12/09/2019 – La condotta del titolare del bar legittima il potere interdittivo del Prefetto

La condotta del titolare del bar legittima il potere interdittivo del Prefetto
di Marilisa Bombi – Giornalista. Consulente attività economiche.
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. E’ soltanto un proverbio ovvero un detto popolare che condensa un insegnamento tratto dall’esperienza. Ma la saggezza popolare, anche dal Giudice amministrativo, è tenuta in debita considerazione, se è stato ritenuto legittimo il provvedimento che il Comune ha adottato a seguito della richiesta del Prefetto, di revoca della licenza dell’esercizio pubblico. Insomma, non è oggettivamente abnorme né illogico ritenere che avere fratello e padre che non sono degli stinchi di santo e frequentare soggetti pregiudicati e socialmente pericolosi può “integrare un motivo di turbamento dell’ordine pubblico e della sicurezza, ove riferite al titolare di una licenza relativa ad un esercizio di pubblica frequentazione, quale un bar con intrattenimento musicale.”
Il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 5829 depositata il 23 agosto, TULPS alla mano, ha rilevato che la valutazione operata dal Prefetto, con la quale è stato richiesto al Comune di procedere alla revoca della licenza, risultava aver considerato molteplici aspetti di rilievo, a partire da dati oggettivi concernenti la persona del ricorrente, anziché limitarsi all’esame di rapporti di parentela con soggetti pericolosi per i beni tutelati. Nel respingere i motivi di appello, connessi alla competenza del Questore ex art. 100R.D. n. 773 del 1931, per l’ipotesi in cui l’intervento sia giustificato da ragioni di ordine pubblico, la Sezione ha smentito l’ipotesi di una sorta di competenza “doppia” o concorrente riservata a due diversi organi (il Prefetto ed il Questore), che genererebbe confusione ed assoluta incertezza, con possibilità di contrasti e conflitti, nel senso che la revoca prevista all’art. 19 cit. sarebbe strettamente collegata al precedente rilascio del titolo. In sostanza, così come il Comune ha il potere di rilasciare determinate licenze, ha anche il potere opposto di sospenderle, annullarle o revocarle se i relativi titolari violano gli obblighi connessi al titolo rilasciato; per contro, la revoca di cui all’art. 100 del TULPS è del tutto avulsa dall’autorizzazione e dal comportamento tenuto dal titolare, ma presuppone il verificarsi obiettivo di determinate situazioni di rischio per l’ordine pubblico, quali precisate dalla norma.
La Sezione, a tale proposito, ha ribadito che dal combinato disposto dell’art. 100 R.D. n. 773 del 1931 e dell’art. 19D.P.R. n. 616 del 1977 si desume che, se i Comuni non hanno certamente una competenza propria ed autonoma in materia di ordine pubblico e, dunque, non possono compiere autonome valutazioni su tale interesse, tali enti sono tuttavia formalmente, se non sostanzialmente, competenti a revocare le autorizzazioni commerciali da essi rilasciate, per motivi di ordine pubblico, se vi sia una richiesta in tal senso da parte dell’Autorità provinciale di pubblica sicurezza (ossia il Prefetto), preposta istituzionalmente alla tutela di tale qualificato interesse. Tale assetto normativo ha la sua ratio nella considerazione che la revoca di un’autorizzazione commerciale – in quanto contrarius actus – deve comunque provenire dall’Autorità che ha adottato l’autorizzazione della cui revoca si discute, di talché non potrebbe l’Autorità di pubblica sicurezza revocare un’autorizzazione rilasciata dal Comune; per l’effetto il legislatore ha definito un contesto operativo nel quale si impone una leale collaborazione tra amministrazioni preposte alla cura di diversi interessi e si prevede la competenza formale del Comune a revocare le proprie autorizzazioni, peraltro su proposta vincolante dell’Autorità di pubblica sicurezza.
La questione, in termini esaustivi, era stata affrontata, peraltro, nell’articolata sentenza del Giudice di primo grado (T.A.R. Catanzaro n. 329/2010). In tale occasione, il Collegio aveva osservato che l’art. 100 del TULPS assegna al questore il potere, tra l’altro, di revocare la licenza di commercio; dall’altra l’art. 19, comma 4, D.P.R. n. 616 del 1977, nel testo risultante dall’emanazione della sentenza della Corte costituzionale del 1987, conferisce il potere di revoca anche al sindaco su indicazione del prefetto, sottolineando che l’art. 100 non è stato abrogato tacitamente dal successivo art. 19, in quanto la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza non è stata trasferita agli enti locali, ragion per cui è rimasta ferma la competenza del questore. Allo stesso modo – aveva aggiunto il Tar calabro – non può ritenersi abrogato l’art. 19, comma 4, D.P.R. n. 616 del 1977 ad opera del successivo D.Lgs. n. 112 del 1998, che ha operato il terzo trasferimento delle funzioni amministrative. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 290 del 2000, ha chiaramente affermato che tale ultimo decreto, nel disciplinare particolari fattispecie, ha abrogato tacitamente soltanto alcune delle norme contenute nel predetto art. 19. In sostanza, i due poteri, per quanto abbiano certamente un substrato comune costituito dalla loro finalizzazione alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, si differenziano in ragione dell’ampiezza delle funzioni e delle modalità procedimentali di esercizio delle competenze.
In relazione al primo aspetto, il potere del questore è in un certo senso tipizzato dalla norma la quale individua i presupposti per il suo esercizio in relazione a fatti che si sono verificati nel locale. Il prefetto, invece – alla luce della portata dell’art. 19 e anche delle sue funzioni di coordinamento (cfr. art. 11D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, recante “Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’art. 11L. 15 marzo 1997, n. 59“) – ha un potere più esteso nella individuazione dei presupposti, oggettivi, della sua azione, potendo, infatti, adottare tutte quelle determinazioni che siano funzionali «alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico» (Corte cost. n. 129 del 2009, cit.).
In relazione al secondo aspetto, il questore ha il potere autonomo di incidere sull’esercizio dell’attività economica mediante l’esercizio di un potere normalmente graduale che passa prima dalla sospensione dell’attività e poi, in presenza dei presupposti previsti dall’art. 100 del TULPS, può giungere alla revoca della licenza. Il prefetto ha, invece, un compito connesso all’esercizio delle funzioni esercitate dal sindaco. Nell’esercizio dei propri compiti di coordinamento sul territorio, può, infatti, emanare note informative al fine di consentire ai comuni stessi, titolari del potere di rilasciare le licenze, di intervenire con atti di autotutela sui rapporti in corso. Per quanto attiene, poi, ai rapporti tra l’organo statale e quello locale, l’art. 19, comma 4, D.P.R. n. 616 del 1977 deve essere interpretato nel senso che la regolamentazione della materia è demandata all’esercizio di competenze concorrenti: il prefetto è titolare esclusivo delle funzioni di ordine pubblico e sicurezza; l’ente comunale esercita le funzioni proprie e, in particolare, quelle inerenti all’ambito della polizia amministrativa locale. Il che significa che – se pure è incontestabile che il sindaco non possa sovrapporre proprie valutazioni, in materia di ordine pubblico e sicurezza, a quelle prefettizie – lo stesso sindaco potrebbe non solo contestare l’invasione di competenze allo stesso demandate ma anche rappresentare fatti e interessi inerenti a funzioni amministrative proprie del comune stesso. E, aveva aggiunto il Tar, va aggiunto che tali poteri devono essere esercitati, per fini di coordinamento, nel rispetto del principio di leale collaborazione (citato art. 11D.Lgs. n. 300 del 1999).
In sostanza, il potere del sindaco, al di fuori delle valutazioni inerenti alla sussistenza di esigenze di ordine pubblico e sicurezza, non può considerarsi interamente vincolato. Tale interpretazione è imposta dal rispetto delle esigenze di autonomia, costituzionalmente garantita, degli enti locali, quale risultante, in particolare, dal nuovo art. 118 della Costituzione. Non sarebbe, infatti, conforme al principio di sussidiarietà e adeguatezza l’attribuzione di una funzione amministrativa all’organo più vicino ai cittadini, se tale funzione sia completamente svuotata di contenuto dall’esercizio del potere prefettizio. In altri termini, non sarebbe coerente con il nuovo quadro costituzionale assegnare al comune una funzione amministrativa di revoca qualora il comune stesso non mantenga margini decisionali nei limiti anzidetti. In definitiva, nel settore in esame, il legislatore ha previsto, da un lato, un potere autonomo del questore che può essere esercitato in presenza dei presupposti oggettivi e secondo le modalità procedimentali previste dall’art. 100 del TULPS; dall’altro, un potere del prefetto che può essere esercitato in presenza di presupposti oggettivi più ampi e che si presenta connesso con l’esercizio delle funzioni dell’ente locale a cui la legge assegna la competenza ad emanare la determinazione finale.

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