tratto da ildirittoamministrativo.it
Il Consiglio di Stato sull’autonoma impugnabilità dell’atto endoprocedimentale nel processo amministrativo.
Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 7476 del 2 settembre 2019.
La regola secondo la quale l’atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile, giacché la lesione della sfera giuridica del suo destinatario è normalmente imputabile all’atto che conclude il procedimento, è di carattere generale: la possibilità di un’impugnazione anticipata è invece di carattere eccezionale e riconosciuta solo in rapporto a fattispecie particolari, ossia ad atti di natura vincolata idonei a conformare in maniera netta la determinazione conclusiva oppure in ragione di atti interlocutori che comportino un arresto procedimentale.
Il nuovo termine di 18 mesi – introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d) della Legge 7 agosto 2015 n. 124 (c.d. Riforma Madia) – resta predicabile nella sua rigida previsione solo in relazione ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione.
Di contro, nel caso di provvedimenti già adottati il termine suddetto integra un parametro di riferimento per valutare la “ragionevolezza del termine” dell’intervento di riesame. Il nuovo termine legislativamente predeterminato non sostituisce “in toto” il “termine ragionevole” (e indeterminato) il quale, presente fin dall’originaria formulazione della disposizione delineata dalla Legge n. 15 del 2005, continua a costituire il parametro normativo di riferimento laddove non possa trovare applicazione, “ratione temporis”, il termine di mesi. Peraltro, il termine “ragionevole” decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro
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