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Trasparenza con mille adempimenti per le Pa, pochi risultati per i cittadini

di Sergio Talamo

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Un’indagine dell’Osservatorio socialis, realizzata lo scorso autunno 2014 in partnership con l’istituto Ixe e presentata all’ultimo ForumPA, dà un volto alla «trasparenza senza cittadini». La sua sagoma, delineata da tempo, era formata da un accumulo di dati senza preoccuparsi dell’interesse, e quindi del concreto utilizzo, da parte degli utenti.

Il Dlgs 33/2013, infatti, prevede a carico del responsabile della trasparenza mille oneri, ma non quello di verificare se i suoi sforzi abbiano un reale impatto sulla popolazione. Un paradosso che ha portato alcuni a definire il Dlgs 33/2013 non una legge sulla trasparenza, ma “sugli oneri di pubblicazione” (ben 271, sono stati anche contati).

Dall’indagine, presentata in un incontro promosso dall’Inail, emergono indicazioni molto interessanti: le correzioni di rotta basate sul feedback degli utenti, infatti, sono un potenziale toccasana nel difficile rapporto fra sistema pubblico e cittadini. L’indagine è stata rivolta ad un campione rappresentativo della popolazione, con gli intuibili diversi riscontri in base all’alta scolarizzazione ed alla giovane età, fasce che evidenziano una maggiore attitudine all’impiego della rete. Fra i dati di natura geografica si segnala che l’area del Paese più attenta a questi temi è il nord-est.

I punti chiave 

Il primo dato, che per certi versi riassume tutti gli altri, dice che nell’ultimo anno il 72% degli italiani o non ha percepito alcun cambiamento in tema di trasparenza della PA (44%) o ha addirittura visto un peggioramento (28%). In sostanza meno di uno su quattro (23%) promuove la svolta cui l’amministrazione italiana è impegnata perlomeno dal 2009 (legge 69 e decreto 150). Altro punto chiave: secondo gli intervistati, i primi obiettivi della trasparenza sono tutti incentrati sulla questione morale. Trasparenza, quindi, come “freno anticorruzione” (43%) o come antidoto alle raccomandazioni (26%). Un altro 22% si avvicina di più al principio del “controllo diffuso” previsto dall’articolo 1 del Dlgs 33. Gli italiani, quindi, non sembrano considerare la PA trasparente come una PA più efficiente: mirano quasi soltanto alla funzione di audit anticorruzione, certamente preziosa ma non esaustiva. Gli obiettivi di performance, che pure sono al centro della legislazione italiana, non sono dal cittadino collegati alla trasparenza se non in minima parte: “miglioramento della qualità dei servizi” per il 19%, “aumento dell’efficienza delle PA” per il 14%, rapidità dei processi (appalti, assegnazioni, concorsi) per il 12%. Fanalino di coda (9%) “la valutazione di dirigenti e funzionari pubblici”. Si evidenzia un sostanziale fallimento della trasparenza intesa come accountability, nonostante i numerosi richiami che a questa funzione vengono fatti dalle norme, dalle circolari e dalle direttive.

L’accesso civico 

Coerente con tale esito è il netto flop del “controllo diffuso” nella sua forma pratica disegnata dalla legge, cioè l’“accesso civico”. “Il diritto di chiunque di richiedere in modo gratuito i documenti, le informazioni o i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria secondo le norme vigenti” è letteralmente sconosciuto all’85% degli intervistati; “ne ha sentito parlare” solo il 15%. Se le domande si fossero addentrate nell’effettivo uso dello strumento, avremmo probabilmente raggiunto percentuali da prefisso telefonico: per l’appunto, i “professionisti dell’accesso civico” ben noti ai responsabili trasparenza.  Ma il flop dell’accesso civico non è certamente una bocciatura delle sue ragioni: è infatti ritenuto “molto” o “abbastanza utile” dall’82% dei cittadini! E’ il chiaro segno di un paradosso tipico del nostro Paese: le intuizioni più illuminate finiscono nel cestino per scarsa o nulla manutenzione…  

La customer satisfaction 

Nei manuali si definisce la customer satisfaction come la sintesi fra aspettative e qualità percepita. Si può desumere che il livello di customer della “trasparenza reale”, cioè quella effettivamente applicata dalle PA italiane, sia particolarmente basso. Ma se vogliamo raddrizzare un percorso di apertura che è comunque salutare e soprattutto irreversibile, dobbiamo porci la domanda finora elusa: quali sono le informazioni che i cittadini realmente desiderano perché le considerano importanti per la loro vita quotidiana? In altre parole, in cosa consiste “la trasparenza utile” di cui parla il ministro Marianna Madia? Su questo decisivo punto, la rilevazione di Socialis fornisce risposte interessantissime.

La prima esigenza è di gran lunga quella di sapere “come vengono spese le risorse pubbliche”, subito seguita dalla conoscenza dei bilanci delle PA (non è specificato, ma s’intende che tali dati devono essere accessibili e comprensibili da tutti). È un’esplicita richiesta di trasparenza orientata all’efficienza ed alla qualità dei servizi, in opposizione agli sprechi che sono invece favoriti dall’opacità. Interessante notare che i dati su stipendi e compensi degli amministratori sono ritenuti dai cittadini rilevanti ma non certo fondamentali, per non parlare delle famose “consulenze”, che appaiono più l’ossessione di un certo voyeurismo mediatico che l’oggetto di una vera attesa sociale.

A completare l’indagine Socialis-Ixe un dato che emerge come una solenne invocazione di partecipazione civica: il 76% dei cittadini ritiene importante “poter esprimere le sue opinioni o valutazioni e le sue proposte migliorative” per la PA. Eppure, ben il 60% non è andato neppure una sola volta in un anno in un sito pubblico; dato che si aggiunge a quello del recente dossier di Confartigianato, secondo cui l’Italia è al terzultimo posto in Europa riguardo all’uso dei servizi on line.

Fra tante informazioni preziose che emergono dall’indagine dell’Osservatorio Socialis, una spicca sulle alte: la necessità di renderla permanente. Nell’era della comunicazione a due vie, e della conquistata centralità del cittadino (nei social, ad esempio) non possiamo rinunciare all’interrogazione stabile ed approfondita degli utenti, e a rendere tale riscontro decisivo per reindirizzare le norme e gli adempimenti. Già, perché non la nuova “burocrazia dei dati” ma solo la PA utile può riavviare il circolo virtuoso della fiducia fra Stato e cittadini.

 

 

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