tratto da giustizia-amministrativa.it

Contratti della Pubblica amministrazione – Arbitrato – Nomina arbitro di parte in caso di inerzia – Soggetto deputato – Individuazione. 

  Il presidente del tribunale è il soggetto istituzionale deputato alla nomina dell’arbitro di parte nel caso di inerzia della parte stessa (1). 

(1) Ha ricordato la Sezione che né l’art. 209, d.lgs. n. 50 del 2016 né il successivo art. 210 disciplinano espressamente l’ipotesi in cui la parte, cui spetta la nomina dell’arbitro di parte, non provveda.   

Prima di dare analitica risposta ai quesiti posti dall’ANAC (come si farà nel prosieguo), la Sezione reputa necessario esporre il ragionamento logico-giuridico sotteso alla decisione, anticipando sin da ora che il Collegio ritiene di aderire alla soluzione che attribuisce al presidente del tribunale il potere di designazione dell’arbitro nel caso di inerzia della parte. 

Ciò premesso, in primo luogo va evidenziato che, atteso il richiamo esplicito operato al codice di procedura civile (“Ai giudizi arbitrali si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dal presente codice”), il chiaro disposto dell’art. 209, comma 10, esclude che tecnicamente vi sia una lacuna. 

La disposizione da ultimo richiamata serve proprio ad evitare le lacune e a prevedere una disciplina di riferimento – il più possibile completa – per tutti gli aspetti non regolati dal predetto articolo 209 codice appalti. 

Leggendo l’articolo 209, comma 10, si ricava invero l’idea che all’arbitrato in materia di appalti si applichi per intero il codice di procedura civile, fatta eccezione per le regole contenute nel codice degli appalti. 

Né in senso diverso può dirsi che il rinvio al codice di procedura civile sia limitato alla fase del giudizio e non anche a quella di costituzione del collegio arbitrale. Per la Sezione, la locuzione “giudizi arbitrali” deve essere riferita all’”arbitrato”, come disciplinato al Titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile (artt. 806 e segg.) nei suoi diversi Capi. Ragionando diversamente non sarebbe chiaro a quale dei diversi Capi (Capo I, “Della convenzione di arbitrato”, II “Degli arbitri”, III “Del procedimento”, IV “Del lodo” V “Delle impugnazioni”, ecc. ) il Codice degli appalti abbia voluto fare riferimento. 

Le affermazioni ora compiute, in secondo luogo, portano ad affermare che la disciplina generale dell’arbitrato in materia di appalti è quella dettata dal codice di procedura civile, attesa l’ampiezza del rinvio compiuto dall’articolo 209, comma 10, mentre le norme contenute all’articolo 209 codice degli appalti hanno carattere derogatorio, e dunque eccezionale, pur se contenute in una legge speciale (ossia che si applica “soltanto ad una determinata materia o ad una determinata categoria di soggetti”), qual è il codice degli appalti. 

Venendo al caso di specie, il chiaro disposto dell’articolo 209, comma 10, ove si effettua un amplissimo richiamo al codice di procedura civile, porta a far concludere che la procedura di nomina degli arbitri da parte della camera arbitrale abbia natura derogatoria rispetto a quella generale del codice di procedura civile e dunque non possa essere applicata analogicamente, giusta il divieto contenuto all’art. 14 Preleggi. 

In terzo luogo, va evidenziato che la camera arbitrale è un organo amministrativo e come tale soggetto al principio di legalità dell’azione amministrativa, principio quest’ultimo che comporta la possibilità di ritenere esistenti solo i poteri espressamente conferiti a tale organo amministrativo dalla legge. Ne consegue che non possono riconoscersi, in via analogica, poteri non conferiti dalla legge – anzi espressamente assegnati al presidente del tribunale – come avverrebbe se la camera arbitrale supplisse all’inerzia della parte privata designando l’arbitro. 

Tale ultima considerazione risulta essere l’unica soluzione coerente sia con la possibilità per le pubbliche amministrazioni di adottare solo i provvedimenti espressamente stabiliti dalla legge (c.d. tipicità e numerus clausus) sia con l’esplicita previsione legislativa di nominare unicamente il presidente e, su designazione degli arbitri di parte, il collegio, ex art. 209, comma 4 (“Il collegio arbitrale è composto da tre membri ed è nominato dalla Camera arbitrale di cui all’articolo 210. Ciascuna delle parti, nella domanda di arbitrato o nell’atto di resistenza alla domanda, designa l’arbitro di propria competenza scelto tra soggetti di provata esperienza e indipendenza nella materia oggetto del contratto cui l’arbitrato si riferisce. Il Presidente del collegio arbitrale è designato dalla Camera arbitrale tra i soggetti iscritti all’albo di cui al comma 2 dell’articolo 210, in possesso di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto cui l’arbitrato si riferisce”). 

Va poi aggiunto che nel nostro sistema, sempre il principio di legalità, porta al tendenziale rifiuto del ricorso a poteri impliciti. Come chiaramente affermato dalla Corte costituzionale, vi è «l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente «l’assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa» (Corte cost. 115/2011). 

È ben vero che, nel caso di specie, all’articolo 210, comma 2, codice degli appalti è stabilito che “la Camera arbitrale cura la formazione e la tenuta dell’Albo degli arbitri per i contratti pubblici, redige il codice deontologico degli arbitri camerali e provvede agli adempimenti necessari alla costituzione e al funzionamento del collegio arbitrale”, tuttavia, ritiene la Sezione, che, con un’interpretazione costituzionalmente orientata, per le ragioni prima esposte, la locuzione “adempimenti necessari alla costituzione e al funzionamento del collegio arbitrale” non possa essere interpretata estensivamente nel senso di ampliare i poteri anche ad ipotesi non disciplinate e a poteri non espressamente conferiti. 

A conferma di quanto or ora affermato va aggiunto che, se si ritenesse la camera arbitrale competente alla nomina dell’arbitro nel caso di inerzia della parte, sarebbe necessario altresì individuare il procedimento amministrativo che tale organo deve seguire, così svolgendo un compito che è demandato unicamente al legislatore. 

In quarto luogo, la Sezione osserva che se fosse riconosciuto alla camera arbitrale il potere di nominare anche l’arbitro di parte, vi sarebbe un collegio che per due terzi (il presidente e un arbitro) sarebbe composto da soggetti nominati dallo stesso organo, ossia la camera arbitrale. 

Fermo restando che la camera arbitrale ha certamente connotati di elevatissima indipendenza, in via sistematica, sino a quando non vi sarà un intervento del legislatore primario, va preferita la scelta che evita la “concentrazione” di nomine nello stesso organo e che opta per la nomina da parte di un soggetto terzo, anch’esso istituzionalmente caratterizzato da imparzialità e indipendenza, peraltro non competente a nominare neppure il presidente del collegio arbitrale. 

In quinto luogo, occorre considerare che il dubbio sull’esistenza del potere in capo alla camera arbitrale, dubbio riconosciuto sia dall’ANAC sia dal DAGL, crea il rischio che l’atto di designazione dell’arbitro di parte sia adottato in carenza di potere con conseguente nullità del collegio e del lodo, ex art. 209, comma 7 (“La nomina del collegio arbitrale effettuata in violazione delle disposizioni di cui ai commi 4, 5 e 6 determina la nullità del lodo”). 

La Sezione, in presenza di una norma (qual è il comma 10 dell’articolo 209) che richiama espressamente il codice di procedura civile conferendo il potere di nomina al presidente del tribunale, ritiene che vada seguito il canone ermeneutico per cui, in presenza di diverse opzioni interpretative, debba essere preferita quella più prudente e meno rischiosa per la validità degli atti adottati. 

La Sezione osserva altresì che la difficoltà interpretativa, legata alla distinzione tra designazione e nomina, possa essere risolta. 

Va osservato infatti che il presidente del tribunale, procedendo alla designazione nello svolgimento del suo ruolo istituzionale, rispetterà le disposizioni previste dal codice degli appalti (ivi comprese le incompatibilità lì stabilite), procedendo a designazioni che la camera arbitrale non avrà difficoltà ad inserire poi nel collegio arbitrale, con la conseguenza che difficilmente vi potrà essere un problema in sede di nomina del collegio da parte della camera arbitrale. 

In ogni caso, se la camera arbitrale dovesse avere dubbi circa il possesso dei requisiti da parte dell’arbitro designato dal presidente del tribunale, potrà validamente interloquire col presidente del tribunale, che agisce nell’esercizio di poteri di volontaria giurisdizione (Cassazione civile, sez. I, 9 luglio 7 2018, n. 18004; Cassazione civile, sez. I, 21 luglio 2010, n. 17114), fermo restando che pur essendo inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. o il reclamo (Cassazione civile, sez. III, 19/01/2006, n. 1017), il decreto di nomina o di sostituzione di un arbitro, è “provvedimento privo di carattere decisorio e insuscettibile di produrre effetti sostanziali o processuali di cosa giudicata” (Cassazione civile, sez. VI, 9 giugno 2020, n.10985; Cassazione civile, sez. I, 9 luglio 2018, n. 18004). 

Alla luce delle considerazioni sino a qui esposte, la Sezione reputa di rispondere così ai quesiti: 

In ordine al primo quesito – “se effettivamente vi sia una lacuna legislativa in ordine alla previsione dell’organo a cui spetta il potere di designazione sostitutiva nel caso dei procedimenti arbitrali per i contratti pubblici” – la Sezione ritiene che il rinvio esplicito al codice di procedura civile, contenuto all’art. 209, comma 10, d.lgs. 50/16, esclude che tecnicamente vi sia una lacuna normativa. 

In ordine al secondo quesito – “se l’arbitro di parte, trattandosi di c.d. arbitrato amministrato, possa essere nominato dalla camera arbitrale, e non dal presidente del tribunale, tenuto conto che la legge delega ha escluso il ricorso a procedure arbitrali diverse da quelle amministrate e ha accentuato il ruolo di garanzia svolto dalla Camera arbitrale” – la Sezione è dell’avviso che, per le considerazioni espresse, il presidente del tribunale sia il soggetto istituzionale deputato alla nomina dell’arbitro di parte nel caso di inerzia della parte stessa.

In relazione al terzo quesito – “se permanendo il potere di nomina da parte del presidente del tribunale, ai sensi dell’articolo 810 c.p.c., come deve essere coordinato tale potere di nomina con quello della camera arbitrale di verifica del possesso, nell’arbitro designato dal Presidente del Tribunale, dei requisiti soggettivi e della insussistenza negli stessi delle condizioni di inconferibilità dell’incarico” – per le ragioni esposte nel presente parere, la Sezione rileva che la distinzione tra “designazione” e “nomina” dell’arbitro non è di ostacolo all’individuazione del presidente del tribunale quale organo deputato alla designazione nel caso di inerzia della parte. Partendo dal presupposto che i rapporti tra presidente del tribunale e camera arbitrale dovranno essere improntati al principio della leale collaborazione, la “designazione” da parte del presidente del tribunale andrà effettuata tra coloro che possiedono i requisiti soggettivi richiesti dal codice degli appalti; inoltre, poiché la designazione è atto di volontaria giurisdizione, non si traduce in un provvedimento giurisdizionale, con conseguente possibilità per la camera arbitrale di interloquire qualora dovesse ritenere esistenti ‘imperfezioni’ nell’atto di nomina. 

Cons St., sez. I, 5 maggio 2022, n. 808 – Pres. Torsello, Est. Neri

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