tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Danno all’immagine per falsa attestazione della presenza dopo la sentenza della Consulta
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
 
Sintesi della sentenza
Il danno all’immagine per falsa attestazione della presenza in servizio del dipendente è stata, dal legislatore, regolata dal quarto periodo comma 3-quater dell’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001 secondo cui “L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia”. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 61 del 10 aprile 2020, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi non solo il comma 3-quater ma anche secondo (“La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento”) e terzo (“L’azione di responsabilità è esercitata … entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga”). La Corte dei conti della Toscana (sentenza n. 267/2020) è stata chiamata a verificare la normativa sul danno all’immagine applicabile a seguito dell’illegittimità costituzionale rilevata dalla Consulta, statuendo che risulti ad oggi sopravvissuta la previsione di cui all’art. 55-quinquies del D.Lgs. n. 165/2001, secondo le indicazioni offerte dal legislatore delegato del 2009 che aveva previsto, accanto alla risarcibilità del danno patrimoniale subito dall’amministrazione per le ipotesi di falsa attestazione in servizio del pubblico dipendente, la risarcibilità del danno all’immagine subito dalla pubblica amministrazione. In altri termini, il danno all’immagine viene stabilito dal giudice contabile in via equitativa, secondo i parametri a suo tempo sviluppati dalle Sezione Riunite della Corte dei conti (n. 10/2003), ossia senza necessità che la sentenza di condanna penale sia irrevocabile.
 
La vicenda
La questione oggetto di giudizio contabile nasce dall’allontanamento di una dipendente della Polizia Provinciale, addetta alla viabilità, dal posto di lavoro senza alcuna preventiva autorizzazione, per recarsi al supermercato e alla propria abitazione. La medesima dipendente ha subito per i medesimi fatti anche una condanna penale in primo grado, ossia non ancora definitiva, oltre ad un procedimento disciplinare. Nonostante le difese della dipendente, contraddittorie rispetto ai certificati medici rilasciati e in ogni caso incompatibili con l’allontanamento della stessa dal luogo di lavoro per recarsi alla propria abitazione. Il Collegio contabile ha ritenuto fondato il danno erariale quantificato dalla Procura pari al tempo trascorso senza autorizzazione fuori dal posto di lavoro e pur se quantificato in un modesto importo le ore non lavorate (pari a circa 55 euro) oltre al ristoro degli oneri correlati all’utilizzo improprio del mezzo di servizio (pari a circa 66 euro). Precisato il danno erariale causata colpevolmente dalla dipendente, la questione più rilevante si sposta sul danno all’immagine, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della normativa introdotta dal legislatore, ossia quale normativa dovrà essere applicata dai giudici contabili.
 
Ricostruzione normativa del danno all’immagine
La Consulta ha a suo tempo definito il danno all’immagine quale “danno derivante dalla lesione del diritto all’immagine della p.a. nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa ha di sé in conformità al modello delineato dall’art. 97 Cost”. In materia di quantificazione del danno, è stata inizialmente riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte dei conti, che ha ritenuto proponibile la relativa domanda risarcitoria da parte del PM senza alcun limite, né in ordine al fatto generatore di responsabilità, né, tantomeno, con riguardo alla necessità che tale fatto venisse preventivamente accertato in sede penale. Successivamente il legislatore ha individuato i presupposti, ai fini della proponibilità dell’azione del danno all’immagine, introducendo l’art. 7 della L. 27 marzo 2001, n. 97 secondo cui la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei pubblici dipendenti per i delitti contro la pubblica amministrazione venisse comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti per il successivo avvio, entro trenta giorni, dell’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato, con ciò limitando l’azione erariale per danno all’immagine per i soli delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la PA. Il legislatore è successivamente intervenuto, in materia di violazione del sistema di rilevazione delle presenza, con la legge delega (L. 4 marzo 2009 n. 15) prevedendo “a carico del dipendente responsabile, l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subito dall’amministrazione”. In attuazione di tale delega, con riferimento alle false attestazioni, il legislatore delegato ha, poi, introdotto, l’art. 55-quinquies al D.Lgs. n. 165/2001, con il quale è stata introdotta una autonoma fattispecie di reato per punire tutte quelle condotte fraudolentemente orientate alla alterazione delle certificazioni e/o attestazioni della presenza in servizio. Nel medesimo articolo, al secondo comma, accanto alla responsabilità penale e disciplinare derivante dalle condotte suddette, è stato previsto l’obbligo di risarcire il danno patrimoniale subito dall’amministrazione, pari alle ore falsamente attestate e non lavorate nonché il danno all’immagine subito dall’amministrazione.
La norma citata ha subito ulteriori integrazioni ad opera del legislatore delegato. Con il comma 1 dell’art. 16 della L. n. 124/2015 il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi di semplificazione per alcuni settori, tra cui il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, prevedendo “introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”. Proprio in attuazione di tale delega è stato inserito il comma 3-quater all’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, il quale prevede che, nel caso in cui la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente sia accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze (comma 3-bis), la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente Procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento, entro 120 giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. Infine, L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.
 
La sentenza della Consulta
La questione sulla possibile illegittimità costituzionale della norma è stata sollevata dai giudici contabili, il ragione della previsione normativa dell’applicazione automatica della sanzione del danno all’immagine non inferiore alle sei mensilità, anche in presenza, come nel caso di specie, di importi minori con rilevata sproporzionalità di quanto stabilito dal legislatore. Ora, sebbene le censure del giudice rimettente si fossero limitate all’ultimo periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater, che riguarda le modalità di stima e quantificazione del danno all’immagine, la Corte Costituzionale (sentenza n. 61/2020) ha ritenuto che l’illegittimità potesse riguardare anche il secondo e il terzo periodo di detto comma perché essi sono funzionalmente inscindibili con l’ultimo, così da costituire, nel loro complesso, un’autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega.
Secondo il Collegio contabile Toscano, in tema di danno all’immagine derivante da false attestazioni e/o certificazioni della presenza dei pubblici dipendenti sui luoghi di lavoro, pertanto, non è stata operata una abrogazione radicale della fattispecie, ma sono stati, unicamente, riportati i confini della stessa a quelli prospettati dal legislatore delegato del 2009 e precisati dalla giurisprudenza coeva alla entrata in vigore della normativa di che trattasi e, precisamente, ipotesi di danno all’immagine nuova, non riconducibile ad un danno commesso nei confronti della PA e non cristallizzata in una sentenza penale irrevocabile di condanna. Si tratta, quindi, di dare applicazione alle previsioni sopravvissute di cui all’art. 55-quinquies del D.Lgs. 165/2001, secondo le indicazioni offerte dal legislatore delegato del 2009 che aveva previsto, accanto alla risarcibilità del danno patrimoniale subito dall’amministrazione per le ipotesi di falsa attestazione in servizio del pubblico dipendente, la risarcibilità del danno all’immagine subito dalla pubblica amministrazione.
 
La condanna
Ricostruita la previsione normativa applicabile al caso di specie, il Collegio contabile toscano, accertata la sussistenza di episodi di falsa attestazione in servizio di cui all’art. 55-quinquies e rilevata la mancanza di necessità di una sentenza irrevocabile di condanna, ha proceduto alla quantificazione del danno all’immagine contestato, secondo i noti parametri oggettivi, soggettivi e sociali, indicati dalla giurisprudenza (10/QM/2003). Tenuto conto, pertanto, dell’eco della condotta tenuta dalla convenuta quantomeno tra i colleghi e/o gli abitanti delle zone interessate, cui va aggiunto giudizio penale che avrà, indubbiamente, consentito il maggiore diffondersi della notizia, è possibile limitare il quantum alla metà della somma (pari a 2.000 euro) indicata dall’attore pubblico (4.000 euro) e ciò in proporzione alla diffusione che la notizia ha avuto tra i consociati.

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