tratto da luigioliveri.blogspot.it
Province: il populismo senza fine di M5S e dei media generalisti
Verrebbe da chiedersi, dopo l’esito del re referendum del 4 dicembre 2016, come sia possibile ancora di parlare di province e di legge Delrio nei modi e toni che propongono M5S e larga parte della stampa. Toni, ancora, del tipo “enti inutili”, “enti da abolire”, “fantasmi che battono cassa”.
Chi scrive non ha il minimo dubbio: se si fosse approvata una legge costituzionale solo rivolta alla cancellazione delle province dalla Costituzione, il Parlamento l’avrebbe approvata al volo, con una maggioranza ben superiore ai 2/3 richiesta dalla Costituzione e non vi sarebbe stato nemmeno bisogno di referendum; ma, se i cittadini fossero stati coinvolti, sicuramente avrebbero detto sì alla “abolizione” (in realtà la Costituzione non può abolire nessun ente, ma solo non prevederlo più; per un’abolizione vera e propria occorrono, poi, leggi di riordino), tanto profondo, forte e lungo almeno 10 anni è il tambureggiamento della stampa.
Ma, per cosa? Su Il Tempo dell’8 gennaio 2017 leggiamo, per una volta, nell’articolo “Oggi si vota per le Province «fantasma»” una dimensione realistica delle cose: “Nel 2014 la spesa pubblica italiana è stata di 827.175 milioni di euro, di cui 592.521 milioni di euro (pari al 71,63%) dello Stato centrale, 159.943 milioni di euro (il 19,34%) delle Regioni, 65.776 milioni di euro (pari al 7,95%) dei Comuni. E le Province? Incidono solo per 1’1,08% sulla spesa pubblica, precisamente per 8.935 milioni di euro. Le competenze poi sono rimaste intatte. Tanto per fare due esempi: le strade provinciali rappresentano 111.514 chilometri su circa 155 mila chilometri di rete statale complessiva. Le Province italiane poi si occupano di oltre cinquemila plessi scolastici su circa 20 mila totali”.
Nella stessa data, Il Corriere della Sera nell’articolo “Le Province al voto battono cassa: «Ora un miliardo»” precisa meglio il dato finanziario: “La loro spesa corrente è scesa da 7,5 miliardi nel 2013 a 4,8 nel 2016”.
Controlliamo sul sito del Siope, la banca dati del Mef che registra tutti i pagamenti:
Criteri di aggregazione
Categoria Province – Comuni – Citta’ metropolitane – Unioni di Comuni
Sotto Categoria PROVINCE
Circoscrizione
Regione
Provincia
Fascia Popolazione
Periodo ANNUALE 2016
Prospetto PAGAMENTI
Tipo Report Semplice
Data ultimo aggiornamento 29-dic-2016
Data stampa 08-gen-2017
Importi in EURO
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(I dati sono incompleti)
Importo nel periodo |
(I dati sono incompleti)
Importo a tutto il periodo |
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TITOLO 1O: SPESE CORRENTI
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4.638.438.008,32
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4.638.438.008,32
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TITOLO 2O: SPESE IN CONTO CAPITALE
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1.010.065.004,89
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1.010.065.004,89
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TITOLO 3O: SPESE PER RIMBORSO DI PRESTITI
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328.046.138,51
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328.046.138,51
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TITOLO 4O: SPESE DA SERVIZI PER CONTO DI TERZI
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885.407.765,13
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885.407.765,13
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PAGAMENTI DA REGOLARIZZARE
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431.693.884,51
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431.693.884,51
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TOTALE PAGAMENTI
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7.293.650.801,36
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7.293.650.801,36
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Guardiamo gli stessi dati, riferiti al 2013:
(I dati sono incompleti)
Importo nel periodo |
(I dati sono incompleti)
Importo a tutto il periodo |
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TITOLO 1O: SPESE CORRENTI
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7.617.896.560,61
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7.617.896.560,61
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TITOLO 2O: SPESE IN CONTO CAPITALE
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2.732.765.428,96
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2.732.765.428,96
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TITOLO 3O: SPESE PER RIMBORSO DI PRESTITI
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1.067.434.261,60
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1.067.434.261,60
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TITOLO 4O: SPESE DA SERVIZI PER CONTO DI TERZI
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792.098.849,74
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792.098.849,74
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PAGAMENTI DA REGOLARIZZARE
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114.204.195,92
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114.204.195,92
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TOTALE PAGAMENTI
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12.324.399.296,83
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12.324.399.296,83
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Dal 2013 al 2016 si assiste, dunque, ad una riduzione complessiva della spesa delle province di 5.030.748.495,47 miliardi, pari al 40,82%! Non solo: la spesa corrente è crollata di 3 miliardi e quella in conto capitale dimezzata. Il tutto, per una voce di spesa del bilancio pubblico dell’1%.
Immaginiamo se la spesa pubblica dello Stato fosse stata ridotta del 40%: si vivrebbe in un altro film, anzi, in un’altra dimensione.
Invece, il populismo imperante, che non è solo all’opposizione ma ben presente e da anni nei vari governi, ha concentrato tutta l’attenzione su un aggregato di spesa di infima portata, suscitando, però, disagi non tanto agli enti province, ormai vicine al dissesto, ma ai cittadini: gli studenti delle scuole superiori privati di manutenzione e arredi; gli automobilisti costretti a percorrere l’immensa rete stradale divenuta un colabrodo; i disabili della vista e dell’udito privati del sostegno allo studio e tutti gli altri disabili privati del servizio di accompagnamento verso le scuole, solo per fare un esempio.
Il tutto, per altro, senza il minimo beneficio finanziario, né per le casse dello Stato, né per i cittadini. Infatti, la spesa pubblica ha continuato ad aumentare, mentre le imposte provinciali e complessive non si sono ridotte.
Il perché è semplicissimo: la sciagurata legge 190/2014, nel tentativo di forzare la riforma Delrio, ha imposto alle province di versare al bilancio dello Stato un mare di soldi, come scriviamo ormai da anni. La cosa ancora ai giornali non è chiara. Sempre il Corriere della sera scrive: “In seguito alla riforma Deirio, la Finanziaria 2015, la prima del governo Renzi, stabilì un taglio di un miliardo (750 milioni a carico delle Province e 250 delle Città metropolitane), cui si aggiungeva un altro miliardo nel 2016 e un altro ancora nel 2017”. Ma non si tratta affatto di “tagli”, cioè riduzioni della spesa. Le province continuano a riscuotere tutte le imposte, ma debbono versarne fino a 3 miliardi allo Stato, che poi li spende per propri fini: una vera e propria espropriazione delle tasse dei cittadini. Evidentemente, nessuno dei giornalisti della stampa generalista ha letto l’articolo 1, comma 418, della legge 190/2014: “Le province e le città metropolitane concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l’anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l’anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della Regione siciliana e della regione Sardegna, ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa”.
Vista la realtà dei dati, desta quasi tenerezza la dichiarazione rilasciata al Corriere Veneto sempre dell’8 gennaio 2017, nell’articolo “Consiglio provinciale, è il giorno del voto Il gran rifiuto dei grillini: «È una farsa»” dal consigliere regionale veneto Manuel Brusco, che nel ricordare come M5S sia sempre stato a favore “di una reale abolizione delle Province, tante volte promessa da Matteo Renzi che invece, con le norme bocciate dal referendum, prevedeva in pratica di cambiarne solamente il nome, trasformandole in Aree Vaste”, si doglie del fatto che “la Regione Veneto prevede anche quest’anno una spesa, o meglio uno spreco, di 40 milioni per il loro funzionamento”.
Uno spreco? Ma, si rendono conto i cantori dell’abolizione delle province che se sparisce l’ente, le funzioni che svolge qualcun altro le dovrà comunque svolgere. I 40 milioni citati sono necessari per lo svolgimento di attività di istruzione nei centri di formazione professionale, per assicurare il trasporto a scuola dei disabili, per gestire le attività del turismo, per finanziare per un terzo le funzioni del mercato del lavoro, per la realizzazione della rete dei servizi di protezione civile locale, per l’agricoltura e per il sostegno scolastico ai disabili sensoriali. E nemmeno sono sufficienti.
E’ davvero convinto M5S e chiunque pensi che i problemi ordinamentali, organizzativi ed istituzionali si risolvano con “l’abolizione”, la sola opera demolitoria, che basti eliminare un ente, per risparmiare denari? Non dovrebbe, chi svolge attività politica e di amministrazione, partire dalla prospettiva completamente diversa di guardare a quali servizi e funzioni vengono svolti, a beneficio di chi e con quali spese? Evidentemente la sentenza 275/2016 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge della regione Calabria volta a limitare al 50% il finanziamento della spesa proprio per il trasporto dei disabili verso le scuole di competenza provinciale, sancendo che ragioni di bilancio non possono e non devono conculcare diritti dei cittadini, non ha insegnato nulla. Né alla “vecchia”, né alla “nuova” politica.
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