L’ANAC SU ACCESSO CIVICO E TRASPARENZA
Di Arturo Bianco
Possibilità di rigetto delle istanze di accesso civico che determinano conseguenze negative per l’attività delle amministrazioni; coesistenza tra il diritto di accesso civico generalizzato e quello documentale di cui alla legge n. 241/1990, che è meno ampio ma più penetrante nei contenuti; opportunità/necessità che le amministrazioni si diano uno specifico regolamento. Sono queste le principali indicazioni contenute nella deliberazione Anac n. 1309 del 28 dicembre “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’articolo 5, comma 2, del D.Lgs. n. 333013, Art. 5- bis, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 14/03/2013 recante Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”. Superamento del piano per la trasparenza e, di norma, unificazione del relativo responsabile e di quello per la prevenzione della corruzione; modifica delle informazioni da pubblicare sul sito internet; abrogazione del vincolo per cui le informazioni una volta pubblicate per 5 anni dovevano andare in una pagina di archivio accessibile dall’esterno. Possono essere così riassunte le principali indicazioni contenute nella deliberazione Anac n. 1310 “Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/201.
L’ACCESSO CIVICO
Uno degli aspetti più delicati che derivano dalla entrata in vigore delle nuove regole è costituito dal rapporto tra il diritto di accesso generalizzato e quello disciplinato dalla legge n. 241/1990. La finalità dell’accesso previsto da tale disposizione “è quella di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari”. Esso “continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi”. L’accesso ex legge 241/1990 “può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti”, mentre “nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti) ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni”.
Con riferimento al rapporto tra questi due istituti, le linee guida Anac ci dicono che “laddove l’amministrazione, con riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso ex l. 241/1990, motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente riconosciute dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti”.
Il documento sollecita le amministrazioni alla adozione di uno specifico regolamento, che per la parte relativa all’accesso generalizzato dovrebbe “a) provvedere ad individuare gli uffici competenti a decidere sulle richieste di accesso generalizzato; b) provvedere a disciplinare la procedura per la valutazione caso per caso delle richieste di accesso”. In tale ambito si può valutare “la concentrazione della competenza a decidere sulle richieste di accesso in un unico ufficio (dotato di risorse professionali adeguate, che si specializzano nel tempo, accumulando know how ed esperienza), che, ai fini istruttori, dialoga con gli uffici che detengono i dati richiesti”.
Sono assoggettati ai vincoli dettati dal D.Lgs. n. 97/2016 in tema di accesso generalizzato i seguenti soggetti: “pubbliche amministrazioni (art. 2-bis, comma 1); enti pubblici economici, ordini professionali, società in controllo pubblico ed altri enti di diritto privato assimilati (art. 2- bis, comma 2); società in partecipazione pubblica ed altri enti di diritto privato assimilati (art. 2-bis, comma 3)”.
L’accesso riguarda documenti, dati ed informazioni. Viene evidenziato che i “dati esprimono un concetto informativo più ampio, da riferire al dato conoscitivo come tale, indipendentemente dal supporto fisico sui cui è incorporato e a prescindere dai vincoli derivanti dalle sue modalità di organizzazione e conservazione”. Occorre aggiungere che “non è ammissibile una richiesta meramente esplorativa, volta semplicemente a scoprire di quali informazioni l’amministrazione dispone”. Inoltre, per “informazioni si devono considerare le rielaborazione di dati detenuti dalle amministrazioni effettuate per propri fini contenuti in distinti documenti”; dal che ne deriva la conclusione che l’ente deve dare una risposta positiva alle richieste di accesso ad informazioni che sono in suo possesso, senza che ne derive per gli enti un vincolo ad elaborare i propri dati.
E’ molto importante la seguente indicazione operativa: “nei casi particolari in cui venga presentata una domanda di accesso per un numero manifestamente irragionevole di documenti, imponendo così un carico di lavoro tale da paralizzare, in modo molto sostanziale, il buon funzionamento dell’amministrazione, la stessa può ponderare, da un lato, l’interesse dell’accesso del pubblico ai documenti e, dall’altro, il carico di lavoro che ne deriverebbe, al fine di salvaguardare, in questi casi particolari e di stretta interpretazione, l’interesse ad un buon andamento dell’amministrazione”.
LE DISPOSIZIONI SULLA TRASPARENZA
Le pubbliche amministrazioni devono darsi un ”unico Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza in cui sia chiaramente identificata la sezione relativa alla trasparenza”. In tale ambito è stata rafforzata “la necessità che sia assicurato il coordinamento tra gli obiettivi strategici in materia di trasparenza contenuti nel PTPCT e gli obiettivi degli altri documenti di natura programmatica e strategico-gestionale dell’amministrazione nonché con il piano della performance. Ciò al fine di garantire la coerenza e l’effettiva sostenibilità degli obiettivi posti”. E’ stato inoltre chiarito come la sezione “sulla trasparenza debba essere impostata come atto organizzativo fondamentale dei flussi informativi necessari per garantire, all’interno di ogni ente, l’individuazione/l’elaborazione, la trasmissione e la pubblicazione dei dati”. Ed ancora occorre provvedere “all’indicazione dei nominativi dei soggetti responsabili della trasmissione dei dati, intesi quali uffici tenuti alla individuazione e/o alla elaborazione dei dati, e di quelli cui spetta la pubblicazione. In altre parole, in questa sezione del PTPCT non potrà mancare uno schema in cui, per ciascun obbligo, siano espressamente indicati i nominativi dei soggetti e gli uffici responsabili di ognuna delle citate attività”. Inoltre, “è opportuno che ogni amministrazione definisca, in relazione alla periodicità dell’aggiornamento fissato dalle norme, i termini entro i quali prevedere l’effettiva pubblicazione di ciascun dato nonché le modalità stabilite per la vigilanza ed il monitoraggio sull’attuazione degli obblighi”. E’ altresì “utile indicare nel PTPCT i casi in cui non è possibile pubblicare i dati previsti dalla normativa in quanto non pertinenti rispetto alle caratteristiche organizzative o funzionali dell’Amministrazione” .
Altro importante elemento di novità dettato dal legislatore è la previsione “che vi sia un unico Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT). Il RPCT dovrà pertanto occuparsi di svolgere la regia complessiva della predisposizione del PTPCT, in costante coordinamento con le strutture dell’amministrazione come indicato nel PNA 2016”. Di conseguenza “la possibilità di mantenere distinte le figure di RPCT e di RT va intesa in senso restrittivo: è possibile, cioè, laddove esistano obiettive difficoltà organizzative tali da giustificare la distinta attribuzione dei ruoli”.
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