09/02/2017 – L’equivalenza delle mansioni deve essere verificata solo all’interno del contratto collettivo e non con le funzioni svolte in precedenza dal dipendente pubblico

L’equivalenza delle mansioni deve essere verificata solo all’interno del contratto collettivo e non con le funzioni svolte in precedenza dal dipendente pubblico
di Vincenzo Giannotti – Dirigente del Settore Gestione Risorse (Umane e Finanziarie) del Comune di Frosinone

 

A seguito della ristrutturazione dei servizi e degli uffici da parte di un ente locale, al settore della Polizia Locale era confluito anche l’ufficio statistico, tanto che nell’attribuzione delle relative responsabilità al comandante della Polizia Locale era stata attribuita la responsabilità del solo ufficio confluito, perdendo la qualifica di comandante acquisita nel precedente settore di provenienza. Sia il Tribunale di prime cure che la Corte di Appello, hanno ravvisato la violazione dell’art. 52, D.Lgs. n. 165 del 2001, osservando che, una volta ritenuto, sulla base dell’indagine effettuata, che le mansioni di responsabile del servizio statistica siano inferiori a quelle di comandante di polizia municipale, perché quantitativamente assai limitate (anche in ragione del numero degli abitanti del comune), ripetitive, non implicanti controllo o coordinamento di sottoposti, non necessitanti l’utilizzo del bagaglio professionale acquisito, il demansionamento è provato nel giudizio.

Avverso la citata decisione ricorre il Comune in Cassazione affidandosi ad un solo articolato motivo riguardante l’equivalenza delle mansioni, ai sensi del citato art. 52 TUPI, la conformità dell’avvicendamento alle disposizioni del contratto collettivo di riferimento (art. 3 comma 2 del CCNL del Comparto Regioni e Autonomie Locali), e il rispetto dell’art. 2103 c.c..

Le motivazioni della Suprema Corte

Evidenzia in via preliminare la Suprema Corte come la devoluzione delle controversie al giudice ordinario, non ha eliminato la perdurante particolarità del datore di lavoro pubblico che, pur munito nella gestione degli strumenti tipici del rapporto di lavoro privato, per ciò che riguarda l’organizzazione del lavoro resta pur sempre condizionato da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale. Le stesse disposizioni di legge (art. 52, D.Lgs. n. 165 del 2001) hanno sancito il diritto del dipendente ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi. Così operando il legislatore ha demandato alla sola contrattazione collettiva il concetto di equivalenza “formale” delle mansioni del pubblico dipendente, che non può essere sindacata da parte del giudice ordinario. Ne segue che, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., evidentemente ritenendosi che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico (cfr. Cass. Civ. n. 11835 del 2009).

D’altra parte, evidenziano gli Ermellini, tale equivalenza in senso formale è contenuta nelle disposizioni di cui all’art. 3, comma 2 del CCNL del Comparto Regioni e Autonomie Locali, che viene in applicazione nella specie, prevede che “Ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili, l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro“. I tale disposizione resta comunque salva, l’ipotesi che la destinazione ad altre mansioni abbia comportato il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa. Trattasi di questione che, tuttavia, giova rimarcare, esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego.

Nel caso di specie, concludono i giudici di Palazzo Cavour, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto, errando nel ritenere, sulla base di una verifica in senso sostanziale dell’equivalenza, che il bagaglio professionale acquisito dal dipendente radicasse il suo diritto a permanere nelle medesime funzioni. Ha così omesso di valutare se, nel nuovo assetto organizzativo adottato dal Comune la fungibilità fosse giustificata dalla equivalenza delle nuove mansioni riconducibili ai profili propri della categoria D.

Conclusioni

La Suprema Corte a fronte della mancata verifica circa la corrispondenza delle funzioni ascrivibili alla categoria D con quelle attribuite dal Comune all’ex comandante della Polizia Locale, rinvia la causa alla Corte territoriale, in diversa composizione, al fine di stabilire se la posizione organizzativa successivamente attribuita al Comandante della Polizia Locale in qualità di responsabile dell’ufficio statistica e le mansioni assegnate fossero riconducibili, per contenuto professionale e livello di responsabilità, ai profili propri della categoria D, di inquadramento del dipendente e ciò a prescindere dalle funzioni precedentemente svolte dal citato dipendente.

Cass. Civ, Sez. Lavoro, 27 gennaio 2016, n. 2140

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