliato tutti (comprese alcune sezioni regionali di controllo in merito all’assurda pretesa di considerare ammissibile la mobilità neutra), con la deliberazione 19/2015.

Evidentemente, tuttavia, le ordinarie e semplicissime tecniche di interpretazione della legge e una pronuncia così chiara come quella della Sezione Autonomie all’Anci non bastano.

Così, l’associazione continua a trincerarsi dietro la più recessiva e meno valida interpretazione tra quelle considerate dal sistema giuridico: quella letterale. Ogni universitario iscritto al primo anno di giurisprudenza sa perfettamente che l’interpretazione letterale se non si combina o contrasti con quella logica, sistematica e teleologica perde qualsiasi valore.

Non l’Anci, evidentemente, che con le regioni sta ottenendo l’utilissimo risultato di tenere bloccato il processo di ricollocazione dei provinciali in sovrannumero. E vai a capire perché.

Dovrebbe essere assolutamente evidente che il d.l. 78/2015 nel correggere – finalmente – il tiro sbagliato dell’interpretazione suggerita dalla deliberazione 27/2013 della Sezione Autonomie e chiarire che i resti si calcolano a consuntivo e non per il futuro, permette esclusivamente di incrementare il volume finanziario delle capacità assunzionali per gli anni 2015 e 2016, le quali restano comunque riservate esclusivamente al personale provinciale (o i pochi vincitori di concorsi).

L’idea secondo la quale i residui, che per il 2015 sarebbero quelli riferiti al triennio 2011-2013 non può avere alcun appiglio e fondamento seriamente considerabile.

L’Anci si appiglia, come detto, alla lettera del comma 424, ove si legge questo passaggio: “Esclusivamente per le finalità di ricollocazione del personale in mobilità le regioni e gli enti locali destinano, altresì, la restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo cessato negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricollocazione del personale soprannumerario”.

Troppo facile osservare che l’interpretazione letterale possibile sia duplice. È possibile, cioè, allo stesso modo, dalla lettura della disposizione sostenere:

1.        a) che le risorse disponibili siano solo quelle delle cessazioni degli anni 2014 e 2015;

2.        b) che le risorse disponi sibili siano quelle delle cessazioni degli anni 2014 e 2015, comprendenti ovviamente i resti dei trienni precedenti che vi accedono come un unicum.

Quando l’interpretazione letterale è ambigua ed insufficiente, come l’Anci e i suoi esegeti dovrebbero sapere, va scartata e occorre passare a livelli più alti e complessi. Lo sforzo in questo caso è semplicissimo: leggere la deliberazione 19/2015 della Sezione Autonomie.

E’ vero che a sostenere la stessa tesi dell’Anci è la circolare interministeriale 1/2015. Cioè quella stessa circolare che dava per scontata la confluenza dei 7500 dipendenti provinciali nell’Agenzia nazionale per il lavoro e dei 2000 agenti provinciali in una forza di polizia modificata dalla riforma della PA; ancora, quella stessa circolare che aveva fissato un dettagliato cronoprograma delle scadenze da rispettare; ancora, quella stessa circolare che non aveva voluto pronunciarsi sulla questione della mobilità “neutra”. Dunque, quella stessa circolare spazzata via dallo schema di attuazione del Jobs Act che non prevede per nulla la confluenza dei dipendenti provinciali nell’Agenzia per il lavoro; spazzata via dal d.l. 78/2015 che impone la mobilità degli agenti provinciali verso i comuni; spazzata via dal decorso del tempo che ha ridotto a uno scritto tragicomico il cronoprogramma violato in ogni suo punto; spazzata via sul tema della mobilità “neutra” dalla Sezione Autonomie. Come “fonte” interpretativa, si potrebbe azzardare non sia, dunque, fondatissima.

Sul piano strettamente tecnico è assolutamente chiaro che le risorse assunzionali del 2014, quelle utilizzabili nel 2015, altro non sono se non la sommatoria di quelle del 2014 e dei resti e costituiscono un una massa unica. Lo stesso varrà nel 2016.

Ma, al di là di queste sottigliezze, ci sarebbe da chiedersi se l’ordinamento giuridico, inciso da una norma speciale quale l’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014, conosca la fattispecie delle assunzioni “per competenza”, diverse da quelle “di cassa”.

Siamo sicuri che nessuno possa prendere sul serio questa ipotesi, che tuttavia è la conseguenza della chiave di lettura suggerita dall’Anci.

Per un’interpretazione corretta e serena della fattispecie basta una considerazione semplicissima: negli anni 2015 e 2016 nessuna assunzione è consentita, al di là di quelle specificamente ammesse dai commi 424 e 425 della legge 190/2014. Poiché nessuna diversa assunzione è consentita, non conta assolutamente nulla quale sia la fonte di finanziamento (ribadendo comunque che i residui accedono all’anno corrente). Ciò che non è consentito alle amministrazioni pubbliche è occupare posti liberi delle dotazioni organiche con assunzioni diverse da quelle espressamente permesse dal legislatore, esattamente per la medesima finalità per la quale non sono consentite nemmeno le mobilità neutre, cioè non occupare posti disponibili alla prioritaria volontà di ricollocare il personale in sovrannumero.

Ogni diversa interpretazione e qualsiasi ulteriore insistenza per soluzione diverse, lo ribadisce, altro scopo non consegue se non quello di rivelare gli intenti boicottatori di chi intende scientemente violare disposizioni di legge per altro sanzionate da nullità, con pesanti ricadute sulla responsabilità erariale (come confermato dalla sezione regionale di controllo del Veneto).

Oltre tutto, se fosse corretta l’idea dell’Anci, non è forse vero che i comuni, prima di assumere “liberamente” sui residui dovrebbero far partire la procedura di mobilità? Ma, non è forse vero che la mobilità risulta impraticabile per effetto della legge 190/2014 ? E, dunque, di che parliamo?

Del resto, in linea con le interpretazioni sostanziali, logiche e teleologiche della legge 190/2014 sono anche molte deliberazioni di sezioni regionali di controllo della Corte dei conti: la 163/2015 delle Marche, la 304/2015 del Veneto, la 120/2015 della Lombardia e, soprattutto, la più volte richiamata 19/2015 della Sezione Autonomie.

Il problema è che l’Anci non ha mai avuto nulla da obiettare nei confronti di una riforma deleteria e devastante come quella delle province, perché i maggiori “azionisti” dell’associazione, i sindaci dei grandi comuni, si sono allettati col giocattolino delle città metropolitane, scoprendo solo dopo (ma non ci voleva un genio) che si tratta di enti nati morti, col bilancio asfissiato, tanto che i sindaci continuano a pretendere il balzello medievale della tassa di imbarco e sbarco per poter finanziare il giocattolino anzidetto, che per loro ha l’unica utilità di estendere la visibilità e consentirsi qualche viaggetto all’estero al riparo da condanne erariali.

Dunque, troppo tardi l’Anci si accorge che una riforma dell’ordinamento locale assolutamente forzata e mal congegnata come quella delle province non poteva che produrre effetti negativi anche nei riguardi dei comuni.

Pretendere, tuttavia, di risolvere i problemi posti da leggi che magari non si condividono, violandole con interpretazioni di comodo non è certo utile. L’Anci è un centro di pressione molto forte: sarebbe auspicabile che invece di chiedere balzelli ed insistere per interpretazioni insostenibili, agisse nei confronti di Governo e Parlamento per correzioni sostanziali ad una riforma disastrosa.

 

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