Conferenza preliminare per progetti di particolare complessità: una facoltà a doppio impulso, privato ma anche pubblico
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
La vicenda: il procedimento regionale di delocalizzazione di una cava
Una società ha presentato istanza di delocalizzazione dell’attività estrattiva esercitata presso una cava in zona altamente critica, verso altra area classificata come area estrattiva di riserva. La delocalizzazione veniva proposta in applicazione di specifica disciplina contenuta nelle NTA del piano regionale sulle cave.
All’esito dell’istruttoria, il procedimento amministrativo si è concluso con un primo rigetto, formalizzato con determinazione motivata regionale di conclusione della Conferenza di servizi decisoria, al quale è seguita l’approvazione sul piano tecnico del progetto di delocalizzazione, dopo che il T.A.R., nel frattempo adito dalla società, aveva emesso un’ordinanza propulsiva. Tuttavia, contestualmente a questa approvazione, si dava atto dell’impossibilità di stipulare l’accordo di programma conclusivo, ai sensi della normativa urbanistica regionale richiamata dalla procedura di piano sulla delocalizzazione della cava, a causa del dissenso manifestato dal Comune. Tutto ciò a causa della destinazione agricola dell’area interessata alla delocalizzazione e per la mancata perimetrazione preventiva del comparto estrattivo all’interno dell’area classificata come estrattiva di riserva, e quindi autorizzabile previa valutazione della “sostenibilità ambientale e territoriale” dell’attività di coltivazione della cava. Oltre alle impugnative della società, gli atti regionali hanno subìto anche l’iniziativa del Comune, che ha presentato ricorso contro gli esiti favorevoli delle valutazioni di impatto ambientale e strategica emesse dalla Regione.
La complessa vicenda giudiziaria è culminata in primo grado con l’emissione di tre sentenze, fatte poi oggetto di impugnazione da parte della ricorrente.
La prima sentenza ha respinto il ricorso della società contro la determinazione conclusiva del procedimento, condividendo in sostanza le conclusioni del Comune. Con la seconda sentenza si dichiarava improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso ed i motivi aggiunti del Comune, in conseguenza del rigetto dell’impugnazione della società. Con la terza accoglieva invece il ricorso della società, previa diffida, contro il silenzio serbato dalla giunta regionale sulla delimitazione di un comparto estrattivo, con espressa salvezza del potere dell’amministrazione di valutare la fondatezza della pretesa dedotta.
La Conferenza preliminare prima e dopo la riforma Madia
La società rimasta soccombente in primo grado ha lamentato il fatto che la Regione – che è l’autorità competente nel procedimento di delocalizzazione della cava – abbia segmentato il procedimento in una pluralità di Conferenze di servizi, quando invece, a suo dire, la speciale disciplina contenuta nel piano cave avrebbe carattere unitario. Le Conferenze di servizi sono state tre: la prima per la dismissione della cava nella località iniziale, mentre per quel che qui interessa, la procedura per la nuova localizzazione è stata suddivisa in una Conferenza preliminare ex art. 14-bis, L. n. 241 del 1990 ed un’ulteriore Conferenza di portata decisoria.
Va ricordato che la vicenda all’esame della sentenza del Consiglio di Stato n. 1643 del 12 marzo 2019 interessa la Conferenza preliminare nel testo vigente all’epoca dei fatti, e cioè quando ancora l’istituto era disciplinato dall’art. 14-bis, L. n. 241 del 1990, mentre ora, come sappiamo, di esso si occupa l’art. 14 al comma 3.
Nella versione precedente, si specificava che l’oggetto della Conferenza era una progettazione preliminare, o, in mancanza, uno studio di fattibilità. Adesso, questa precisazione è venuta meno, a scapito della maggiore chiarezza sui contenuti degli studi e sul livello di approfondimento della documentazione da esaminare.
La Conferenza preliminare: una facoltà, non un obbligo
La Conferenza di servizi preliminare ha lo scopo di semplificare l’iter attraverso l’indicazione preventiva delle condizioni per ottenere tutti gli assensi necessari prima di avviare il procedimento vero e proprio. E’ sottinteso che lo strumento serve anche a chiarire all’impresa, prima di impegnarsi nell’investimento, quali sono i requisiti burocratici richiesti, gli adempimenti da assolvere e i tempi per concludere il procedimento. In ogni caso, l’attivazione della Conferenza preliminare rimane una facoltà dell’Amministrazione, e non certo un obbligo. Anche se ci troviamo di fronte a procedimenti complessi, il doppio stadio preliminare-decisorio non sempre garantisce di per sé una semplificazione dell’iter; anzi, potrebbe verificarsi anche l’effetto opposto, e cioè che il ricorso alla Conferenza preliminare comporti un inutile appesantimento. Per questo, è quanto mai opportuno che il doppio passaggio rimanga facoltativo, proprio al fine di garantirne la più efficacie applicazione laddove sarà più utile attivarlo. A tal proposito, la legge prevede infatti che sia l’interessato a fare motivata richiesta di convocare la Conferenza preliminare. In questo modo, il problema relativo alla scelta di fare ricorso o meno all’istituto è spostato sul proponente, e cioè sul soggetto a vantaggio del quale sono orientati i principi a presidio della speditezza del procedimento. In altre parole, attribuendo innanzitutto al privato la scelta di introdurre un ulteriore passaggio istruttorio, non si potrà imputare all’ente il rischio di appesantire l’iter con passaggi non obbligatori.
La Conferenza preliminare: una facoltà a doppio impulso, privato ma anche pubblico
Tuttavia, sul punto relativo al potere di iniziativa, la Sentenza del Consiglio di Stato n. 1643 del 2019 sembra offrire un ulteriore elemento interpretativo. Per il Collegio d’appello, la suddivisione della procedura di delocalizzazione di una cava in una Conferenza di servizi preliminare e in una decisoria non può ritenersi illegittima, in considerazione dell’ampia discrezionalità dell’amministrazione di ricorrere alla prima in presenza di progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi di beni e servizi. Che in questo caso l’iniziativa di avviare una Conferenza preliminare sia partita dall’Amministrazione – e non dal privato, come vorrebbe una lettura letterale del testo normativo – sembrano non sussistere dubbi, in quanto la parte privata ha ritenuto tale scelta illegittima e l’ha sottoposta ad impugnativa. Di certo rimane il carattere facoltativo dell’istituto; anche nel caso sia l’ente a prendere l’iniziativa in tal senso, deve trattarsi di una scelta frutto di un apprezzamento altamente discrezionale.
Conferenza preliminare e tutela dell’affidamento
Altro elemento d’interesse riguarda la tutela dell’affidamento maturato nei confronti del privato rispetto all’esito della Conferenza preliminare in rapporto con il successivo evolversi della valutazione in seno alla Conferenza decisoria. La norma contenuta nella L. n. 241 del 1990, sia nella vecchia che nell’attuale formulazione, stabilisce che le determinazioni espresse in sede di Conferenza preliminare possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nel successivo procedimento anche a seguito delle osservazioni degli interessati sul progetto definitivo. Quindi, in caso di esito positivo della Conferenza preliminare, matura a vantaggio del privato un principio di affidamento in conseguenza del quale non è possibile concludere la successiva fase decisoria in senso negativo senza aver motivato la diversa valutazione in base a significativi elementi emersi in seguito, magari a causa dell’apporto esterno dovuto a osservazioni di privati sul progetto definitivo.
Il Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 1643 del 2019 si è espresso anche riguardo all’affidamento eventualmente maturato sulla positiva conclusione della Conferenza decisoria per effetto degli esiti della Conferenza di servizi preliminare. In base alla legge che la disciplina – sostiene il Collegio – la Conferenza preliminare è la sede deputata ad una prima verifica circa l’assentibilità di progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi di beni e servizi, con lo scopo di definire le condizioni per ottenere i necessari assensi amministrativi da parte delle amministrazioni competenti, e al fine di semplificare l’istruttoria e la valutazione da svolgere in via definitiva nella conferenza di servizi decisoria, sulla base di un progetto risultante dalla verifica preliminare. Tuttavia, non sussiste alcun vincolo rispetto agli esiti della decisione finale. Questo perché – sempre secondo il Consiglio di Stato – l’affidamento maturato dal privato può costituire ragione di invalidità degli atti di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990, in ragione del fatto che tali provvedimenti vanno ad incidere su precedenti atti già definitivi e sul rapporto amministrativo per effetto di essi costituito con il privato, ma non anche di provvedimenti ancora da emanare, e sulla base delle risultanze della prodromica istruttoria. In altre parole, l’affidamento deve poggiare su posizioni già costituite in base ad atti definitivi, che nel caso della Conferenza preliminare mancano. Rispetto al caso di specie, il Collegio ha concluso per la non configurabilità di alcuna contraddittorietà in atti, stante la diversa funzione delle due Conferenze di servizi.
Conferenza preliminare e sindacabilità giurisdizionale dei suoi esiti
Questo però non significa che le determinazioni conclusive di una Conferenza preliminare non assumano propria capacità lesiva e non possano essere impugnate. T.A.R. Sardegna, Cagliari, 8 marzo 2018, n. 185, ha spiegato che l’oggetto della conferenza non risiede nell’approvazione del progetto, ma nel prefigurare le condizioni per ottenere un assenso futuro sul progetto definitivo o esecutivo. L’obiettivo – secondo il T.A.R. – è dunque verificare l’effettiva portata lesiva della determinazione conclusiva della conferenza preliminare, da esplorare in due direzioni: sia in senso negativo, quando cioè la conferenza rileva la sussistenza di criticità ostative alla futura valutazione positiva del progetto, sia nel caso in cui l’esito è favorevole all’iniziativa. Nel primo caso si profila l’interesse del proponente ad impugnare il risultato negativo della conferenza preliminare, idoneo a determinare un arresto procedimentale e quindi suscettibile di impugnazione; nel secondo caso sono invece i controinteressati a poter impugnare l’esito positivo a loro sfavorevole.
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