tratto da marcoaurelio.comune.roma.it

Il danno da disservizio

di Arturo Bianco

La giurisprudenza della Corte dei Conti ritiene che i dipendenti pubblici debbano rifondere le amministrazioni non solo dei danni provocati direttamente, ma anche di quelli all’ immagine e di quelli determinati dal disservizio che si è realizzato. In questa direzione vanno le indicazioni contenute nella sentenza della Corte dei Conti della Calabria n. 275 del 16 novembre 2016. La sentenza ci ricorda inoltre che la condanna con patteggiamento determina la maturazione di un presupposto per la maturazione di questa forma di responsabilità.

La sentenza si riferisce, come caso specifico, a dipendenti che hanno determinato un danno all’ente per avere intascato somme che i cittadini hanno loro versato, mentre erano di spettanza della amministrazione. In questo caso è stato stabilito che matura responsabilità contabile sia per il danno diretto, sia per quello all’ immagine, sia per quello da disservizio provocato.

Siamo in presenza di indicazioni molto importanti che devono essere definite come assai rigorose: è questo l’ennesimo segnale di come il mutare della legislazione e la percezione negativa del lavoro pubblico abbiano determinato effetti anche sulla applicazione dei vincoli dettati dal legislatore.

LE CONDIZIONI DI BASE

In premessa, viene evidenziato che non è necessario che il dipendente sia inquadrato nell’ufficio in cui le attività illegittime sono state svolte; è sufficiente il rapporto di lavoro subordinato con l’ente. Si deve aggiungere che in luogo del rapporto di lavoro subordinato la responsabilità amministrativa matura anche nel caso di svolgimento di un ruolo di governo, di inserimento in commissioni dell’ente e di rapporto di collaborazione con la stessa amministrazione.

Occorre inoltre ricordare che, sulla base dei vincoli dettati dal legislatore e delle indicazioni stabilite dalla giurisprudenza della Corte dei Conti, si deve essere in presenza di atti e/o di condotte illegittime, che si possono concretizzare sia nella adozione di provvedimenti sia nella mancanza di iniziative in presenza di vincoli dettati dalla legislazione, come ad esempio il non riscuotere i tributi e/o i proventi dei servizi a domanda individuale.

Si deve inoltre avere determinato in capo all’ente un danno in termini di maggiori spese e/o di maggiori entrate.

Occorre infine la presenza del requisito psicologico del dolo, cioè la consapevolezza della illegittimità, o quanto meno della colpa grave.

IL RISARCIMENTO DANNI

Una indicazione assai importante della sentenza è che non vi è duplicità di giudizi nel caso in cui per la stessa fattispecie l’ente abbia intentato una azione dinanzi al giudice civile per il recupero delle somme. Si perviene a questa conclusione perché “la prima causa è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della singola Amministrazione attrice, mentre l’altra, invece, è volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, con funzione essenzialmente o prevalentemente sanzionatoria”. Ovviamente “la pronuncia risarcitoria eventualmente emessa dal giudice contabile non potrà che essere posta in esecuzione nei soli limiti in cui il danno non sia già stato per altro verso ristorato”.

IL PATTEGGIAMENTO

Un’altra indicazione densa di rilievo è  che la condanna con patteggiamento è utilizzabile nel processo contabile: “nei giudizi diversi da quello penale, pur non essendo precluso al giudice l’accertamento dei fatti in modo difforme da quello contenuto nella pronuncia ex art. 444 c.p.p., la sentenza di patteggiamento assume particolare valore probatorio vincibile solo attraverso specifiche prove contrarie”. Essa  “implica, comunque, l’insussistenza di elementi atti a legittimare l’assoluzione dell’imputato e le risultanze del processo penale celebratosi sono pienamente utilizzabili e valide, anche al di fuori di tale ambito e, segnatamente in quello amministrativo-contabile per l’affermazione della sussistenza, anche in questa sede, di eventuali responsabilità a titolo amministrativo-contabile”.

Per cui essa determina una sorta di presunzione di colpevolezza, che può essere superata solamente dalla fornitura di una prova in senso contrario.

IL DANNO ALL’IMMAGINE

La sentenza ci ricorda inoltre che, oltre al danno derivante dall’illegittimo incameramento di somme dovute al comune, matura anche quello all’ immagine dell’ente. Su questo aspetto è da considerare consolidata l’ utilizzazione di “criteri presuntivi quanto mai logici e condivisibili, quale quello della negativa impressione suscitata sull’opinione pubblica dal fatto lesivo e dalla conseguente celebrazione del processo penale con relativo, indubbio impatto sull’opinione pubblica”. 

La sentenza ricorda che, per i fatti accaduti dopo l’entrata in vigore della legge n. 190/2012, cd anticorruzione, si applica la quantificazione dettata dal comma 62 di tale provvedimento, per cui il danno alla immagine “si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.

IL DANNO DA DISSERVIZIO

Si deve ritenere sanzionato da parte del legislatore anche il danno da disservizio “da intendersi sia in termini di inadempimento contrattuale, quindi di lesione del rapporto sinallagmatico che lega il dipendente alla pubblica amministrazione, sia in termini di alterazione dell’organizzazione burocratica al cui buon andamento il dipendente stesso deve concorrere con il suo apporto lavorativo, obiettivo che di certo non può dirsi validamente conseguito in presenza di comportamenti contrari agli obblighi di servizio e alla legge penale”. 

Nel caso specifico la sua quantificazione è stata determinata dalla misura del lavoro straordinario che l’ente ha dovuto corrispondere per dare corso alle necessarie misure organizzative e dagli oneri della costituzione in giudizio.

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