10.06.2015 – Riforma Madia, i correttivi necessari per i dirigenti apicali

Riforma Madia, i correttivi necessari per i dirigenti apicali

di Pasquale Monea e Marco Mordenti

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Le audizioni alla Camera hanno riaperto il dibattito sulla riforma della pubblica amministrazione. Da un lato, nel documento presentato dalla Corte dei conti si sottolinea la necessità di contemperare la flessibilità organizzativa con l’autonomia della dirigenza dalla politica, imperniando le modalità di affidamento degli incarichi sulle competenze specifiche necessarie per ciascun ruolo; inoltre, si esprimono forti perplessità sul ricorso agli incarichi esterni; infine, si invita il Parlamento a correggere il regime della responsabilità amministrativo contabile.

Dall’altro lato l’Anci nel documento del 3 giugno, presentato unitamente all’Upi, reclama una maggiore autonomia degli enti in fase di nomina dei dirigenti; inoltre, entrambe le associazioni pongono nuovamente il tema dei Comuni di maggiori dimensioni demografiche e delle Province (ovvero delle future Aree vaste). È del tutto evidente che nel prosieguo dell’iter parlamentare si dovranno apportare alcuni correttivi al disegno di legge, con riferimento anche alla nuova figura del dirigente apicale, al fine di bilanciare le diverse esigenze e di accelerare i tempi di approvazione.

Decadenza dal ruolo 

Il primo correttivo è stato già annunciato dal ministro Madia: chi rimane senza incarico può essere licenziato solo a seguito di valutazioni negative per le mansioni svolte, al di sotto di uno standard predeterminato. È una modifica necessaria, nel tentativo di rimediare almeno in parte ai gravi profili di costituzionalità contenuti nel testo approvato dal Senato ed evitare facili contenziosi, scontati nell’esito (si veda l’articolo sul Quotidiano degli entio locali e Pa del 22 aprile 2015).

Durata degli incarichi 

La proposta di fonte Anci-Upi è di portare a cinque anni (più cinque di eventuale rinnovo) la durata degli incarichi apicali: il tema della flessibilità deve essere posto in termini funzionali alle esigenze delle autonomie, armonizzando la tempistica delle nomine con la durata del mandato. Ci pare una richiesta tutto sommato condivisibile, a patto di introdurre nella disciplina in esame adeguate garanzie a difesa dell’autonomia dirigenziale.

Comuni più grandi 

Nei Comuni di maggiore dimensione la proposta è quella di consentire il reperimento della figura apicale all’esterno dei ruoli della Pa: tale previsione, tuttavia, è stata già ritenuta inammissibile dalla commissione bilancio del Senato, oltre che contrastante con il principio di autosufficienza organizzativa ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale e ripreso dalla Corte dei conti. Non manca chi nota, inoltre, come una figura esterna molto difficilmente possa possedere tutte le competenze multidisciplinari necessarie per assumere il ruolo di direzione complessiva dell’ente, che comprende tanto l’attuazione del programma quanto il controllo di legalità; anche il più abile manager privato, infatti, non può guidare efficacemente un’azienda pubblica se non ne conosce le procedure, disciplinate minuziosamente da regole, prassi e sentenze, né tantomeno può assicurare la legalità dell’azione amministrativa (la recente excalation di fenomeni corruttivi sembrerebbe dimostrarlo).

Non a caso in Francia l’accesso dal settore privato avviene attraverso una quota del corso-concorso nazionale, in modo dunque maggiormente funzionale alle esigenze di professionalità e di autonomia. Nel frattempo si potrebbe mantenere la mediazione approvata dal Senato, che consente due possibili scenari negli enti maggiori: figura unica apicale da individuare all’interno del ruolo; scelta del direttore esterno in applicazione dell’attuale articolo 108 del Tuel, con sdoppiamento della figura apicale.

La specificità di un’azienda pubblica fa dubitare peraltro della buona riuscita di traslazioni dal mondo privato senza il filtro di percorsi professionali adeguati; a maggior ragione, ciò pare irragionevole al crescere dell’importanza degli enti. La lettura (sconcertante) che si può dare di questa proposta è che in verità non si crede fino in fondo alla bontà e serietà del nuovo percorso che attende la dirigenza pubblica, con effetti fortemente demotivanti per tutti i componenti di tale categoria.

Comuni più piccoli 

Non si comprendono infine le perplessità manifestate dalla Corte dei conti con riferimento ai Comuni più piccoli, per i quali si dovrà applicare la clausola d’invarianza della spesa mediante ricorso obbligatorio alle forme associative «coerentemente con le disposizioni dell’art. 14 del D.L. 78/2010», in modo da conciliare le esigenze di funzionalità e di efficienza. A meno che non si voglia approfittare di questa occasione per imporre surrettiziamente alle autonomie ulteriori limitazioni di spesa.

 

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