tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
La sorvegliabilità degli esercizi pubblici: cosa succede se l’entrata di un locale è posta nell’androne di un palazzo
di Marilisa Bombi – Giornalista. Consulente attività economiche.
L’art. 1 (Sorvegliabilità esterna) D.M. 17 dicembre 1992, n. 564, Ministro dell’Interno (Regolamento concernente i criteri di sorvegliabilità dei locali adibiti a pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande) dispone, tra l’altro, che i locali devono avere caratteristiche costruttive tali da non impedire la sorvegliabilità delle vie d’accesso o d’uscita. La Polizia locale nell’ambito della sua attività di verifica della sussistenza dei requisiti prescritti accertava la carenza del requisito della sorvegliabilità poiché la medesima corte interna di accesso al locale commerciale consentiva anche l’accesso ad abitazioni civili, così rendendo difficile l’immediato controllo dalla pubblica via del locale per i profili di ordine e sicurezza. Situazione questa ammessa dallo stesso esercente il quale, tuttavia, aveva sostenuto che l’esistenza di ingressi distinti – al locale commerciale e alle abitazioni private – sia pure all’interno della medesima corte garantiva il requisito della sorvegliabilità potendo le forze pubbliche agevolmente controllare entrata e uscita degli avventori dal locale commerciale.
Il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 1395 depositata il 25 febbraio 2020 ha respinto tale tesi in quanto la disposizione regolamentare pone un limite preciso che non lascia dubbi interpretativi laddove stabilisce che gli ingressi “… non possono essere utilizzati per l’accesso ad abitazioni private”. In tal caso – ed è questo l’elemento decisivo che vale a superare ogni altro profilo – l’ “ingresso”, cui occorre aver riguardo per stabilire la sorvegliabilità del locale dall’esterno, è quello alla corte interna, o meglio, per come si evince chiaramente dalla documentazione fotografica, all’androne del palazzo, poiché esso dà accesso, in uno, all’andito delle scale delle abitazioni privati e alla soglia del locale commerciale. Ne segue che si è in presenza di un accesso comune al locale commerciale e agli appartamenti privati che, per sua conformazione, impedisce il controllo dalla pubblica via di coloro che entrano nell’androne, non essendo possibile stabilire, specialmente in presenza di portone chiuso, se diretti al locale commerciale ovvero alle abitazioni private. La V Sezione, in pratica, ha confermato la decisione del Giudice di primo grado che ha esattamente ricostruito in punto di fatto le modalità di accesso al locale commerciale e condiviso precedenti pronunce che hanno fissato il principio per il quale un corridoio o un cortile, che consentano anche gli accessi ad abitazioni civili, rendono carente il requisito della sorvegli abilità.
Per quanto riguarda l’intervento sanzionatorio della cessazione dell’attività, contestato dall’esercente in forza anche del fatto che quest’ultimo potrebbe essere ammesso soltanto nelle ipotesi in cui il pubblico esercizio perde i requisiti della sorvegliabilità, l’appellante aveva contestato la qualificazione del provvedimento impugnato adottato quale annullamento in autotutela ex art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990 per l’assenza di ogni accertamento relativo al vizio di legittimità del titolo abilitativo, come pure per la mancata indicazione delle ragioni di interesse pubblico e dell’interesse dei destinatari. In sostanza, nessun provvedimento inibitorio poteva essere assunto oltre il termine di sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. (ovvero dal sopralluogo della Polizia locale). Ma anche a tale proposito il Collegio ha confermato quanto aveva affermato il giudice di primo grado. Perché in tal senso depone, non solo l’espresso richiamo alla fonte normativa che impone l’obbligo della sorvegliabilità, ma specialmente la decisione di sospendere l’attività per un dato periodo di tempo al fine di consentire l’adozione di misure di ripristino, e non, invece, disporre l’immediato annullamento del titolo abilitativo. Occorre considerare, infatti, che dalla planimetria allegata alla s.c.i.a., versata in atti, era possibile trarre convincimento dell’esistenza del requisito della sorvegliabilità, come in precedenza descritto, alla luce della rappresentazione grafica dello spazio in cui era collocato il locale commerciale; il sopralluogo della Polizia locale, invece, ha accertato che la sistemazione dei locali era tale che non v’era possibilità di controllo dell’ingresso. V’è stata, dunque, nella vicenda sottoposta all’esame del Giudice amministrativo, una situazione in cui la condizione di sorvegliabilità risultava presente documentalmente, ma anche un seguito. Perché, al momento del sopralluogo della Polizia locale, la stessa ha accertato che non sussisteva la condizione di sorvegli abilità prescritta per questo tipo di attività.
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