tratto da dirittodeiservizipubblici.it
Sulla legittimità dell’affidamento in house providing della gestione della farmacia comunale

Recentemente la V Sez. del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia il quesito “se il diritto dell’Ue (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’art. 192, c. 2, del Codice dei contratti pubblici, dlgs n. 50 del 2016) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto…..”, non mancando di spendere argomentazioni circa il basilare assunto logico secondo il quale “nessuno, ragionevolmente, si rivolge ad altri quando è in grado di provvedere, e meglio, da solo” (Cons. Stato, ord. 7 gennaio 2019, n. 138). Tuttavia la norma è ad oggi in vigore e non vi è un contrasto così lampante e netto con norme vincolanti dell’ordinamento UE da imporne la immediata disapplicazione giudiziale. Pertanto, nel caso si specie, è legittima la scelta dell’amministrazione di affidare in house providing la gestione della farmacia comunale in quanto, oltre ad aver ha effettuato un’istruttoria, compiendo un’indagine di mercato al fine di verificare quali soluzioni gestionali sarebbero state in concreto possibili, ha anche valutato la proposta della società in house, comparandola con un benchmark di riferimento, risultante dalle condizioni praticate da altre società in house operanti nel territorio limitrofo. Soprattutto, in ragione dell’urgenza di provvedere e del carattere temporaneo ed emergenziale della gestione, ha deliberato di affidare il servizio in house providing solo per tre anni, ossia un periodo estremamente ridotto rispetto a quello che avrebbe potuto mettere a gara in caso di ricorso al mercato. Siffatto livello istruttorio e motivazionale, è sufficiente, anche in considerazione del fatto che la pretesa di un maggior rigore istruttorio e motivazionale, persino in ipotesi di brevi affidamenti, esacerberebbe i dubbi circa l’applicabilità della norma citata, già tramutatisi nella rimessione alla Corte di Giustizia.

Dall’art. 4 c. 5 del del d.lgs. 175/2016 TUSPP si ricava, che le holding, purchè abbiamo come oggetto sociale esclusivo la gestione delle partecipazioni societarie di enti locali, possono acquisire (e mantenere) partecipazioni in altre società. La norma citata rimuove l’unico limite che era innanzi previsto, ossia quello riferibile alle società dei servizi c.d. strumentali oggi menzionate al c 2, lett. d) del TUSPP. Pertanto, nel caso di specie, non può sostenersi, sulla base dell’art. 4 del d.lgs. 175/2016, la sussistenza di un divieto per il comune di partecipare ad una holding.

Nonostante una partecipazione “pulviscolare” sia in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa in presenza di interessi potenzialmente contrastanti, tuttavia i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il “loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata”. Nel caso di specie la possibilità di esercizio, in modo coordinato e concordato del controllo analogo congiunto sulla società holding e sulle società da questa controllate, deriva dalla convenzione ex art. 30 t.u.e.l. intercorsa tra gli enti partecipanti, giusto quanto allegato dal comune. Pertanto, in difetto di una prova contraria, la sola prospettazione del carattere “pulviscolare” della partecipazione non è in grado di incidere sulla tenuta e validità del modello in house concretamente adoperato.

 
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Pubblicato il 03/03/2020
N. 01564/2020REG.PROV.COLL.
N. 07362/2019 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7362 del 2019, proposto da

Face S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Cocchi, Gabriele Pafundi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14;

contro
Comune di Forlimpopoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Maltoni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gaetanino Longobardi in Roma, viale Mazzini 134;

Livia Tellus Romagna Holding S.p.A., Forlifarma S.p.A., in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Marco Boldrini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti
 
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 461/2019, resa tra le parti.
 
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Forlimpopoli, di Livia Tellus Romagna Holding S.p.A. e di Forlifarma S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Gabriele Pafundi, Andrea Maltoni per sé e su delega di Marco Boldrini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
 
FATTO
FACE Spa, società mista, all’origine costituita tra il Comune di Cesena, il Comune di Mercato Saraceno e Alliance Healthcare Italia Spa per la gestione delle 5 farmacie comunali del Comune di Cesena, veniva, nel 2016, interpellata dal Comune di Forlimpopoli, al fine di avanzare una proposta per l’affidamento della gestione del servizio della locale farmacia comunale, fino ad allora gestita mediante Azienda speciale comunale.
FACE Spa formalizzava, in risposta a detto interpello, la propria proposta, rendendosi disponibile all’approfondimento delle condizioni di affidamento e comunque alla partecipazione ad una eventuale procedura di evidenza pubblica per l’affidamento del servizio.
Nel silenzio del Comune di Forlimpopoli, FACE veniva a conoscenza, che il Comune di Forlimpopoli con delibera c.c. n. 51 del 19/12/2016 aveva deciso la revoca dell’affidamento del servizio alla Azienda Speciale e l’affidamento diretto del medesimo servizio a Forlifarma Spa, società costituita all’origine per la gestione delle farmacie comunali del Comune di Forlì, totalmente partecipata da Livia Tellus Holding Spa, quest’ultima a sua volta costituita e partecipata da numerosi enti locali del territorio, quale holding per la gestione in house di servizi pubblici locali, con assunzione da parte del Comune di Forlimpopoli di una partecipazione del 4%.
FACE, nella veste di operatore economico potenzialmente idoneo a gestire il servizio oggetto della deliberazione, riteneva tale scelta lesiva del proprio interesse e la impugnava dinanzi al TAR Emilia Romagna.
Il TAR Emilia ha ritenuto il ricorso di FACE inammissibile per carenza di interesse sulla base di due argomenti:
– l’insussistenza da parte del Comune di Forlimpopoli di un obbligo di affidamento mediante procedimento di evidenza pubblica;
– l’effetto “minore” della scelta gestoria operata, comportante, in concreto, il mero passaggio tra due forme di gestione diretta.
Ciò nonostante ha esaminato il “merito” delle censure e le ha giudicate infondate.
Avverso detta sentenza ha proposto appello FACE Spa.
Nel giudizio si è costituito il Comune di Forlimpopoli. Il medesimo ha eccepito il difetto di interesse per motivi ulteriori rispetto a quelli già vagliati in prime cure, e comunque ha insistito per la reiezione del gravame in quanto infondato.
Si sono altresì costituite la Livia Tellus Romagna Holding S.p.a., e la Forlifarma S.p.a. Anch’esse hanno eccepito il difetto di interesse dell’appellante e, nel merito, invocato la reiezione del ricorso.
Le parti hanno ulteriormente argomentato e approfondito le rispettive posizioni con memorie depositate in vista dell’udienza pubblica.
La causa è stata chiamata all’udienza del 30 gennaio 2020, e all’esito trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’odierna controversia concerne l’affidamento in house providing della gestione della farmacia comunale di Forlimpopoli. La scelta dell’in house è contestata da un società mista, la FACE Spa, odierna appellante.
2. L’amministrazione appellata e le società controinteressate eccepiscono innanzitutto il difetto di interesse a coltivare il gravame (eccezione asseritamente non vagliata in prime cure): nella tesi delle appellate, non avendo FACE Spa dimostrato che l’unica alternativa all’affidamento in house providing era costituita dall’affidamento della gestione del servizio mediante concessione a terzi – che rappresenta la sola modalità gestionale che avrebbe potuto consentire alla società ricorrente di partecipare ad una gara per conseguire l’affidamento della gestione del servizio – non potrebbe ritenersi sussistente, in capo alla predetta società, un effettivo interesse a ricorrere. Quand’anche, infatti, fosse annullata la deliberazione impugnata col ricorso introduttivo, l’amministrazione comunale avrebbe comunque potuto individuare un’altra forma di gestione, fra quelle contemplate dall’ art. 9, l. n. 475/1968, diversa dalla concessione a terzi.
3. Ritiene il Collegio che l’eccezione non sia fondata. La circostanza che l’amministrazione abbia a disposizione plurime possibilità di procedere, non elide l’interesse a ricorrere, che ben può essere un interesse “strumentale” alla riedizione dell’attività amministrativa con modalità che contemplino maggiori chance rispetto a quelle precedentemente e illegittimamente prescelte.
Com’è noto l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (applicabile al processo amministrativo anche per effetto del richiamo di cui all’art. 39 comma 1, c.p.a.), si compone di due elementi costitutivi, ovvero dell’esistenza di un attuale e concreto pregiudizio derivante alla parte dagli atti impugnati; e del profilo di utilità che la parte ricorrente potrebbe ricavare dall’eventuale accoglimento della domanda svolta in giudizio (Cons. Stato, sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5705). Sussiste interesse all’impugnativa di un atto, quindi, allorché l’atto medesimo abbia arrecato una lesione diretta, attuale e concreta alla sfera giuridica del destinatario, di tal ché l’accoglimento dell’impugnativa prefiguri un vantaggio pratico e concreto per il ricorrente.
3.1. Quanto alla figura dell’interesse strumentale, essa integra una variante del secondo dei due elementi costitutivi sopra richiamati, in quanto affianca all’interesse al conseguimento del c.d. bene o utilità “finale”, il perseguimento di un interesse “mediano” (connesso alla caducazione dell’intero procedimento e all’eventuale nuovo esercizio del potere), veicolante l’utilità gradata consistente nella chance di un esito favorevole del procedimento rinnovato. Ai fini della sussistenza dell’interesse a ricorrere, nella declinazione appena fattane, è sufficiente che la chance esista, non potendosi pretendere che essa oltrepassi anche una soglia di probabilità definita ex ante.
3.2. Nel caso di specie, anche a voler accedere alla tesi delle appellate, l’astratta disponibilità di altre opzioni gestorie non elide la concessione a terzi, indi tale modalità procedimentale, eventualmente possibile in caso di riedizione del potere, costituisce una chance per l’appellante, sufficiente a integrare l’interesse strumentale di cui si è detto.
4. Del pari infondata è l’ulteriore eccezione di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse, asseritamente scaturente dal nuovo affidamento in house del servizio a Forlifarma Spa (disposto nelle more del giudizio a seguito della scadenza, in data 31.12.2019, del primo affidamento), rimasto inoppugnato.
4.1. E’ evidente che, anche a prescindere dagli effetti conformativi di un’eventuale sentenza di accoglimento, comunque sopravvive un interesse risarcitorio sufficiente a sostenere l’interesse alla decisione finale.
5. Tanto premesso, può procedersi all’esame dei motivi d’appello.
5.1. Con il primo motivo l’appellante, muovendo dall’assunto che l’istituto dell’in house costituisca un’eccezione alla regola generale del ricorso al mercato, ne deduce, ex art. 192 del Codice dei contratti, un obbligo motivazionale rafforzato, asseritamente non adempiuto, nella specie, dall’amministrazione comunale, dal momento che tanto l’istruttoria quanto la motivazione poste a fondamento della delibera del Consiglio Comunale di Forlimpopoli, risulterebbero del tutto inidonee a dimostrare la convenienza di detta forma gestionale rispetto all’affidamento a terzi del servizio. Da ciò l’erroneità della sentenza gravata che si è invece pronunciata nei più radicali termini dell’inammissibilità di una siffatta censura per difetto di interesse.
5.2. Il motivo è infondato. La sentenza certamente contiene, nelle sue premesse, un’affermazione di inammissibilità, ma la stessa non è giunta a conformi conclusioni nel dispositivo, posto che il giudice di prime cure ha comunque deciso di esaminare nel merito le censure, alla fine respingendole in quanto infondate. E’ sul merito delle censure che quindi occorre concentrare la valutazione.
5.3. L’appellante, pur prendendo atto dei recenti pronunciamenti che hanno sollevato dinanzi alla Corte di Giustizia dubbi circa la compatibilità dell’art. 192, comma 2, D.lgs 50/2016 con la disciplina eurocomunitaria, ricorda che: a) la norma deve comunque intendersi pienamente applicabile; b) i sospetti di distonia di essa rispetto ai principi del diritto eurocomunitario devono del resto ritenersi superabili alla luce dell’insegnamento secondo il quale siffatte opzioni organizzative costituiscono scelta ampiamente discrezionale del legislatore medesimo, non sindacabile vieppiù nel caso di preferenza per il ricorso al mercato (cfr. Corte Costituzionale n. 325/2010 e 46/2013).
5.4. Il Collegio non dubita che la norma sia allo stato applicabile. Giova ricordare che l’art. 192, comma 2, del Codice degli appalti pubblici (d. lgs. n. 50 del 2016) impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni): a) la prima condizione consiste nell’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato. Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato ‘fallimento del mercato’ rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”, cui la società in house invece supplirebbe; b) la seconda condizione consiste nell’obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house (dimostrazione che non è invece necessario fornire in caso di altre forme di affidamento – con particolare riguardo all’affidamento tramite gare di appalto -). Anche qui la previsione dell’ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese.
Recentemente la V Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia il quesito “se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’articolo 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, decreto legislativo n. 50 del 2016) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto…..”, non mancando di spendere argomentazioni circa il basilare assunto logico secondo il quale “nessuno, ragionevolmente, si rivolge ad altri quando è in grado di provvedere, e meglio, da solo” (Cons. Stato, ord. 7 gennaio 2019, n. 138).
Ha tuttavia ragione l’appellante quando dice che la norma è ad oggi in vigore e che non vi è un contrasto così lampante e netto con norme vincolanti dell’ordinamento UE da imporne la immediata disapplicazione giudiziale.
5.5. Nel caso si specie, tuttavia, l’applicazione della norma non conduce ai risultati voluti dall’appellante. L’Amministrazione appellata infatti, non soltanto ha effettuato un’istruttoria, compiendo un’indagine di mercato al fine di verificare quali soluzioni gestionali sarebbero state in concreto possibili, ma ha anche valutato la proposta della società Forlifarma, comparandola con un benchmark di riferimento, risultante dalle condizioni praticate da altre società in house operanti nel territorio limitrofo. Segnatamente, ha dato atto dell’indisponibilità dei soggetti interpellati a fare un’offerta alle condizioni date; dell’assenza del direttore titolare della farmacia per maternità, nonché nelle intervenute dimissioni del direttore supplente, assunto con contratto a tempo determinato, della farmacia, dimissioni che avrebbero lasciato il posto scoperto con decorrenza dal 01.01.2017. Soprattutto, in ragione dell’urgenza di provvedere e del carattere temporaneo ed emergenziale della gestione, ha deliberato di affidare il servizio in house providing solo per tre anni, ossia un periodo estremamente ridotto rispetto a quello che avrebbe potuto mettere a gara in caso di ricorso al mercato.
Siffatto livello istruttorio e motivazionale, sembra al Collegio sufficiente, anche in considerazione del fatto che la pretesa di un maggior rigore istruttorio e motivazionale, persino in ipotesi di brevi affidamenti, esacerberebbe i dubbi circa l’applicabilità della norma citata, già tramutatisi nella rimessione alla Corte di Giustizia di cui si è sopra fatto cenno.
6. La società appellante ha poi riproposto in secondo grado l’originario secondo motivo del ricorso introduttivo di primo grado laddove, premesso che la gestione della farmacia comunale era stata affidata a un soggetto in house ritenendo soddisfatto il requisito del controllo analogo esercitato dal Comune di Forlimpopoli, rispettivamente, su Livia Tellus Romagna Holding S.p.A. e sulla società Forlifarma (cd. “in house frazionato” e “a cascata”) si osservava che la società Livia Tellus – essendo una società holding partecipata dal Comune di Forlì, quindi operante in misura prevalente fuori dalla circoscrizione territoriale del Comune di Forlimpopoli – non poteva farsi rientrare tra gli enti societari nei quali è consentito alle amministrazioni pubbliche di mantenere una partecipazione, ex art. 4, commi 1 e 2, d.lgs. 175/2016. In altri termini, in base alle citate disposizioni legislative, il Comune di Forlimpopoli avrebbe dovuto alienare la partecipazione detenuta in Livia Tellus Romagna Holding S.p.A., non essendo la medesima più consentita in seguito all’entrata in vigore del testo unico sulle società a partecipazione pubblica.
6.1. La doglianza è infondata. Deve precisarsi in fatto che il Comune di Forlimpopoli è socio della holding Livia Tellus Romagna, società in house costituita in origine dal Comune di Forlì e della quale sono poi diventati soci anche altri Comuni limitrofi a quello di Forlì (tra i quali appunto Forlimpopoli). Livia Tellus Holding Romagna controlla al 100% Forlifarma alla quale è stata affidata in house la gestione della farmacia del Comune di Forlimpopoli.
A differenza di quanto dedotto dall’appellante, non può sostenersi, sulla base dell’art. 4 del d.lgs. 175/2016, la sussistenza di un divieto per il comune di Forlimpopoli di partecipare ad una holding. Dall’art. 4 comma 5 del TUSPP si ricava, per converso, che le holding, purchè abbiamo come oggetto sociale esclusivo la gestione delle partecipazioni societarie di enti locali, possono acquisire (e mantenere) partecipazioni in altre società. La norma citata rimuove l’unico limite che era innanzi previsto, ossia quello riferibile alle società dei servizi c.d. strumentali oggi menzionate al comma 2, lettera d) del TUSPP.
7. Con ulteriore motivo, riproduttivo del quarto motivo dell’originario ricorso introduttivo, l’appellante deduce la violazione (e/o falsa applicazione) delle direttive europee 2014/23/UE e 2014/24/UE e dei rispettivi articoli 17 (della prima) e 12 (della seconda) e, più nello specifico, dell’art. 5 D. lgs. n. 50/2016 e dell’art. 16 D. lgs. n. 175/2016, ritenendo che il Comune di Forlimpopoli, in quanto titolare di una quota azionaria pari al 4,11% del capitale sociale di Livia Tellus Romagna Holding non possa esercitare un controllo analogo effettivo, congiuntamente agli altri Comuni soci, in ragione della posizione dominate del Comune di Forlì, titolare del 77,95% delle quote.
7.1. Anche quest’ultimo motivo è infondato. E’ pur vero che il Consiglio di Stato ha sottolineato come una partecipazione “pulviscolare” sia in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa in presenza di interessi potenzialmente contrastanti, e tuttavia ha al contempo chiarito che i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il “loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata” (si veda Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578).
Nel caso di specie la possibilità di esercizio, in modo coordinato e concordato del controllo analogo congiunto sulla società holding e sulle società da questa controllate, deriva dalla convenzione ex art. 30 t.u.e.l. intercorsa tra gli enti partecipanti, giusto quanto allegato dal Comune di Forlimpopoli.
8. Indi, in difetto di una prova contraria, la sola prospettazione del carattere “pulviscolare” della partecipazione non è in grado di incidere sulla tenuta e validità del modello in house concretamente adoperato.
9. In conclusione l’appello è respinto.
10. Avuto riguardo alla novità e peculiarità delle questioni e alle perduranti difficoltà esegetiche legate ai presupposti per il concreto utilizzo dell’in house providing, il Collegio ritiene comunque sussistano giuste ragioni per compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Marco Lipari, Presidente
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere
Umberto Maiello, Consigliere

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