Tratto da: ildirittoamministrativo.it

Spetta all’Amministrazione valutare se attivare una mensa presso la sede di servizio o se stipulare una convenzione con un servizio di ristorazione o se riconoscere al personale il buono pasto, sicché, laddove l’accesso alla mensa principale non sia “possibile” – perché l’Amministrazione non riesca ad assicurarne il “funzionamento” rispetto ad alcuni dei suoi dipendenti – e non siano state stipulate convenzioni con altri Enti pubblici per l’uso della loro mensa o con ristoranti privati, ai lavoratori spetta il buono-pasto quale unica soluzione in concreto disponibile.

La possibilità o meno di accedere alla mensa deve essere valutata secondo il criterio di buona fede, che è un principio generale del diritto, corollario del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e oggi codificato dall’art. 1, co. 2-bis, della legge n. 241 del 1990, quale criterio cui devono improntarsi i rapporti tra cittadino e Amministrazione, il quale impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche.

La “impossibilità” di accedere alla mensa, rilevante ai fini della sussistenza del diritto al buono-pasto, sussiste pertanto anche quando raggiungerla richiederebbe ai lavoratori un sacrificio sproporzionato.

Per quanto rileva nel caso di specie, è da considerarsi ragionevolmente sproporzionato pretendere che i dipendenti in servizio presso l’aeroporto, posto al di fuori dall’abitato cittadino, debbano entrare in città per usufruire della mensa costituita presso la Questura – dove non avrebbero altro motivo di recarsi – per poi andare o tornare in servizio oppure rientrare a casa, dato che l’Amministrazione non assicura loro la fruizione del pasto nelle vicinanze del luogo di lavoro.

Consiglio di Stato, Sez. II, sent. del 19 maggio 2023, n. 5007.

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