06/12/2019 – La giurisdizione contabile sull’operato delle società partecipate ha carattere d’eccezione

La giurisdizione contabile sull’operato delle società partecipate ha carattere d’eccezione
di Michele Nico – Dirigente amministrativo di Ente locale
Nonostante la maggior chiarezza apportata in materia dal D.Lgs. n. 175/2016 (testo unico sulle società a partecipazione pubblica), il tema del riparto della giurisdizione in ordine alla gestione delle società in mano pubblica continua a far discutere e permane un ambito problematico, costituendo fonte di interpretazioni talora discordi in giurisprudenza.
Segnatamente, l’art. 12, comma 1, del Tusp ha stabilito – recependo l’orientamento prevalente della Suprema Corte (ex multis: sentenza Cass. civ., Sez. unite, 25 novembre 2013, n. 26283) che “i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”.
Nonostante ciò, non mancano ancor oggi pronunce che dichiarano la giurisdizione del giudice ordinario per gli atti di mala gestio commessi ai danni delle società in house, specie là dove il rapporto interorganico tra l’ente socio e l’organismo partecipato non risulti suffragato dalla puntuale e rigorosa concomitanza dei requisiti occorrenti per l’in house providing (capitale interamente pubblico, esercizio del controllo analogo e fatturato prevalente nei confronti del socio o dei soci pubblici).
La decisione della Corte
E’ eloquente, al riguardo, la recente pronuncia in sede civile delle Sezioni unite (sentenza n. 30006 del 19 novembre 2019), che ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario per i fatti di mala gestio perpetrati dagli amministratori ai danni di una società in house, frutto di trasformazione di una preesistente azienda speciale.
Nel caso in questione, la gravità dei comportamenti posti in essere dal Cda ha portato al dissesto finanziario della società, con la conseguente chiamata in giudizio degli amministratori per il risarcimento danni.
Va notato che il tribunale adito nel 2008 declinava la propria competenza, affermando quella della Corte dei Conti, mentre la Corte d’Appello si è in seguito pronunciata in modo opposto, affermando cioè la giurisdizione del giudice ordinario.
Quest’ultima tesi è stata confermata dalle Sezioni unite con la sentenza in commento, che ha formulato sul punto il seguente principio di diritto: “l’azione di responsabilità per i danni arrecati a una società per azioni in cui si è trasformata una preesistente azienda speciale comunale spetta alla giurisdizione del giudice ordinario in tutti i casi in cui siano dedotti i pregiudizi al patrimonio della società in sé e per sé considerato e non dell’ente pubblico che pure possa o debba risponderne, a maggior ragione quando manchino tutti i presupposti per la configurabilità di una società in house e, in particolare, il divieto o l’impossibilità di estensione della compagine sociale a soggetti privati, oppure quando siano dedotti fatti anche anteriori alla trasformazione, ma quali presupposti o antefatti delle condotte successive”.
Alla luce di tale principio, la circostanza dirimente che ha indotto i giudici della Suprema Corte a negare la giurisdizione della magistratura contabile è stata l’inesistenza, sul piano statutario, della clausola volta a escludere l’inserimento nella compagine sociale di soggetti diversi dagli enti pubblici.
Il potenziale ingresso di soci privati nel capitale ha quindi precluso l’intervento della Corte dei Conti in ragione – come si legge nella sentenza – della “natura eccezionale della giurisdizione contabile in tema di danni a società partecipate da enti pubblici”.
Di qui il rigetto del ricorso proposto dagli ex amministratori della società e la conferma della sentenza emessa dalla Corte d’Appello.
L’interpretazione restrittiva della giurisdizione contabile
La pronuncia in commento è degna di nota soprattutto per l’interpretazione restrittiva seguita dai giudici in ordine all’assoggettamento delle partecipate alla sfera di giurisdizione contabile.
In altri casi (V. per esempio: Sezioni unite, sentenza n. 10299 del 3 maggio 2013) la Suprema Corte aveva soffermato la propria attenzione sullo statuto della società, escludendo la sua qualificazione di società in house per l’assenza di un “controllo analogo” desumibile da:
a) una mancata previsione statutaria di partecipazione totalitaria dell’Ente locale;
b) l’inesistenza di una clausola che obblighi l’impresa pubblica a operare soltanto nei confronti dell’Ente partecipante.
In tali circostanze, la carenza del “controllo analogo” aveva indotto il collegio a escludere la sussistenza di un rapporto di delegazione interorganica tra l’Ente locale e la relativa partecipata, nonché a dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice contabile nei confronti degli amministratori della società medesima, in linea con il principio enunciato dalle Sezioni unite con la storica sentenza n. 26906/2009, secondo cui “spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti …, non essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’Ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro Ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei Conti”.
Partendo da un altro angolo visuale, con la sentenza in commento la Corte si è invece concentrata sull’assenza del divieto statutario di aprire il capitale sociale ai privati, giungendo però alla medesima conclusione di escludere la giurisdizione contabile là dove non sussista la concomitante presenza dei requisiti prescritti dall’art. 5D.Lgs. n. 50/2016 e art. 16D.Lgs. n. 175/2016 per l’insorgenza dell’in house providing nelle forme prescritte dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria.

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