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Abuso edilizio, più difficile «sanare» dopo l’annullamento del permesso
di Massimo Frontera
 
 
In breve
Dalla Plenaria l’orientamento “ortodosso” (invece dei tre divergenti): applicazione dell’articolo 38 del Tue consentita solo per i vizi procedurali formali non rimovibili
 
Palazzo Spada chiarisce i limiti che consentono alle amministrazioni di sanare di fatto un abuso risultante da un intervento eseguito in base a titolo edilizio annullato dal giudice, secondo quanto prevede l’articolo 38 del testo unico edilizia, con la conseguenza di ridimensionare gli effetti di un orientamento giurisprudenziale “estensivo” anche favorito dal fatto che il legislatore non ha «chiarito cosa debba intendersi per “vizi delle procedure amministrative” e per “impossibilità” di riduzione in pristino”».

A indicare il nuovo e univoco paradigma giurisprudenziale – in luogo di tre diversi orientamenti rintracciati dai giudici rimettenti – è l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n.17/2020 appena pubblicata. Il fuoco della novità sta nell’affermazione della Plenaria secondo cui i «vizi delle procedure amministrative» citati dall’articolo 38 del 380 «sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione». Con la conseguenza di escludere anche i vizi sostanziali, la cui inclusione nella definizione di “vizi di procedure” consentiva di fatto alle amministrazioni – in virtù appunto di un orientamento giurisprudenziale estensivo – di equiparare la sanatoria di un immobile realizzato senza titolo (ferme restando le altre condizioni) a un immobile realizzato con titolo rilasciato ma poi annullato.

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