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Sugli incarichi a contratto condannate le scelte discrezionali di amministratori e funzionari

di Michele Nico

La pubblica amministrazione deve svolgere le sue funzioni con la propria organizzazione e il relativo personale, di modo che il ricorso a rapporti di collaborazione con soggetti esterni è consentito solo in casi straordinari, ai quali non è possibile sopperire con la struttura burocratica esistente.

Da tempo, e con una certa frequenza, la magistratura contabile pronuncia condanne a carico di amministratori e funzionari degli enti locali che contravvengono a tale principio generale, declinato nelle varie forme.

La sentenza 

Nella sentenza n. 142/2015 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, condanna per danno erariale il sindaco e alcuni assessori, nonché il segretario comunale e il responsabile del servizio finanziario per il conferimento di incarichi approvati dalla giunta in spregio a una corretta gestione del personale, e, segnatamente, in violazione di quanto disposto dall’articolo 110 del Tuel, secondo cui in determinate circostanze la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, può avvenire mediante contratto a tempo determinato.

Le regole generali 

A questo riguardo il collegio puntualizza alcune regole di condotta utili per l’esercizio dell’azione amministrativa, e che vale ora la pena di richiamare.

L’analisi della Corte ricollega, innanzitutto, il conferimento degli incarichi disciplinato dal suddetto articolo 110 ai canoni di legittimità, imparzialità e buon andamento della Pa (articolo 97 della Costituzione), con l’effetto di arginare sensibilmente il carattere fiduciario e discrezionale nella scelta dei soggetti individuati.

In conseguenza di ciò «è indispensabile che le amministrazioni assumano la relativa determinazione con una trasparente ed oggettiva valutazione della professionalità del soggetto affidatario che non può basarsi su valutazioni meramente soggettive, ma deve essere ancorata quanto più possibile a circostanze oggettive».

La necessità che gli enti si dotino di un adeguato sistema di criteri per l’affidamento e la revoca degli incarichi trova peraltro un’autorevole conferma nella costante giurisprudenza della Corte costituzionale (decisioni n. 103 e 104/2007; n. 161/2008), che ha nettamente escluso la legittimità del ricorso a una «dirigenza di fiducia».

Nella sentenza in commento, gli amministratori e i funzionari dell’ente sono infatti condannati dalla Sezione lombarda per aver avallato il conferimento di un incarico dirigenziale senza avere preventivamente fissato i criteri per la selezione e valutazione dei curricula dei potenziali aspiranti, né adottato adeguate misure di pubblicità, ma effettuando la scelta sulla base di una valutazione discrezionale.

Una scelta eseguita con tali modalità non trova la benché minima giustificazione, tant’è che in rapporto ad essa il collegio ravvisa il connotato della colpa grave nella condotta dei convenuti, alla luce dell’inequivocabile normativa vigente e della giurisprudenza ormai consolidata in materia.

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