tratto da entilocali-online.it
Tari: produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani
08Set, 2020 by Redazione
 
Nella Sentenza n. 8088 del 23 aprile 2020 della Corte di Cassazione, i Giudici di legittimità osservano che la Tari ha sostituito, con decorrenza dal 1° gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai Comuni di cittadini, Enti ed Imprese quale pagamento del “Servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti” (noti in precedenza con gli acronimi di “Tarsu” e, successivamente, di “Tia” e “Tares”), conservandone peraltro la medesima natura tributaria.
L’Imposta è dovuta, ai sensi della Legge n. 147/2014, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, mentre le deroghe indicate e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti.
Ai sensi dell’art. 1, comma 649, della Legge n. 147/2013, nella determinazione della superficie assoggettabile alla Tari non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della Tari, il Comune con proprio Regolamento può prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero.
Ciò premesso, estendendo alla Tari l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di Tarsu, con riguardo all’art. 62, comma 3, del Dlgs. n. 507/1993, la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, salva l’applicazione sulla stessa di un “coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi” e chiaramente presuppone l’assoggettamento all’imposta dei soli rifiuti urbani e salvo il diritto ad una riduzione della tassa in caso di produzione di rifiuti assimilati “smaltiti in proprio”. In tale materia grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione, atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, esso non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l’esenzione, costituendo questa, un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale.
Per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili. Resta fermo l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi. Ebbene, l’esenzione prevista dalla legge di stabilità riguarda in primo luogo solo le aree accessorie ai locali tassabili (balconi, terrazzi) e non anche quelle accessorie alle aree esenti perché produttive di rifiuti speciali. Queste aree possono ritenersi esenti solo in quanto aree funzionalmente ed esclusivamente collegate all’esercizio dell’attività produttiva e comunque produttive di rifiuti speciali.
Nello specifico, il caso di specie riguarda la tassabilità ai fini di autorimesse e magazzini ritenuti esenti da imposta, perché produttivi di soli imballaggi terziari, che la contribuente deduce di avviare al recupero a proprie cure e spese (mediante l’ausilio di Società private autorizzate).
La Suprema Corte, dall’esame del Dlgs. n. 22/1997, ricava che i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione” (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento). Ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale. Ne deriva che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai Comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del Dlgs. n. 22/1997 e dalla successiva abrogazione dell’art. 39 della Legge n. 146/1994 da parte dell’art. 17 della Legge n. 128/1998, ed i Regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal Giudice tributario.
In ogni caso, trattandosi nella specie di imballaggi terziari, si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali (art. 62, comma 3, del Dlgs. n. 507/1993), e la Tassa è esclusa per la sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali. Quindi, ciò non comporta che tali categorie di rifiuti (imballaggi terziari) siano di per sé esenti dalla Tari, ma che ad esse si applichi la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dall’art. 62, comma 3, del Dlgs. n. 507/1997, il quale rapporta la Tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendone l’esclusione della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali.
Dunque, nel caso di specie, il Giudice di appello è incorso in violazione di legge nell’affermare che la contribuente andava esente dalla applicazione della Tari a norma dell’art. 1, comma 649, della Legge n. 14/2013, in quanto la contribuente provvedeva in proprio allo smaltimento dei rifiuti terziari, dovendo affermarsi invece che non è ammissibile l’esclusione della superficie delle autorimesse e dei magazzini con riferimento al computo della parte fissa della Tassa in questione, trattandosi di superficie potenzialmente idonea alla produzione di rifiuti urbani, e ciò a prescindere dalla mancata produzione in concreto degli stessi e dalla mancata fruizione del servizio pubblico ad essi dedicato e che, viceversa, è ammissibile l’esclusione del versamento della parte variabile ogniqualvolta in cui il contribuente sia in grado di dimostrare la mancata produzione su quella determinata superficie di rifiuti conferibili a smaltimento o la produzione esclusiva di rifiuti speciali, non assimilati o assimilabili.
I Giudici cassano la Sentenza impugnata in rinvia alla Ctr per la decisione. La Ctr procederà, sulla base dei documenti prodotti o producibili, alle necessarie verifiche, valutando se la contribuente abbia o meno assolto gli oneri di informazione e di prova su di essa incombenti per l’ottenimento dell’esenzione parziale sulle aree destinate ad autorimesse e magazzini.

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