tratto da luigioliveri.blogspot.it

Pronto soccorso di Nola: gli effetti della spending review in salsa populista

 
Più o meno funziona così. Giornalisti “inchiestiti” di grande fama e autori di fortunati pamphlet attivano incessanti campagne contro la spesa pubblica “eccessiva”, frequentemente condite dalla rilevazione della necessità di “abolire” enti che sono tendenzialmente sempre “inutili”, anche perchè frequentati da dipendenti pubblici sostanzialmente “fannulloni”.

Le maggioranze ed i governi di turno leggono i giornali, ma conoscono poco della concreta gestione operativa, anche perchè i governi invece di pensare a gestire, comprendendo di essere il potere “esecutivo”, mirano a legiferare astraendosi, così, dalla conoscenza dei problemi amministrativi concreti. Leggendo le campagne di stampa ossessive si convincono effettivamente che la spesa pubblica è eccessiva, che occorre abolire gli enti ed agire contro i dipendenti fannulloni.

Scatta la fase tre: si approvano leggi, qualificate come spending review, che, invece, altro non sono se non una ridda di disposizioni senza alcun coordinamento tra loro e, soprattutto, la realtà dei problemi e, quindi, prive della minima analisi di impatto, ma buone per far scrivere ai giornali autori delle campagne di stampa che “i tempi sono cambiati”, che il Governo fa “una stretta” e che “i furbetti” saranno castigati.

Tendenzialmente, queste leggi sopprimono ospedali, sedi dei tribunali, uffici distaccati sui territori, categorie intere di enti (come le province) impediscono nuove assunzioni necessarie per il ricambio generazionale nel lavoro pubblico, tagliano risorse, impediscono di effettuare appalti ed acquisti, che vengono “centralizzati”. Tuttavia, la spesa pubblica continua lo stesso a crescere: le spending review infatti non producono nessun risparmio, ma sostanzialmente si limitano a spostare le decisioni sulla spesa dai territori verso Roma, che poi spende in relazione ad esigenze elettorali (si vedano i vari bonus), o per rispondere a chi dispone, come dire, di forti poteri di condizionamento non tanto elettorale, quanto delle politiche (si vedano le varie riforme del lavoro che in realtà producono solo spesa pubblica per pagare con risorse pubbliche parte degli oneri di chi assume). Non di rado, tutto questo si accompagna da un arretramento del pubblico rispetto al privato, come accade nella sanità. Solo che il “privato”, poichè si afferma che agisce in “sussidiarietà” col pubblico, cioè copre vuoti lasciati dall’arretramento dei servizi pubblici, viene comunque pagato con risorse pubbliche; scelte non dissimili, anche se di portata finanziaria inferiore, si vedono anche nella scuola, nella formazione professionale e nel lavoro.

Il risultato finale è che si creano disfunzioni operative. Nei territori dove le province sono state private delle risorse per mantenere le strade sono crollati dei ponti. Nei pronto soccorsi vengono a mancare le barelle, come a Nola.

Scatta, allora, la fase quattro: la ricerca dei responsabili. Che, ovviamente, sono, nel caso di specie, i medici che, consapevoli di essere l’unico presidio di pronto soccorso in un territorio vastissimo, accettano egualmente i ricoveri per quanto in numero superiore ai posti letto e alle barelle, per non negare le cure sanitarie; ma, negli altri casi, sarebbero i dipendenti incapaci di rendere i servizi. Non sono responsabili mai, invece, coloro che aboliscono, tagliano, fanno le spending review solo per compiacere le campagne di stampa.

C’è però una quinta fase: i giornalisti “inchiestiti”, assai paghi e contenti che la politica assecondi le loro inchieste abolendo, tagliando e realizzando “giri di vite”, poi hanno carne al fuoco per scrivere delle disfunzioni della PA, avviando ulteriori campagne di stampa per affermare la necessità di “abolire” enti che sono tendenzialmente sempre “inutili”, anche perchè frequentati da dipendenti pubblici sostanzialmente “fannulloni”. E via così.

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