tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Impianti eolici e valutazione di impatto ambientale
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Nella sentenza in esame il Consiglio di tato (adito per la riforma della sentenza del T.A.R. la Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 1599/2017 resa in materia di allocazione di un impianto eolico) ha modo di soffermarsi sulla valutazione d’impatto ambientale ex art. 6, comma 6 ed All. III, lett. c-bis, D.Lgs. n. 152/2006 che (nel testo vigente ratione temporis) disponeva detta valutazione solo per gli «impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma, con procedimento nel quale è prevista la partecipazione obbligatoria del rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali».
Completato il quadro normativo di riferimento alla luce del D.M. 10 settembre 2010, Sviluppo Economico, osserva il Collegio di Palazzo Spada come il Ministero per i beni e le attività culturali partecipi al procedimento autorizzativo degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza nominale inferiore ad 1 MW quando l’area su cui questi debbano essere realizzati sia vincolata, ovvero quando l’impianto sorga comunque «in aree contermini a quelle sottoposte a tutela».
Si consideri come la valutazione di impatto ambientale, secondo la disciplina contenuta nell’art. 26D.Lgs. n. 152/2006, non è un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, bensì un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo, con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati (Cons. Stato, sez. IV, 10 febbraio 2017, n. 575).
La valutazione di impatto ambientale non si sostanzia dunque in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale di un’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla c.d. opzione – zero (T.A.R. Marche, Ancona, sez. I, 4 marzo 2019, n. 139).
Circa l’esatta individuazione della natura del potere esercitato dall’amministrazione in sede di VIA, in quanto istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente inteso in senso ampio, l’insegnamento cui è pervenuta la recente giurisprudenza (internazionale e nazionale), è nel senso di affermare la natura ampiamente discrezionale delle scelte effettuate, giustificate alla luce dei valori primari ed assoluti coinvolti (Cons. Stato, sez. II, 2 ottobre 2014, n. 3938; Cons. Stato, sez. IV , 9 gennaio 2014, n. 36Corte giust., 25 luglio 2008, c-142/07Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367).
Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, dunque, l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che – come detto – non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo.
Di conseguenza, le posizioni soggettive delle persone e degli enti coinvolti nella procedura sono pacificamente qualificabili in termini di interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le relative controversie non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito sancite dall’art. 134D.Lgs. n. 104/2010.
In ragione di tali particolari profili che caratterizzano il giudizio di valutazione di impatto ambientale si ritiene, in giurisprudenza, che la relativa valutazione di legittimità giudiziale, escludendo in maniera assoluta il carattere sostitutivo della stessa, debba essere limitata ad evidenziare la sussistenza di vizi rilevabili ictu oculi, a causa della loro abnormità, irragionevolezza, contraddittorietà e superficialità.
Vuol dirsi, cioè, che il giudizio di compatibilità ambientale quand’anche reso sulla base di criteri oggettivi di misurazione, pienamente esposti al sindacato del Giudice Amministrativo, è attraversato, come anticipato, da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera, con la conseguenza che le scelte effettuate dall’Amministrazione si sottraggono al sindacato del G.A. ogniqualvolta le medesime non si appalesino come manifestamente illogiche o incongrue (Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392).
Ne consegue (v.: Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 2012, nn. 2312 e 2313; Corte Cost., 3 marzo 2011, n. 175; Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 871) che:
a) la sostituzione, da parte del G.A., della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce un’ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla P.A., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto;
b) in base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure;
c) conseguentemente, il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali:
1) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti;
2) non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa;
3) può disporre c.t.u. o verificazione al fine di esercitare più penetranti controlli, con particolare riguardo ai profili accertativi.
In tema si vedano ancora i seguenti contributi della giurisprudenza:
– «ogni trasformazione del territorio implica, a cura dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, un giudizio di compatibilità del nuovo assetto che si vorrebbe realizzare con i valori che esso intende proteggere, teso a verificare se ed in quale misura le ulteriori opere vadano ad incidere sul contesto paesistico-ambientale.
In materia di impianti eolici, in particolare, l’esigenza di siffatta tutela è stata trasfusa normativamente nelle Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, approvate con il D.M. 10 settembre 2010, che, alla parte III, punto 14.9., lettera c) prevede, a presidio di siffatta tutela, la partecipazione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo al procedimento finalizzato all’adozione dell’A.U. e il potere di esprimere il proprio dissenso “qualificato” qualora l’area interessata dall’opera eolica insista su un bene direttamente tutelato.
Se è indubbio, infatti, che l’incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia valutato con favore dal legislatore comunitario e da quello nazionale, è, tuttavia, altrettanto evidente che le direttive di settore e la normativa interna fanno salvo l’esercizio di poteri pubblicistici ad alto tasso di discrezionalità, da parte dello Stato e dei suoi organi periferici, specialmente in vista del contemperamento tra progettazione di nuove infrastrutture ed esigenze di tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ordinato assetto del territorio» (T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 20 giugno 2019, n. 854);
– «il Collegio non può che osservare come, nella specie, l’amministrazione sia chiamata a valutare ed apprezzare – nell’ambito dell’ampia discrezionalità che connota il giudizio di compatibilità ambientale – la circostanza che l’impianto proposto dalla ricorrente si aggiunge a quattro pale eoliche in parte già realizzate, in parte in corso di realizzazione nelle vicinanze. In tutta evidenza, l’ulteriore antropizzazione di un’area con la realizzazione di impianti eolici non può tradursi in una sorta di liberalizzazione di tale tipo di intervento nella medesima zona, pur nel rispetto dei limiti quantitativi limiti stabiliti dal PEAR» (T.A.R. Marche, Ancona, sez. I, 4 marzo 2019, n. 139).

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