tratto da Italia Oggi del 11.09.2020
Cassazione: la tariffa integrata ambientale è un corrispettivo che ha natura privatistica
Tia2, l’utente deve pagare l’Iva
Non rileva la determinazione forfettaria del compenso
di Sergio Trovato
L’utente del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti è tenuto a pagare l’Iva sulla Tia2. Si tratta di un corrispettivo soggetto a Iva, a prescindere dal fatto che la determinazione del compenso sia forfettaria, su base annuale, e che la gestione sia affidata a una società pubblica. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l’ordinanza 18013 del 28 agosto 2020.
Per i giudici di legittimità, che richiamano nell’ordinanza la pronuncia della Corte di giustizia del 22 febbraio 2018, «la determinazione forfettaria (in quel caso, su base annua) di un simile compenso non spezza di per sé il nesso tra prestazione e corrispettivo (punto n. 37), e l’affidamento a una società di compiti pubblici, parimenti, non è logicamente decisivo per valutare lo svolgimento di prestazioni a titolo oneroso nella medesima cornice (punto n. 40). Può, quindi, concludersi nel senso che è legittima l’imposizione e riscossione dell’Iva sulle fatture relative alla cd. Tia2».
La Tia2, dunque, è una prestazione che ha natura privatistica e deve essere assoggettata a Iva. La tariffa integrata ambientale, secondo la Cassazione, è un corrispettivo che viene richiesto all’utente per lo svolgimento dell’attività di raccolta e smaltimento rifiuti da parte dell’amministrazione comunale o del gestore del servizio. La natura di questa entrata, qualificata corrispettivo del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, consente l’addebito dell’Iva per la prestazione patrimoniale. Per le sezioni unite della Cassazione (8631/2020), c’è una notevole differenza tra la Tia1 (tariffa d’igiene ambientale), qualificata entrata tributaria dalla Corte costituzionale con la sentenza 238/2009, e la Tia2, poiché l’articolo 238 del decreto legislativo 152/2006, a differenza dell’articolo 49 del decreto legislativo 22/1997 (decreto Ronchi), individua il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della Tia2 nella produzione di rifiuti, «ancorando il debito all’effettiva fruizione del servizio, e, al tempo stesso, diversamente dal passato, assegna natura di «corrispettivo» alla tariffa, parametrando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti».
Del resto, l’articolo 3 del dpr 633/1972 prevede che tutte le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere, costituiscono prestazioni di servizi ai fini dell’assoggettabilità all’Iva «quale ne sia la fonte».
Va rilevato che solo con le ultime pronunce la Cassazione ha cambiato idea sulla natura della tariffa rifiuti e la ritiene assoggettabile a Iva, in quanto non è un tributo ma un’entrata patrimoniale. Anche se non ha mai utilizzato argomentazioni convincenti su quali siano, in concreto, gli elementi di differenza rispetto alla Tia1, che ha sempre qualificato un’entrata fiscale. Peraltro, con la sentenza a sezioni unite 17113/2017 aveva qualificato tributo anche l’addizionale provinciale alla tariffa rifiuti.
L’imposta erariale, naturalmente, costituisce un aggravio di costi per gli utenti che non esercitano un’attività soggetta all’Iva, in quanto non possono avvalersi del diritto alla detrazione.
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