tratto da rilievoaiaceblogliveri.wordpress.com

Province: comunque vada sarà un dissesto

rilievoaiaceblogliveri / 18 ore ago

Il battibecco di questi giorni tra Cgil e Governo sulle sorti delle province e, in particolare, del personale che, secondo il sindacato a giugno rischia di restare senza stipendio, ha un che di stucchevole.

Se per un verso l’allarme lanciato dalla Cgil appare non certo infondato, ma prematuro, per altro verso le reazioni degli esponenti del Governo appaiono ancora una volta confermare come l’Esecutivo non abbia davvero compreso il disastro che ha compiuto e continua a negare l’evidenza.

La Repubblica del 10 maggio, nell’articolo “Buste paga province, scontro Cgil-Governo” dà conto della posizione espressa da Angelo Rughetti, sottosegretario alla Pubblica amministrazione, secondo il quale il rischio sugli stipendi é inesistente: “L’interpretazione della Cgil è avventata e irresponsabile – commenta – la legge, pur se fra molte complessità sta andando avanti e comunque sia, il taglio di un miliardo è compatibile con i servizi richiesti e non avrà alcuna implicazione sugli stipendi. Le Province hanno i soldi per pagare e se, in questa fase di interregno dovesse sorgere qualche difficoltà, hanno anche i mezzi per porvi rimedio». Il governo, precisa Rughetti, ha varato due provvedimenti per tamponare le eventuali emergenze. «Il rinvio del pagamento delle rate dei mutui per tutto il 2015 e la possibilità di conferire ad un Fondo immobiliare ad hoc la proprietà di beni dati in affitto allo Stato, ricavandone in cambio liquidità immediata». «Ma non ve ne sarà bisogno – assicura – i dipendenti sono garantiti»”.

Alla verifica dei fatti, non una sola delle affermazioni del sottosegretario è corretta e tale da indurre a ritenere infondata l’osservazione di chi nota che le province sono destinate tutte, chi prima, chi dopo, al dissesto. Con conseguenze inevitabili sugli stipendi dei dipendenti.

La prima affermazione del Rughetti lascia, intanto, piuttosto sconcertati: il processo di riforma, secondo il sottosegretario, andrebbe avanti “pur se fra molte complessità”. Basterebbe ricordare al Rughetti, e all’altro sottosegretario Bressa che ha rilasciato alla stampa dichiarazioni di questo tenore, che già sin da marzo 2015 avrebbe dovuto avere avvio il processo di trasferimento dei dipendenti delle province. Siamo già a maggio e ancora non si è mosso nulla, né vi sono le avvisaglie perché il procedimento cambi passo. Appare francamente singolare che il Governo abbia redatto il testo della legge 190/2014, fatta approvare in Parlamento a colpi di maxiemendamenti e fiducia, e poi osservi, tramite suoi componenti, che vi sono “molte complessità”. Chi le ha create queste complessità, se non il medesimo Governo e Legislatore? Invece di impiegare tempo prezioso a rilasciare dichiarazioni sui giornali, Rughetti e gli altri componenti del Governo avrebbero fatto bene a non limitarsi a prendere atto che esistono molte complessità: bastava guardare Report di qualche domenica fa; piuttosto, forse, dovrebbero operare per eliminare tali complessità.

Ma, è esattamente ciò che il Governo appare assolutamente non intenzionato a fare. Nonostante i ritardi e le disfunzioni evidenti della riforma, ancora viene fatta professione di fede assoluta sulla sostenibilità delle previsioni della legge 190/2014, che invece è causa prima ed esclusiva dell’impossibilità di attuare la già disastrosa riforma Delrio senza far incorrere le province nel dissesto.

Afferma, infatti, Rughetti che il “taglio” del miliardo di euro previsto nel 2015 nei confronti delle province sarebbe compatibile con i servizi richiesti.

Peccato che, in primo luogo, non si tratti di un taglio. Come molte volte abbiamo avuto occasioni di ribadire, la legge 190/2014 non taglia nulla perché lo Stato non ha nulla da tagliare alle province, in quanto è dal 2012 che non trasferisce loro nemmeno un euro. Sicchè, il miliardo del 2015, i 2 del 2016 e i 3 del 2017, sono un prelievo forzoso: soldi che sono le province costrette a trasferire allo Stato, in applicazione di quel federalismo al contrario inaugurato dal Governo, nel quale sono gli enti locali a sostenere, con proprie entrate (le tasse non diminuiranno di un centesimo) parte delle spese dello Stato.

L’assunto fideistico della compatibilità del “taglio” viene desunto dal lavoro arcano della Sose, che sulla base dell’analisi di costi e fabbisogni standard avrebbe sentenziato che le province possono gestire le funzioni, nonostante il ridimensionamento della spesa. Ci sarebbe da ricordare che a Report l’amministratore delegato della Sose, Brunello, ha sottolineato come tale sostenibilità sarebbe possibile solo per il 2015, tuttavia.

Però, l’assunto della Sose null’altro è se non un insieme di considerazioni costruite a tavolino, per dare sostenibilità al solito intervento sorretto da logiche di tagli lineari che ha compiuto lo Stato.

C’è da ricordare che la legge 56/2014 (la riforma Delrio) ha disciplinato la devoluzione delle funzioni non fondamentali delle province verso gli enti destinatari (regioni e comuni), senza prevedere alcun effetto economico sugli enti di area vasta; anzi, la legge Delrio ha trattato la vicenda come una mega cessione di ramo d’azienda, prevedendo che le funzioni non fondamentali passassero dalle province agli enti di destinazione con tutte le dotazioni delle risorse necessarie, il che avrebbe permesso senza alcun problema:

  1. alle province di continuare a gestire le funzioni non fondamentali fino alla loro effettiva cessione ad altri enti, in quanto avrebbero conservato le risorse connesse;

  2. al personale di conservare integro il trattamento economico, non solo presso le province, ma anche negli enti verso i quali sarebbero stati trasferiti.

La legge 190/2014, imponendo i prelievi forzosi visti prima, ha sconquassato il sistema, facendo sì che:

  1. venissero a mancare alle province le risorse per gestire le funzioni non fondamentali, nelle more del completamento della riforma;

  2. le medesime risorse mancassero anche nei riguardi degli enti di destinazione, privati della possibilità di ottenerle dalle province e, dunque, costretti a finanziare da se stessi le nuove funzioni acquisite.

Inoltre, il prelievo forzoso di 3 miliardi a regime imposto dalla legge 190/2014 si aggiunge ad un plafond di precedenti interventi di “taglio” alle province di circa 2 miliardi, per complessivi 5 miliardi.

Queste cifre fanno comprendere come l’intervento finanziario deciso dal Governo sulle province non sia per nulla sostenibile, checché ne possa dire la Sose e chiunque altro.

Per comprenderlo, basta dare un’occhiata alla rilevazione Istat della spesa impegnata dalle province in base ai rendiconti del 2011:

consuntivi province

Nella tabella sono poste in corsivo le funzioni non fondamentali. Ora, basta fare pochi conti. Nel 2011 le province avevano ancora un volume di spesa complessivo di circa 12 miliardi tra spesa corrente e spesa in conto capitale.

Nel 2014 la spesa corrente si è già ridotta a 7,3 miliardi. A regime, nel 2017, dovrebbe dunque scendere a 4,3 miliardi, la metà del suo ammontare del 2011.

Perché, allora, come afferma Rughetti, la manovra sia compatibile, occorrerebbe che il valore delle funzioni non fondamentali sia di circa la metà del volume complessivo della spesa del 2011.

Invece, sommando gli importi delle funzioni non fondamentali ricavabili dalla tabella riportata sopra, si constata che esse valgono circa 1,5 miliardi, senza considerare il costo del personale; aggiungendo 800 milioni circa del costo dei 20.000 dipendenti provinciali da trasferire, l’ammontare della spesa relativa alle funzioni non fondamentali si attesta a circa 2,3 miliardi. Cifra lontanissima dalla metà del valore della spesa corrente del 2011 ma anche del 2014. Le province dovrebbero spendere comunque per le funzioni fondamentali circa 5 miliardi, mentre al massimo ne potrebbero spendere 4,3 a regime.

I conti non tornano per nulla. Né sono di alcuna utilità gli interventi indicati da Rughetti per alleviare il carico del 2015. Intanto, se per il 2015 il Governo ritiene di, appunto, alleggerire lo sforzo delle province, indirettamente conferma l’insostenibilità della manovra loro imposta. In secondo luogo, il rinvio delle rate di pagamento dei mutui non è che un palliativo, visto che non riduce l’aggravio della spesa per interessi e comunque vale solo 500 milioni, per altro non ripartiti uniformemente tra le varie province. In quanto alla manovra sugli immobili, Rughetti dovrebbe sapere ed insegnare che i risparmi conseguenti non possono liberare spesa corrente, ma solo spesa in conto capitale.

La frase “i dipendenti sono garantiti”, dunque, alla luce delle osservazioni dei fatti assomiglia sinistramente all’hashtag #dipendentidelleprovincestatesereni.

La stessa Ministra Madia ha affermato alla stampa che nessun dipendente delle province perderà lo stipendio e i lavoro.

I fatti, come visto, dicono altro. Dicono che le province nel 2015 dovranno continuare ad accollarsi sostanzialmente per intero la spesa delle funzioni non fondamentali, pur potendo a mala pena sopportare quella per le funzioni fondamentali. Prendiamo un esempio: la provincia di Verona, fatti finalmente i conti definitivi sul versamento coatto al bilancio dello Stato derivante dalla legge 190/2015, dovrà versare 38 milioni di euro al bilancio statale, su una spesa corrente di 76 milioni: la metà.

Anche dovesse riuscire miracolosamente a vedersi trasferirti tutti i dipendenti soprannumerari, compresi quelli di polizia provinciale e centri per l’impiego (che pare siano destinati ancora per mesi e mesi a restare presso le province, a causa delle distorte interpretazioni normative di Palazzo Vidoni della legge 190/2014), quella provincia otterrebbe un risparmio di 7 milioni. In ogni caso sarebbe destinata all’approvazione del bilancio in disequilibrio e a chiedere il predissesto, che inevitabilmente nel 2016 si tradurrà nel dissesto.

Non solo, dunque, per i dipendenti delle province l’ipotesi di restare senza stipendio è molto ben concreta, anche se probabilmente avverrà dopo il mese di giugno 2015, ma anche il rischio di perdere il lavoro è presente.

Intanto, la Ministra Madia e i vari sottosegretari in servizio di dichiarazione ai giornali permanente effettivo non dovrebbero fare finta che l’articolo 1, comma 428, della legge 190/2014 non esista. Tale norma dispone quanto segue: “Al 31 dicembre 2016, nel caso in cui il personale interessato ai processi di mobilità di cui ai commi da 421 a 425 non sia completamente ricollocato, presso ogni ente di area vasta, ivi comprese le città metropolitane, si procede, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali che deve comunque concludersi entro trenta giorni dalla relativa comunicazione, a definire criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale del personale non dirigenziale con maggiore anzianità contributiva. Esclusivamente in caso di mancato completo assorbimento del personale in soprannumero e a conclusione del processo di mobilità tra gli enti di cui ai commi da 421 a 425, si applicano le disposizioni dell’articolo 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”. L’ipotesi, dunque, del licenziamento anche di massa dei dipendenti provinciali è talmente reale, da essere prevista dalla legge. A meno che il Governo non ritenga che le disposizioni normative siano scritte solo per celia.

Non solo: sostanzialmente è trascorso già il 25% del tempo messo a disposizione dalla legge 190/2014 per ricollocare i dipendenti delle province, con un bel nulla di fatto. La data del 31.12.2016 si avvicina inesorabilmente. Ma il Governo è, fin qui, solo in grado di dichiarare che vi sono “molte complessità”.

 

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