tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Sulla natura giuridica del provvedimento di sospensione dei lavori edili in corso
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Il Consiglio di Stato (adito per la riforma della sentenza breve del T.A.R. Lazio, Roma, n. 8970 del 2018) si sofferma sulla corretta esegesi dell’art. 27, D.P.R. n. 380 del 2001, che attribuisce al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale il potere dovere di vigilare, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale, al fine di assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
In particolare avuto riguardo al potere di sospensione dei lavori edili in corso, che il Comune può esercitare ex art. 27, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 cit., si precisa come esso abbia natura cautelare, in quanto finalizzato ad evitare che la prosecuzione dei lavori comporti un aggravio del danno urbanistico, e dalla natura interinale e provvisoria del provvedimento consegue che, allo spirare del termine di 45 giorni dalla sua adozione, se l’amministrazione non ha emanato alcun provvedimento sanzionatorio definitivo, l’ordine de quo perde ogni efficacia.
La citata disposizione del T.U. dell’Edilizia prevede che: «l’ordine di immediata sospensione dei lavori ha effetto fino all’adozione dei provvedimenti definitivi, di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro 45 giorni dall’ordine di sospensione dei lavori».
Orbene, precisa l’adito Collegio di Palazzo Spada, come il menzionato termine (di 45 giorni), fissato dalla norma in esame, debba intendersi quale termine di efficacia dell’ordine e non già quale termine perentorio entro il quale l’Amministrazione è tenuta emettere l’ordine di demolizione (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 24 gennaio 2017, n. 173; T.A.R. Umbria, sez. I, 23 ottobre 2014, n. 516).
Da ultimo in tal senso: «il decorso del termine di quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori di cui all’art. 27, comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (il quale prevede che “(…) qualora sia constatata, dai competenti uffici comunali d’ufficio o su denuncia dei cittadini, l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, ordina l’immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all’ adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori”) fa solo cessare l’efficacia del provvedimento di sospensione dei lavori, avente funzione cautelare, oltreché di comunicazione di avvio del procedimento, senza incidere sulla validità dei provvedimenti definitivi successivi, ivi inclusa l’ordinanza di demolizione (in questo senso, ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I quater, 25 luglio 2014, n. 8233; T.A.R. Puglia, Lecce, III, 25 giugno 2018, n. 1062, cit.)» (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 15 ottobre 2018, n. 1507).
Riguardo poi alla mancata concessione del termine di 90 giorni per procedere alla demolizione, deve osservarsi che la demolizione ordinata ai sensi dell’art. 27, D.P.R. n. 380 del 2001 (e non del successivo art. 31) non prevede l’assegnazione di un termine al trasgressore per consentire la demolizione spontanea, onde evitare la successiva ed ulteriore sanzione costituita dall’acquisizione gratuita del bene immobile, dell’area di sedime ed eventualmente di quella pertinenziale al patrimonio comunale.
La spiegazione della diversità del regime disciplinare è da ricercare – secondo la giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 16 ottobre 2018, n. 6028) – nel fatto che la procedura repressiva agitata secondo lo schema procedimentale di cui all’art. 31, D.P.R. n. 380 del 2001 presuppone una previa diffida ad adempiere quale strumento per provocare lo spontanea ottemperanza, mentre la procedura ex art. 27, predisposta per la repressione di abusi che si presentino lesivi di interessi particolarmente sensibili («opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici »), si muove seguendo lo schema dell’esecuzione in danno, ossia a cura del Comune ed a spese del trasgressore, senza che vi sia alcun spazio, per quest’ultimo per uno spontaneo adempimento, considerando altresì che alla mancata, spontanea ottemperanza non è prevista la ulteriore sanzione acquisitiva.
Si vedano ancora i seguenti arresti della giurisprudenza:
– «il potere di sospensione dei lavori edili in corso, attribuito all’Autorità comunale dall’art. 27 comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ha natura cautelare, in quanto è teso ad evitare che la prosecuzione dei lavori ritenuti abusivamente realizzati determini un aggravio del danno urbanistico, discendendo pertanto, dalla natura interinale e provvisoria del relativo provvedimento – volta ad evitare che il destinatario possa essere esposto sine die all’incertezza circa la sussistenza del proprio jus aedificandi – che, allo spirare del termine di 45 giorni dalla sua notificazione, l’ordine in questione perde ogni efficacia, trattandosi di un provvedimento eccezionale, con efficacia strettamente limitata nel tempo, avente il solo scopo (cautelare) di impedire il procedere della costruzione, in modo da consentire alla Pubblica amministrazione di potersi determinare con una misura sanzionatoria entro tale termine di efficacia della sospensione dei lavori (ex plurimis: T.A.R. Campania, Napoli, 10 dicembre 2007, n. 15871; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 giugno 2016, n. 2758; T.A.R. Lazio, sez. II bis, 19 aprile 2018 n. 4341; T.A.R. Lazio, sez. II bis 9 febbraio 2018 n. 1600; T.A.R. Lazio, sez. II bis 24 gennaio 2018 n. 895; T.A.R. Lazio, sez. II bis 22 gennaio 2019 n. 849).» (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 18 luglio 2019, n. 9575);
– «una volta trascorsi quarantacinque giorni dall’adozione del provvedimento di sospensione dei lavori, esso non produce più effetti (cfr. T.A.R. Lazio, Sez, I quater, 11 gennaio 2013 n. 253). Ed infatti, la sospensione dei lavori di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 art. 27 ha mera funzione cautelare, oltre che atteggiarsi anche come comunicazione di avvio del procedimento, ed il decorso del suddetto termine ne fa solo cessare l’efficacia, senza incidere sulla validità di provvedimenti definitivi successivi” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I quater, 25 luglio 2014, n. 8233).
Pertanto, trascorso il termine di quarantacinque giorni (che fissa la durata legale del provvedimento cautelare di sospensione dei lavori), il provvedimento di sospensione dei lavori “perde la sua efficacia, mentre il Comune conserva il potere di adottare i provvedimenti repressivi dell’abuso, pur dopo il decorso del suindicato termine …… (v., ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 7 maggio 2007 n. 1821)” (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, 7 gennaio 2010, n. 4)» (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 25 giugno 2018, n. 1062);
– «l’eventuale prosecuzione dei lavori nonostante l’ordine di sospensione è penalmente sanzionata dal successivo art. 44, lett. b) dello stesso D.P.R. a tenore del quale è previsto “l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5164 Euro a 51645 Euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione”.
(…) la fattispecie delineata dall’art. 44, lett. b) ultima parte del D.P.R. non viene meno per il fatto che non siano stati emessi i provvedimenti repressivi definitivi nel prescritto termine di gg. 45 previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 27, comma 3 dopo l’emissione dell’originaria ordinanza di sospensione dei lavori, in quanto l’emissione dei provvedimenti definitivi di natura repressiva costituisce evento successivo ed esterno rispetto alla condotta criminosa prevista e punita dall’art. 44, lett. b) ultima parte che si realizza per intero per il solo fatto che i lavori edili proseguano nonostante l’ordinanza comunale di sospensione degli stessi (in termini Cass. pen. Sez. III, 9 ottobre 2008 n. 41884, Civita, Rv. 241496; conforme Cass. pen. Sez. III, 12 febbraio 2013, n. 28132, Cinque, Rv. 257136)» (Cass. pen., sez. III, 5 ottobre 2015, n. 39864).
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