Rivoluzione copernicana nei contratti pubblici: cade il naturale elemento dell’onerosità?
Non vi è dubbio alcuno che la pronuncia in esame continuerà a suscitare riflessioni e spunti polemici, oltre quelli già registrati. Ciò, anche in considerazione del fatto che la sentenza sembra costituire l’approdo (purtroppo non l’ultimo!) di un orientamento, avanzato in particolare dai giudici contabili, secondo il quale la riduzione, od anche l’annientamento della spesa pubblica, costituisce un “principio” da valorizzare ad ogni costo, o quasi. Orientamento non convincente e, come vedremo, anche scarsamente fondato dal punto di vista normativo. Veniamo alla concreta vicenda. Il Comune di Catanzaro indiceva una procedura aperta per l’affidamento della redazione del Piano Strutturale Comunale, prevedendo il solo rimborso spese e l’erogazione di un corrispettivo, indubbiamente solo simbolico, di € 1,00. Il Comune, prima di indire la gara, aveva richiesto un parere alla sezione regionale della Corte dei Conti, chiedendo lumi in merito alla possibilità di non prevedere alcun corrispettivo, ma solo il rimborso spese. La Corte dei Conti regionale, sez. Controllo, con il parere n. 6/2016, reputa possibile l’indizione di una gara gratuita, affermando espressamente che il Codice dei contratti pubblici “non riporta alcun divieto espresso circa l’inammissibilità di contratti di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito”. Invero, a conferma del poco approfondito esame della questione, occorre evidenziare che i giudici contabili, pur facendo riferimento al Codice dei contratti pubblici, qualificano il rapporto, che si intende instaurare a seguito della selezione, come “collaborazione”, istituto ben diverso da un appalto di servizi intellettuali e tecnici. Comunque, il Comune avvia la procedura di gara, qualificando il rapporto giuridico quale “appalto di servizi“, in base anche ai diversi richiami alle norme del Codice e come facilmente desumibile dalla natura imprenditoriale, che si richiede all’organizzazione delle risorse, soprattutto umane, da parte dell’operatore economico partecipante, in considerazione della peculiare complessità dell’oggetto della specifica organizzazione e dalla predeterminazione della sua durata (in tal senso: Cons. di Stato, Sez. V, n. 2370/2012). Il bando viene impugnato dalle locali Associazioni professionali (Ordine degli Architetti pianificatori paesaggistici e conservatori; Ordine degli ingegneri; etc.), le quali contestano, appunto, l’illegittimità del medesimo nella parte in cui ha previsto la natura gratuita del contratto di appalto di servizi. I ricorrenti fondano la loro censura, evidenziando e sostenendo che la natura essenzialmente onerosa del contratto di appalto è imposta non solo dalla disciplina civilistica, ai sensi dell’art. 1655 c.c., ma anche dalle regole e principi, che reggono i pubblici contratti, le quali sono articolate sul presupposto della causa onerosa del contratto. In particolare: – le regole, che concernono l’individuazione delle soglie di rilevanza europea e dei requisiti di partecipazione con riferimento al fatturato minimo (artt. 35, 95, comma 3 ed 83, comma 4 e 5, Codice, D.Lgs. n. 50 del 2016); – quelle, che impongono l’obbligo di prestare la garanzia fideiussoria (art. 93, Codice); – quelle, che disciplinano il sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta (art. 95 e ss. Codice); – quelle, che stabiliscono il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il quale può, in determinati casi indicati dall’art. 95, comma 7, Codice, non ricorrenti nel caso di specie, articolarsi su un prezzo o costo fisso, che però deve comunque essere in quanto tale predeterminato. Il Tar Calabria, Sez. Catanzaro, Sez. I, con la sentenza n. 2435/2016, accoglie il ricorso ed annulla il bando, statuendo che la normativa, soprattutto codicistica, dei contratti pubblici conferma la natura necessariamente onerosa dell’appalto di servizi, anche in ragione della necessità di garantire la qualità della prestazione e la serietà dell’offerta.
Il Comune di Catanzaro impugna la pronuncia di primo grado, sostenendone l’infondatezza. Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso, contestando proprio il percorso logico, effettuato dal giudice di primo grado. Ad avviso dei giudici amministrativi di appello, è vero che la normativa, sia comunitaria (Direttiva n. 2014/24/UE, art. 2, n. 5) che nazionale (art. 3, lett. ii; Codice), prevede l’onerosità come una caratteristica essenziale dei contratti di appalto pubblico, ma occorre considerare l’onerosità in un modo diverso. Per dimostrare tale “diversità”, il CdS afferma che la qualità della prestazione e la serietà dell’offerta sono congruamente assicurate anche in taluni contratti, ove manca la corresponsione di un prezzo a carico dell’amministrazione. Al riguardo, si pone in evidenza il contratto di sponsorizzazione, il quale non è un contratto a titolo gratuito, ma un contratto caratterizzato da una peculiare onerosità, consistente dal ritorno di immagine, cioè un’utilità immateriale, conseguente al contratto medesimo. In altri termini, lo sponsor, a fronte delle sue prestazioni, non riceve un prezzo, ma un’utilità non finanziaria, ma degna di apprezzamento economico, quale la valorizzazione della sua immagine verso l’esterno. Inoltre, il Consiglio di Stato segnala che “la giurisprudenza da tempo ammette l’abilitazione a partecipare alle gare pubbliche in capo a figure del c.d. “terzo settore”, per loro natura prive di finalità lucrative, vale a dire di soggetti che perseguano scopi non di stretto utile economico, bensì sociali o mutualistici“. Sulla base di tali asserzioni, il CdS perviene ad affermare che appare evidente “la preferenza, nell’ordinamento dei contratti pubblici, per un’accezione ampia e particolare (rispetto al diritto comune) dell’espressione «contratti a titolo oneroso», tale da dare spazio all’ammissibilità di un bando che preveda le offerte gratuite (salvo il rimborso delle spese), ogniqualvolta dall’effettuazione della prestazione contrattuale il contraente possa figurare di trarre un’utilità economica lecita e autonoma, quand’anche non corrispostagli come scambio contrattuale dall’Amministrazione appaltante“. Quindi, possono essere bandite gare con previsione di offerte gratuite se l’operatore economico, invece di richiedere un giusto e naturale corrispettivo, accetta un’utilità economica lecita e autonoma! In che cosa consista siffatta utilità, i giudici amministrativi di appello nulla dicono, ma si limitano solo ad indicare che deve essere “lecita” (cioè non perseguente finalità contrarie all’ordinamento) ed “autonoma”, cioè non collegata ad uno somma di danaro. In altri termini, secondo la suggestiva ricostruzione del CdS, occorre distinguere l’utilità “finanziaria”, cioè quella correlata ad una banale somma di danaro, quale giusta remunerazione delle effettuate prestazioni, dall’utilità “economica”. Questa prescinde dalla volgarità della moneta, ma si fonda “su leciti elementi immateriali inerenti il fatto stesso del divenire ed apparire esecutore, evidentemente diligente, della prestazione richiesta dall’Amministrazione” (sic!). Sulla base di tali considerazioni, il CdS accoglie il ricorso e reputa pienamente legittimo il bando elaborato dal Comune di Catanzaro. Può essere accolta tale ricostruzione e configurazione dell’onerosità, quale elemento essenziale nei pubblici contratti? La risposta è negativa per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, il Consiglio di Stato ha, in buona parte, trascurato le giuste indicazioni, soprattutto normative, compiute dal Tar Calabria, secondo le quali quella, che viene definita “onerosità finanziaria”, cioè legata all’esistenza di un prezzo, è intimamente collegata a diversi istituti della contrattualistica pubblica: innanzitutto, quello dell’offerta anomala. Con la verifica di anomalia, si accerta in concreto che la proposta economica risulti, nel suo complesso, attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto (da ultimo: Cons. di Stato, Sez. VI, 15 settembre 2017, n. 4350). Ora, appare difficile, invero impossibile, effettuare una verifica di anomalia, prescindendo dall’elemento prezzo. Quindi, la qualità della prestazione ed anche la serietà dell’offerta economica non possono prescindere dall’elemento finanziario, cioè dal prezzo. Inoltre, occorre tener conto che l’art. 24, comma 8-ter, del Codice, stabilisce espressamente che “nei contratti aventi ad oggetto servizi di ingegneria e architettura la stazione appaltante non può prevedere quale corrispettivo forme di sponsorizzazione o di rimborso, ad eccezione dei contratti relativi ai beni culturali, secondo quanto previsto dall’art. 151“. Quindi, solo negli appalti afferenti i servizi culturali, è possibile prescindere all’elemento prezzo e dar ingresso al delicato e marginale istituto della sponsorizzazione e prevedere solo rimborsi spese. Certo, l’or riportata disposizione normativa è stata introdotta solo dal cd. Decreto correttivo (D.Lgs n. 56 del 2017), entrato in vigore successivamente alla pubblicazione del bando di gara. Tuttavia, appare a dir poco stupefacente che i giudici di appello non ne abbiano tenuto conto, dal momento che la novella disposizione sconfessa platealmente la ricostruzione teorica effettuata. Invero, oltre tali plausibili considerazioni, occorre tener conto di altre naturali ed ovvie riflessioni, che possono essere sintetizzate con la seguente banale domanda: perché un operatore economico dovrebbe accettare di effettuare prestazioni complesse in modo gratuito? Ad avviso del CdS, dovrebbe essere attratto da altri elementi di “utilità”, di natura immateriale, come il fatto di “divenire ed apparire esecutore della prestazione”! Orbene, senza voler scomodare Ignazio Silone che, nel suo celebre romanzo “Fontamara”, faceva correttamente affermare ad uno dei suoi personaggi che “se è gratis, c’è l’inganno“, non si può non tener conto che le “utilità economiche”, cui allude il CdS, non solo si presentano immateriali e poco razionali, ma si mostrano anche come pericolosamente generiche ed in grado di generare un terreno fertile per facili equivoci o mercimoni. Se il professionista accetta di lavorare gratuitamente, lo fa solo perche vuole mostrarsi quale un benefattore delle sempre più povere “casse pubbliche” o si attende “qualcosa”? E che cosa? Un semplice contatto, un “entratura” con i pubblici uffici, finalizzata a creare “rapporti privilegiati”? E con quali fini? Tutto è oscuro, tutto è platealmente generico, con grave violazione della trasparenza. In tal senso, le considerazioni critiche, già formulate da taluni studiosi (M. Clarich, “Sull’affidamento gratuito il rischio sotto traccia di un rapporto di scambio“; Edilizia e Territorio 5 ottobre 2017), appaiono convincenti. Con la gratuità, non solo si svaluta e si mortifica il lavoro, in violazione dell’art. 36 della Costituzione, ma si lascia spazio ad implicite motivazioni, che contrastano con il pubblico interesse. Cosa spera di ottenere, chi effettua gratuitamente una prestazione complessa in favore della Pubblica amministrazione? E’ questa la domanda che non si può eludere! Non vi è dubbio che la gratuità appare fortemente idonea a determinare equivoci, aspettative, incomprensioni, accordi sotterranei, millanterie, presunti o veri rapporti privilegiati, da rivendere alla propria clientela. Questi possono essere i plausibili e naturali frutti velenosi di tale orientamento, il quale si pone in contrasto, netto e grave, con l’intera normativa e prassi anticorruzione.
Cons. di Stato, Sez. V, 3 ottobre 2017, n. 4614
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