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L’indicazione dei costi di sicurezza aziendale “interni” è obbligatoria, a pena di esclusione, e non trova applicazione il mezzo del soccorso istruttorio

di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
La sentenza in commento tratta di tre aspetti dichiarativi a carico degli offerenti, tra loro collegati e su cui vi è una fitta giurisprudenza ricca di singolarità. Gli elementi in questione sono i costi della sicurezza nei luoghi di lavoro, il soccorso istruttorio sulla carenza nella indicazione dei primi e le dichiarazioni non veritiere.
Riguardo al primo elemento, il tema si sviluppa intorno alla indicazione degli oneri della sicurezza interni, la cui disciplina legislativa è contenuta dell’art. 95, comma 10, D.Lgs. n. 50/2016 e s.m.i. che attualmente così dispone “Nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’art. 36, comma 2, lettera a). Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’art. 97, comma 5, lettera d).” La disposizione riproduce quella dell’art. 87D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. su cui l’Adunanza generale (sentenza n. 3/2015) del Consiglio di Stato aveva assunto una posizione chiara, ancor oggi valida: nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura, anche se non prevista nel bando di gara. La disposizione è infatti posta a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori sanciti nella stessa Costituzione, si deve fare capo a una lettura delle norme costituzionalmente orientata, unica idonea a ricomporre le incongruenze rilevate, che porta a ritenere l’obbligo dei concorrenti di presentare i costi interni per la sicurezza del lavoro anche nelle offerte relative agli appalti di lavori, ricostruendosi il quadro normativo, in sintesi, nel modo seguente:
a) le stazioni appaltanti, nella predisposizione degli atti di gara per lavori e al fine della valutazione dell’anomalia delle offerte, devono determinare il valore economico degli appalti includendovi l’idonea stima di tutti i costi per la sicurezza con l’indicazione specifica di quelli da interferenze; i concorrenti, a loro volta, devono indicare nell’offerta economica sia i costi di sicurezza per le interferenze (quali predeterminati dalla stazione appaltante) che i costi di sicurezza interni che essi determinano in relazione alla propria organizzazione produttiva e al tipo di offerta formulata;
b) la ratio del puntuale richiamo (nell’art. 87, comma 4, D.Lgs. n. 163/2006 e oggi nell’art. 95, comma 10, D.Lgs. n. 50/2016) della specifica indicazione dei costi per la sicurezza per le offerte negli appalti di servizi e forniture appare individuabile, in questo quadro, in relazione alla particolare tipologia delle prestazioni richieste per questi appalti rispetto a quelli per lavori e alla rilevanza di ciò nella fase della valutazione dell’anomalia (cui la norma del 2006 era espressamente riferita); il contenuto delle prestazioni di servizi e forniture può infatti essere tale da non comportare necessariamente livelli di rischio pari a quelli dei lavori, rilevando l’esigenza sottesa alla norma in esame, pur ferma la tutela della sicurezza del lavoro, di particolarmente correlare alla entità e caratteristiche di tali prestazioni la giustificazione dei relativi, specifici costi in sede di offerta e di verifica dell’anomalia. La sentenza dell’Adunanza generale ha sopito l’orientamento che, invece, propendeva per l’esclusione di una ditta motivata con riferimento alla omessa specificazione nell’offerta degli oneri aziendali di sicurezza, distinti da quelli di sicurezza relativi ad interferenze, nel caso in cui, per un verso, dal disciplinare di gara e dalla modulistica a esso allegato, non risultava la necessità di effettuare tale specificazione e, per l’altro, la ditta stessa aveva comunque indicato gli oneri aziendali di sicurezza nelle giustificazioni allegate alla domanda di partecipazione alla gara in una voce complessiva comprendente pure le spese generali e l’utile, per di più specificando, nel corso della procedura di gara, in via analitica – in esito a puntuale richiesta della stazione appaltante – la misura e la composizione degli oneri di cui trattasi (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 2517/2014 e poi, con il nuovo codice, Cons. Stato, Adunanze Plenarie n. 19 e n. 20 del 2016). In tal senso si veda anche la ricostruzione fatta in materia dall’ANAC nella Rassegna ragionata delle massime di precontenzioso in tema di “avvalimento” e “soccorso istruttorio”, anno 2017. L’onere dichiarativo non sussiste per le forniture senza posa in opera e i servizi di natura intellettuale (TRGA, Trento, sent. n. 319/2017).
Riguardo al secondo elemento, relativo all’ammissibilità del soccorso istruttorio “procedimentale” per le carenze dichiarative in materia di costi della sicurezza, la giurisprudenza sopra citata ha affermato l’inutilizzabilità del mezzo in favore dell’offerente in difetto in quanto trattasi di una carenza inerente un requisito essenziale dell’offerta. L’omessa evidenziazione di tali costi non è considerabile un’omissione formale, ma integra pienamente la violazione sostanziale della prescrizione di legge; l’art. 83, comma 9, D.Lgs. n. 50/2016 esclude espressamente che il soccorso istruttorio possa riguardare carenze relative all’offerta economica, oltre a quelle dell’offerta tecnica, all’evidente scopo di evitare manipolazioni di comodo dell’offerta precedentemente presentata (CGARS, sent. n. 683/2019).
Riguardo al terzo elemento, quello inerente il contenuto delle dichiarazioni rese dall’offerente nei documenti presentati nella procedura, la disciplina sanzionatoria espulsiva è contenuta nell’art. 80 che, al comma 5, stabilisce che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’art. 105, comma 6, qualora:
– “c-bis) l’operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”;
– “l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente non è possibile fare riferimento alla categoria penalistica del c.d. “falso innocuo” e/o del “falso inutile”, che, in materia di gare pubbliche, è applicabile soltanto quando il falso non sia, in alcun modo, quindi nemmeno potenzialmente, in grado di incidere sull’esito della procedura di evidenza pubblica (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 1527/2019T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sent. n. 3024/2019Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 1471/2012 con nota di Commandatore, Il c.d. “falso innocuo” nelle gare di appalto, su Lexitalia.it; Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 4436/2010).
Nel falso (escludente) non possono comprendersi le dichiarazioni contenenti informazioni “erronee” od “opinabili” quando conseguenti a una non chiara e univoca definizione, da parte della lex specialis, delle grandezze e dei parametri da prendere a riferimento per quantificare un dato/valore/elemento. Sono “opinabili” le dichiarazioni che trovano più o meno corrispondenza nella realtà oggettiva a seconda dell’ampiezza definitoria del parametro da utilizzare ma di cui gli atti di gara non davano una definizione (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 5295/2019).

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